L’acrobatico riposizionamento di Victoria’s Secret

Il marchio di intimo sta cercando di passare per qualcosa di diverso da ciò per cui è famoso, e ora fa perfino cose comode

(Uno screenshot del trailer del documentario "Victoria's Secret: Angels and Demons")
(Uno screenshot del trailer del documentario "Victoria's Secret: Angels and Demons")
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Nell’immaginario comune Victoria’s Secret è il marchio delle sfilate spettacolari, delle modelle con le ali – i cosiddetti “angeli” – e dei completi intimi raffinati e poco coprenti. Le sue sfilate però sono state abolite nel 2019 e dal 2021 le top model sono state sostituite da testimonial con meriti più legati alle scelte di vita che all’aspetto fisico. Ora, a giudicare dall’ultima campagna pubblicitaria uscita a luglio del 2022, anche i completi sexy e scomodi sembrano non essere più una cosa su cui Victoria’s Secret vuole puntare: al loro posto ci sono reggiseni e mutande sobri e apparentemente confortevoli.

Una strategia di marketing simile, che ha stravolto l’identità dell’azienda per andare incontro alle più moderne sensibilità in tema di rappresentazione femminile, ha ricevuto qualche critica. Allo stesso tempo però, diversi commentatori e un documentario di tre puntate prodotto da Hulu (non disponibile in Italia) hanno riportato all’attenzione tutte le criticità della storia del marchio e i motivi per cui molti auspicano che non torni a essere quello che era prima.

Victoria’s Secret fu fondata dai coniugi Roy e Gaye Raymond nel 1977: il marito voleva realizzare negozi di intimo femminile che non facessero sentire in imbarazzo gli uomini che ci entravano per fare un regalo alle mogli. L’impresa andò molto bene fin da subito, tanto che, appena cinque anni dopo, l’imprenditore miliardario Leslie Wexner decise di comprarla. Oggi è una delle principali aziende produttrici di lingerie e abbigliamento intimo al mondo: nel 2021 il fatturato ha superato i 6 miliardi di dollari, impiega più di 30 mila persone e ha circa 1.400 negozi in decine di paesi.

Inizialmente, per le modelle, lavorare per Victoria’s Secret non era affatto allettante: al contrario, posare in intimo – anziché indossando vestiti di alta moda – era considerata una specie di fine per le loro carriere. Le cose cambiarono quando il marchio cominciò a fare i suoi spettacoli: il primo fu nel 1995, ma il vero successo arrivò nel 1999. In quell’anno la sfilata fu pubblicizzata con uno spot fatto passare in televisione nell’intervallo del Super Bowl, l’evento sportivo più seguito negli Stati Uniti. Il sito dell’evento che compariva alla fine dello spot fu cercato online da così tante persone che andò offline. La stampa riprese la notizia e da quel momento le sfilate di Victoria’s Secret – e le ali di piume e paillette delle sue modelle – divennero il sogno di molte giovani donne. Per la prima volta l’abbigliamento intimo ottenne dignità pari a quella della moda di lusso.

Fino a quando l’azienda ha smesso di farle nel 2019 – dicendo di voler ripensare completamente la propria comunicazione – le sfilate di Victoria’s Secret e le sue top model magrissime e pagatissime sono rimaste un’istituzione. In una puntata del reality show dedicato alla famiglia Kardashian, Kendall Jenner, una delle sorelle, racconta di essere stata scelta per sfilare per Victoria’s Secret, e nonostante sia già una delle persone più famose negli Stati Uniti definisce quel traguardo il suo «sogno di una vita».

La crisi iniziò più o meno nel 2014, quando uscì la campagna pubblicitaria “The perfect body” (il corpo perfetto) e poi con la diffusione dell’uso dei social network: Victoria’s Secret cominciò a essere molto criticata per il modo in cui rappresentava i corpi femminili proponendo modelli irraggiungibili. Ma già nel 2011 aveva creato molto scandalo l’affermazione dell’“angelo” Adriana Lima, che aveva detto in un’intervista di non mangiare cibi solidi nei giorni precedenti alle sfilate.

