Quanto conta davvero Dugin in Russia

Il padre della giornalista uccisa non è «l'ideologo di Putin», come è stato descritto, ma con le sue teorie di estrema destra si è costruito fama e seguito in Occidente

Alexander Dugin in una foto del 2016 in uno studio televisivo di Mosca (AP Photo/Francesca Ebel)
Alexander Dugin in una foto del 2016 in uno studio televisivo di Mosca (AP Photo/Francesca Ebel)
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L’attentato in cui sabato notte nella regione di Mosca è stata uccisa la giornalista Darya Dugina, figlia di Alexander Dugin, non ha al momento responsabili e motivazioni chiare. Alcune ipotesi fatte negli ultimi giorni sostengono che il reale obiettivo dell’autobomba fosse il padre, politico e filosofo dell’estrema destra russa, descritto un po’ frettolosamente e superficialmente dalla stampa occidentale come «l’ideologo di Putin».

La reale vicinanza di Dugin al presidente russo Vladimir Putin, e la sua influenza, sono però questioni assai discusse, e molti esperti di politica russa tendono a ridimensionarle. Dugin sembra essere più popolare nei movimenti di estrema destra e nell’opinione pubblica occidentale che in Russia: non avrebbe accesso nemmeno alla cerchia ristretta dei collaboratori di Putin.

Nato nel 1962 in una famiglia di militari di alto rango, Dugin in gioventù fu un militante anti-comunista, si unì a vari collettivi di avanguardia e negli anni Novanta, in corrispondenza con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, fondò il Partito Nazional Bolscevico con Eduard Limonov, personaggio reso celebre dal romanzo di Emmanuel Carrère.

Vicino a formazioni neonaziste tedesche, nel 1997 Dugin scrisse il libro ”Fondamenti di Geopolitica: il futuro geopolitico della Russia”, in cui sviluppava la teoria del “Neo-eurasismo”, secondo cui la Russia sarebbe dovuta tornare a essere una potenza mondiale come ai tempi sovietici e in opposizione al mondo occidentale, ma senza comunismo. Ipotizzava anche una spartizione delle zone di influenza con la Germania, che avrebbe dovuto lasciare l’Unione Europea.

Alcune delle sue teorie e ambizioni per la Russia sono coincise nel tempo con quelle dell’attuale regime di Mosca.

Come ha scritto il ricercatore e scrittore esperto di Russia Mark Galeotti, queste teorie hanno reso Dugin piuttosto popolare nel 2014, quando iniziò la guerra in Ucraina orientale tra esercito ucraino e separatisti filorussi appoggiati dalla Russia: «Di colpo era ovunque in televisione, il suo libro era citato e gli fu offerta una cattedra all’Università statale di Mosca. Ma poi il Cremlino decise di non procedere con l’annessione diretta dell’autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk e Dugin non fu più utile». Gli inviti in tv scomparvero, così come il contratto con l’università.

Sempre secondo Galeotti, da allora Dugin, che non ha mai avuto accesso diretto a Putin o ai suoi più stretti collaboratori, ha spesso cercato di intuire le mosse future del governo, promuovendole e invocandole all’interno di una sua ricca produzione di articoli e libri, e cercando così di accreditarsi come “ideologo” della nuova politica russa, specialmente all’estero e in Occidente, dove nonostante le sue tesi estreme e le sue simpatie naziste era spesso invitato a dibattiti (per le interviste con i media occidentali chiede un cachet di 500 euro, scrive il Guardian).

La sua presunta vicinanza col Cremlino è quindi, secondo molti esperti che vivono in Russia, una costruzione dello stesso Dugin, per profitto personale e autopromozione. Non esistono foto o testimonianze di suoi incontri con i leader del governo russo, che però pare lo consideri (o lo abbia considerato) utile per la sua notorietà in certi ambienti del mondo occidentale.

In Italia arrivò nel 2015, attraverso la mediazione di Gianluca Savoini, uomo di fiducia di Matteo Salvini già al centro dei discussi rapporti fra la Lega e la Russia. Savoini, scrivono molti giornali italiani fra cui la Stampa, è un grande estimatore di Dugin, che nel 2018 riportò in Italia per una sorta di tour promozionale dei suoi libri.

Dugin incontrò più volte Salvini (esiste anche una foto della figlia Darya con il leader leghista): fu sostenitore in varie interviste del governo Conte I e dell’alleanza fra Movimento 5 Stelle e Lega («primo passo storico verso l’affermazione irreversibile del populismo e il passaggio a un mondo multipolare»). Recentemente si è detto deluso dalla decisione di Salvini di sostenere il governo Draghi e il suo approccio atlantista e ha profetizzato un «grande futuro» per Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.

In Russia le sue posizioni e le sue tesi, spesso intrise di un certo esoterismo e profezie sul “destino” del paese, non sono poi sempre allineate con quelle del regime. Di recente ha scritto su Telegram che la Russia non potrà vincere la guerra con l’Ucraina a meno che non mobiliti l’intera società in sostegno dello sforzo bellico, decisione che Putin non ha mai voluto prendere finora. In questa e in altre dichiarazioni Dugin è sembrato più vicino alle posizioni dei nazionalisti di estrema destra russi critici con Putin per il poco successo di una guerra da loro considerata giusta e inevitabile.

La figlia di Dugin, Darya Dugina, era stata inserita nella lista delle persone colpite dalle sanzioni occidentali in quanto impegnata in opere di disinformazione sulla guerra per un canale televisivo di proprietà di Evgeny Prigozhin, uno dei principali finanziatori dei mercenari del gruppo Wagner (gruppo che ha forti legami con il regime russo e che da anni è coinvolto in conflitti in diversi paesi del mondo, Ucraina compresa). Non era però molto nota in Russia, anche se alcuni la consideravano una persona che in futuro avrebbe potuto ritagliarsi un ruolo importante.

La reale rilevanza di Dugin e della figlia nella vita politica russa rendono le accuse fatte dalla stampa russa su un presunto coinvolgimento dell’Ucraina nell’attentato un po’ semplicistiche e poco credibili. Lunedì queste accuse sono state formalizzate anche dall’FSB, l’agenzia federale dei servizi segreti russi: con un comunicato, l’FSB ha incolpato l’intelligence ucraina di aver organizzato l’omicidio di Dugina, pagando una donna per compierlo materialmente.

Fonti citate dai giornali russi hanno poi sostenuto che domenica sera sarebbe arrivata una rivendicazione dal cosiddetto “Esercito repubblicano nazionale”, una formazione partigiana fin qui sconosciuta e accusata di essere ispirata dai servizi segreti ucraini che avrebbe promesso altri attacchi con l’obiettivo di rovesciare il regime di Putin.

Sono però informazioni da prendere con grande scetticismo, considerati i vantaggi politici che la diffusione di un’informazione di questo tipo darebbe alla Russia e considerato anche il frequente ricorso del governo russo alla disinformazione.

Daniele Raineri su Repubblica ha ipotizzato piuttosto che i motivi dell’attentato siano da ricercare in Russia, parlando di «strategia della tensione dei servizi segreti, un avvertimento da chi è stato danneggiato in Russia dalla guerra di Putin, oppure la volontà di mettere a tacere Dugin che parlava di guerra fallimentare».