Le perdite dei gasdotti Nord Stream sono un problema per l’ambiente?

Si parla già di un «disastro climatico» per la quantità di metano dispersa nell’atmosfera, anche se per ora non ci sono stime precise

(EPA/Danish Defence Command, ANSA)
(EPA/Danish Defence Command, ANSA)
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Il gas naturale che sta fuoriuscendo dai gasdotti Nord Stream nel mar Baltico è una rilevante fonte di emissioni di metano nell’atmosfera. Il gas naturale è composto principalmente da metano (CH4) che, come l’anidride carbonica (CO2), è un gas serra, cioè uno dei gas la cui sempre maggiore presenza nell’aria è all’origine del cambiamento climatico. Secondo una stima dell’Agenzia per l’energia danese, le emissioni causate dalle tre perdite dei gasdotti Nord Stream saranno pari al 32 per cento di tutte quelle prodotte dalla Danimarca in un anno. L’Agenzia federale per l’ambiente tedesca ha invece calcolato che l’impatto delle perdite possa essere equivalente all’1 per cento delle emissioni annuali della Germania.

I gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 sono stati costruiti per portare il gas naturale russo in Europa passando sotto il mar Baltico. Le perdite sono state identificate grazie ad alcuni cali di pressione, ma martedì sono diventate abbastanza evidenti da essere visibili dall’alto: l’aviazione danese ha ripreso un’area da cui uscivano le bolle dal diametro di circa 700 metri. La principale ipotesi sull’origine delle perdite è che siano state causate dalla Russia per fare pressioni sui governi europei che le hanno imposto sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, ma per ora non ci sono prove.

Oltre a quella danese e a quella tedesca sono state fatte altre stime dell’impatto delle perdite di gas sull’atmosfera, ma devono essere considerate con cautela perché mancano ancora molte informazioni per fare analisi precise. Ad esempio, non si sa la portata del gas che sta fuoriuscendo dai gasdotti, quale sia la sua temperatura, e quale percentuale del metano sarà assorbita dai microrganismi marini che ossidano questa sostanza prima dell’arrivo in superficie.

Il metano è incolore (oltre che inodore: quello che chiamiamo “odore di gas” è in realtà aggiunto artificialmente per ragioni di sicurezza), ma la sua presenza nell’aria nei casi di grosse perdite dai gasdotti si può solitamente misurare utilizzando satelliti attrezzati con telecamere a infrarossi. In questo caso le cose sono più complicate perché le perdite sono sottomarine e la superficie dell’acqua riflette la luce in modo diverso dalla terraferma.

GHGSat, un’azienda canadese che monitora le emissioni di gas serra con i satelliti per conto di aziende petrolifere e non solo, ha detto che le perdite dei gasdotti Nord Stream potrebbero aver causato la fuoriuscita di 500 tonnellate di metano all’ora nelle prime ore, chiarendo che si tratta di una stima prudente. Per un confronto: la più grave perdita di gas naturale mai avvenuta negli Stati Uniti, quella di Aliso Canyon, a Los Angeles, del 2015, portò alla diffusione di 97.100 tonnellate di metano in diversi mesi. Al momento di picco della perdita tuttavia la quantità di metano emesso all’ora era dieci volte inferiore a quella ipotizzata da GHGSat per i gasdotti Nord Stream.

Il Nord Stream 1 non è attivo da agosto, mentre il Nord Stream 2 non è mai entrato in funzione, ma entrambi erano pieni di gas. Riguardo al primo, non si sa quanto ne contenesse prima che iniziassero le perdite. Per quanto riguarda il Nord Stream 2 invece, secondo quanto riferito da un portavoce della società che lo gestisce e che appartiene all’azienda statale russa Gazprom, questa settimana il gasdotto conteneva 300 milioni di metri cubi di gas.

Se arrivasse tutto nell’atmosfera, le emissioni di metano sarebbero pari a circa 200mila tonnellate secondo due diverse stime citate da Reuters. L’agenzia di stampa ha usato i fattori di conversione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite per calcolare cosa comporterebbe in termini di riscaldamento globale e ha concluso che avrebbe lo stesso effetto della quantità di anidride carbonica emessa in un anno da città di media grandezza come Helsinki, la capitale della Finlandia, che ha circa 630mila abitanti.

Anche le stime danesi e tedesche si basano sull’ipotesi che tutto il gas che era contenuto nei gasdotti si disperda, dato che gli impianti non sono dotati di meccanismi di contenimento in caso di perdite. Si pensa che si svuoteranno nel giro di alcuni giorni, forse entro domenica.

A prescindere dalla precisione delle stime attuali, gli esperti di emissioni che hanno analizzato la situazione sono concordi sul fatto che le conseguenze in termini di emissioni di gas serra di queste perdite siano rilevanti. Ovviamente, se si considerano le emissioni di metano complessive che vengono prodotte in un anno nel mondo a causa delle attività umane, parliamo di una quantità piccola, ma è comunque considerevole per una singola fonte. Stefano Grassi, capo di gabinetto del commissario europeo all’Energia Kadri Simson, ha descritto le perdite parlando di un «disastro climatico ed ecologico».

Per quanto riguarda la vita marina invece non dovrebbero esserci troppi problemi. A differenza delle perdite di petrolio, quelle di gas non sono molto pericolose per gli animali e le piante, anche se secondo Greenpeace i pesci che si trovassero vicino al flusso di gas potrebbero avere delle difficoltà respiratorie.

Il metano resta nell’atmosfera solo per 12 anni, contro i più di 500 dell’anidride carbonica, ma se si considera un periodo di 100 anni, quello solitamente usato dagli scienziati per fare paragoni, il suo Global Warming Potential, cioè quanto contribuisce all’effetto serra rispetto alla CO2, è di 25 volte superiore. Per questo l’anno scorso l’Unione Europea e la maggior parte dei paesi del mondo si sono impegnati a ridurre le emissioni di metano del 30 per cento entro il 2030.

Attualmente circa tre quinti delle emissioni mondiali di metano sono dovute ad attività umane, principalmente l’estrazione del carbone e del petrolio e l’allevamento intensivo – il gas è contenuto nei rutti e nelle flatulenze dei bovini. Il resto è dovuto a fonti naturali, come le paludi.

Il gas naturale è considerato il meno inquinante tra i combustibili fossili, perché la sua combustione genera meno emissioni di anidride carbonica rispetto a quella di carbone e petrolio. Ma secondo alcuni studi il vantaggio si riduce molto se ci sono ingenti perdite di metano durante l’estrazione e il trasporto del gas.