Più di recente però sono successe diverse cose che hanno imposto all’azienda di cambiare drasticamente strategia per salvarsi.

Quello di Victoria’s Secret infatti non era solo un problema di rappresentazione stereotipata e irraggiungibile della sensualità femminile. Come ha scritto recentemente Vanessa Friedman, responsabile della sezione Moda del New York Times, tutti i travestimenti che rendevano uniche e spettacolari le sfilate degli “angeli” erano l’espressione della cultura sessista dell’azienda e dei molti uomini che ci lavoravano, che «vedevano le giovani donne intorno a loro come giocattoli con cui fare ciò che desideravano».

Sull’Atlantic Sophie Gilbert ha scritto di aver visto di recente il primo spettacolo di Victoria’s Secret trasmesso in tv nel 2001 e di essere rimasta sorpresa da come «alcune modelle – le professioniste più incallite che potresti mai trovare per muoversi in modo fluido in indumenti scomodi mentre si tengono in equilibrio su tacchi alti – lottavano per camminare nei loro corsetti». E ha aggiunto: «sembrava goffo, innaturale, addirittura doloroso».

Nel 2016 l’azienda dovette fare qualche aggiustamento per allargare l’offerta e risollevarsi dalla crisi, ma negli anni successivi la sua reputazione peggiorò ancora: subì una grave crisi d’immagine dopo l’esplosione del movimento #MeToo e quando venne fuori lo stretto legame tra Wexner e il controverso finanziere Jeffrey Epstein, accusato di traffico sessuale e morto in carcere nel 2019.

Questa vicenda è ancora poco chiara: nel documentario Victoria’s Secret: Angels and Demons, uscito nel 2022, viene raccontata ma non viene di fatto spiegato quanto Wexner fosse consapevole e coinvolto nell’attività di Epstein, che usò tra le altre cose il potere che aveva dentro Victoria’s Secret per attrarre aspiranti modelle a fare finti provini. Wexner fu poi spinto a dimettersi dal ruolo di amministratore delegato e fu sostituito da Martin Waters.

Nel 2020 la polemica si estese alla cultura misogina e sessista dell’azienda. Nel documentario la stylist Victoria Bartlett, che lavorò per l’azienda negli anni Novanta, la definisce «una specie di società patriarcale nel mercato di massa». Anche la creazione più famosa di Victoria’s Secret, la sfilata degli “angeli”, viene raccontata nel documentario come uno spettacolo di intrattenimento per uomini che volevano vedere belle donne in intimo. A differenza delle altre sfilate, quelle «non erano pensate per i compratori».

Nell’ultimo spot promozionale, diffuso da Victoria’s Secret a luglio, si leggono frasi come «siamo cambiati» o «ti vediamo», e una voce fuori campo dice «è nostra responsabilità rendere il mondo un posto migliore». Le immagini mostrano donne con corpi, colori della pelle, età e abilità diverse indossare una biancheria intima comoda e poco vistosa. Tutte cose che ultimamente si sono viste in molti altri spot e che ad alcuni sono risultate eccessivamente costruite, soprattutto per un’azienda con la storia di Victoria’s Secret.

In risposta a chi ha commentato lo spot accusando Victoria’s Secret di aver rinunciato a essere sexy per poter essere inclusiva, Friedman ha risposto sul New York Times criticando duramente l’idea di sensualità veicolata dai contenuti di Victoria’s Secret. «Sono passati solo due anni e mezzo da quando Victoria’s Secret cancellò il suo famoso spettacolo di ragazze in perizoma sulla scia del movimento #MeToo» ha scritto Friedman, «eppure sembra si sia verificata un’allucinazione di massa e metà del mondo abbia dimenticato il dibattito iniziale sul perché VS – come è conosciuta ora – abbia dovuto cambiare».