A Steve Carell si vuole bene

Lo dice per primo chi ci ha lavorato assieme, mentre diventava famoso come Michael Scott o quando è passato a fare i ruoli drammatici: e compie 60 anni

(Tim P. Whitby/Tim P. Whitby/Getty Images for BFI)
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Steve Carell compie oggi 60 anni: ne sono passati poco più di trenta da quando iniziò a recitare nel cinema e nella televisione, meno di venti dai suoi primi successi di un certo livello, poco più di dieci da quando ha smesso di essere Michael Scott in The Office e poco più di cinque da quando con Foxcatcher – Una storia americana iniziò a fare anche l’attore drammatico, in genere con ottimi risultati. Nonostante una carriera iniziata piuttosto tardi, partita tra molte difficoltà e passata per alcune scelte rischiose, Carell è riuscito ad affermarsi come un attore particolarmente versatile e – dice chi è stato sul set con lui — uno dei più gentili, modesti e professionali di tutta Hollywood.

È nato a Concord, nel Massachusetts, il 16 agosto 1962, figlio di un ingegnere e di un’infermiera. Se fosse nato una decina di anni prima si sarebbe chiamato Steve Caroselli, perché il padre, di origini italiane, si chiamava così e solo a metà degli anni Cinquanta aveva scelto di americanizzare il suo cognome in Carell.

I piani iniziali prevedevano che dopo gli studi in storia e teatro alla Denison University, un’università privata in Ohio, Carell cercasse di diventare avvocato. Pensandoci su un po’, capì però che che quella carriera non avrebbe fatto per lui e che preferiva provare la strada della recitazione, in cui già si era in parte avventurato interpretando, tra le altre cose, una violenta guarda carceraria nell’opera teatrale Getting Out.

Mentre studiava da attore, Carell lavorò come commesso e come postino e nel 1989, cinque anni dopo la laurea, recitò in una pubblicità di polli fritti.

Il primo ruolo al cinema, in cui interpretò il cameriere Tesio, che non dice nemmeno una parola, fu nel 1991 in La tenera canaglia. Poi, per anni, niente più cinema. A dire il vero, anche poca televisione: solo a fine anni Novanta Carell ebbe infatti ruoli nelle sitcom Over the Top e The Dana Carvey Show e qualche collaborazione, in virtù di doppiatore, con il Saturday Night Live.

Riuscì però a farsi apprezzare e riconoscere solo grazie alla sua collaborazione con il Daily Show di Jon Stewart, un programma che faceva satira sui notiziari televisivi, nel quale Carell – che fu suggerito per quel ruolo da Stephen Colbert – raccontava in veste di inviato storie strane, in genere di provincia, per esempio su una convention in cui si parlava la lingua klingon (quella di una specie aliena in Star Trek) o su una città che aveva scelto di vietare l’ingresso al diavolo.

Di quel ruolo Carell ha detto di avere comunque alcuni rimpianti perché «un conto è prendere in giro chi se lo merita, ma un altro è sparare sulla Croce Rossa». Grazie al Daily Show, in ogni caso, Carell guadagnò la fama necessaria per avere alcuni ruoli al cinema: in Una settimana da Dio, con una parte in cui per qualche minuto riuscì a togliere la scena a Jim Carrey, e poi nel 2004 con un altro memorabile ruolo da comprimario in Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy.

Nel 2005 Carell fu poi scelto per interpretare Michael Scott, il direttore goffo, tonto e incompetente della filiale regionale della Dunder Mifflin, l’azienda al centro della serie The Office. Col senno di poi fu il ruolo più importante della sua carriera, visto il successo che ebbe la serie mentre andava in onda e quello forse ancora maggiore che ha avuto in seguito, grazie alle piattaforme di streaming. Al tempo, però, era una scelta rischiosa, in cui Carell – un attore noto ma che fino a quel momento non era stato protagonista di niente – si avventurò nel rischioso rifacimento statunitense di una serie che era stata parecchio apprezzata nella sua originale versione britannica, scritta su misura per sé dal comico inglese Ricky Gervais.

In effetti, all’inizio la versione statunitense di The Office non partì bene, ma col tempo riuscì a ingranare, anche sull’onda del successo di 40 anni vergine: Carell ne fu co-sceneggiatore con il regista Judd Apatow e soprattutto protagonista. Costato 26 milioni di dollari, ne incassò 170 e, tra le altre cose, fece venire a molti la voglia di guardare The Office, sebbene i due personaggi interpretati da Carell fossero parecchio diversi.

Intorno al 2010 Carell, che a quanto racconta finì a fare l’attore comico per caso e non per scelta («volevo solo lavorare e quelli erano i ruoli che mi offrivano più spesso») e che nel frattempo aveva recitato in Little Miss Sunshine, L’amore secondo Dan, Agente Smart – Casino totale e A cena con un cretino era diventato uno degli attori comici più pagati al mondo e uno dei più versatili esponenti del cosiddetto “Frat Pack”, il gruppo di cui facevano parte, tra gli altri, Ben Stiller, Owen Wilson e Will Ferrell.

In un lungo profilo in cui ne elogiò la «meticolosa arte della spontaneità», nel 2010 il New Yorker scrisse che l’allora 47enne Carell era «pacatamente diventato la più affidabile stella comica di Hollywood», uno che ormai poteva chiedere tra i 10 e i 15 milioni di dollari per i film in cui recitava (spesso pari al 20/25 per cento del budget totale). L’articolo ne elogiò «l’intelligenza con cui riusciva a essere tonto».

Sempre nel 2010, il Guardian descrisse così la sua faccia: «è pulita, rassicurante, bella ma non troppo bella. A un primo sguardo, Carell sembra un tipo normale, ma poi sorride, fa strane facce o scoppia a ridere e assume quasi un aspetto alla Rowan Atkinson». La sua dedizione fu testimoniata tra le altre cose quando, per il suo ruolo in A cena con un cretino, scelse di fare un personaggio mancino, sebbene lui non lo fosse e sebbene non fosse importante per la trama. «È qualcosa che fanno gli attori seri, con studi da method acting» spiegò il regista Jay Roach «ma non ci sono molti che scelgono di farlo per una commedia».

Delle sue doti comiche, Carell ha detto di considerarle qualcosa di innato e ha aggiunto: «se penso troppo alla mia natura patetica, alla fine mi deprimo». Peraltro – sebbene molti suoi compagni di recitazione dicano che fa molto ridere, cosa che sembra confermata dai molti video online sui dietro le quinte di The Office – Carell non si considera un tipo divertente: «non so riempire le stanze con il mio humor, come stand-up comedian sarei un totale fallimento».

La carriera comica di Carell – che nel 2011, quando la serie ancora andava forte, smise di recitare in The Office – continuò con Crazy, Stupid, Love; Cercasi amore per la fine del mondo, L’incredibile Burt Wonderstone e Anchorman 2 – Fotti la notizia. Nel 2014 iniziò poi quella che sembra a tutti gli effetti una nuova e diversa fase, quella dei ruoli drammatici. Iniziò subito forte, con un ruolo tosto, e con una candidatura all’Oscar per il miglior attore in Foxcatcher – Una storia americana, in cui Carell è il milionario John du Pont, uno con una storia pazzesca.

Dopo quel ruolo, Carell ha recitato in La grande scommessa (diretto da Adam McKay, che come lui è passato con grande efficacia dal comico al serio), in Café Society di Woody Allen, in La battaglia dei sessi, in Last Flag Flying, in Beautiful Boy, dove è il padre che cerca di aiutare il problematico figlio interpretato da Timothée Chalamet, in Benvenuti a Marwen di Robert Zemeckis e in Vice, altro film di McKay in cui Carell è Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa di George W. Bush.

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Di questo suo passaggio dal comico al drammatico – inframezzato dal ritorno al comico con Space Force, le cui due stagioni non hanno però lasciato grandi segni – Carell dice di non averlo espressamente cercato, ma che è semplicemente successo, e che l’unico suo principio prevede di scegliere «la miglior cosa che ho davanti».

Di Carell si racconta spesso una grande professionalità, una costante gentilezza e disponibilità e una vita privata semplice, tutte cose che sono ravvisabili almeno in parte nei suoi personaggi, perfino in quelli molto problematici e complessi come Michael Scott e John du Pont.

Carell – che intanto ha recitato in The Morning Show ed è stato il doppiatore di Gru, il cattivissimo padrone dei Minions – è anche stato apprezzato come un grande improvvisatore e, al contempo, un attore incredibilmente attento a tutto ciò che succede sul set, che si fa sempre trovare preparato: «molti attori» ha detto Roach «ti danno due o tre scene buone ogni dieci scene girate, ma con Steve sono ottime otto su dieci, e ognuna lo è in un modo diverso».

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