L’italiano indagato perché combatte con l’Ucraina

È il primo tra quelli impegnati nel conflitto contro la Russia: l'ipotesi è che ci sia arrivato tramite una rete di reclutatori illegale

Combattenti attraversano il confine fra Polonia e Ucraina (AP Photo/Markus Schreiber, File)
Combattenti attraversano il confine fra Polonia e Ucraina (AP Photo/Markus Schreiber, File)

Kevin Chiappalone è un ragazzo di 19 anni di Genova partito a fine aprile per combattere nella Legione internazionale di difesa territoriale dell’Ucraina, le brigate che raccolgono combattenti stranieri per opporsi all’invasione russa. Chiappalone per questo motivo è indagato dalla procura di Genova dopo un’indagine della Digos, la Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo della sua città. L’accusa su cui sono state aperte le indagini è quella di arruolamento mercenario, regolata da una legge del 1995 che ratifica la convenzione internazionale dell’ONU contro il reclutamento, l’utilizzo, il finanziamento e l’istruzione di mercenari. Le pene previste vanno da due a sette anni.

Chiappalone non è il primo “foreign fighter” italiano sul fronte ucraino, ma è il primo su cui è stata aperta una indagine (almeno per quanto è noto). Il pubblico ministero Marco Zocco vuole capire il contesto in cui è nato il suo arruolamento, per verificare se esista una rete di reclutatori attiva sul territorio italiano.

Chiappalone è un militante dei movimenti di estrema destra ed è in particolare vicino a CasaPound, con cui aveva partecipato ad alcune attività e cortei a livello locale, ricevendo anche una denuncia per il possesso di un tirapugni. A marzo aveva dato un’intervista in forma anonima a Panorama in cui annunciava la sua decisione di unirsi alle forze ucraine. Proprio da quella intervista sarebbe nata l’indagine della Digos, che nei mesi scorsi ha ascoltato la famiglia e alcuni membri della sezione genovese di CasaPound e ha controllato il computer del ragazzo. L’intento era capire se qualcuno avesse aiutato Chiappalone nelle pratiche di reclutamento.

La legislazione a proposito dei “foreign fighters” è discussa e soggetta a interpretazioni. Una discriminante decisiva è però il sistema di arruolamento: se avviene in autonomia e con inquadramento dentro strutture regolari di un esercito straniero non è normalmente perseguito o perseguibile (a maggior ragione se ottiene una autorizzazione dal governo italiano). Se invece passa attraverso una rete di reclutamento non autorizzata o se presuppone il pagamento da parte di un intermediario finisce nei casi regolamentati e vietati dalla legge.

La versione del Chiappalone, di CasaPound e di un legale che lo ha assistito per alcune questioni burocratiche è che abbia fatto tutto da solo. Versione che però non convince il padre, il quale sottolinea come la sua esperienza militare sia nulla, o limitata ad alcune sedute di softair, la pratica di simulazione di azioni belliche con armi ad aria compressa. Chiappalone avrebbe preso un volo fino in Polonia (ha postato alcune foto sui social network da Cracovia il 29 aprile) e poi da lì avrebbe attraversato il confine in pullman. Al momento si troverebbe nella zona di Kharkiv.

Non è ancora del tutto chiaro, tuttavia, se la rete di reclutamento di cui il procuratore di Genova sospetta l’esistenza sia effettivamente attiva, o come eventualmente funzioni.

L’ipotesi di reato per Chiappalone è definita dall’articolo 3 della legge 210/1995 che ratifica la convenzione internazionale dell’ONU contro il reclutamento, l’utilizzo, il finanziamento e l’istruzione di mercenari.

«Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altra utilità o avendone accettato la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio comunque controllato da uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di una delle Parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle forze armate di uno Stato estraneo al conflitto, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da due a sette anni».

Nelle prime fasi della guerra inoltre la Farnesina aveva emesso una nota ricordando come la partecipazione al conflitto potesse costituire «una condotta penalmente rilevante ai sensi degli articoli 244 e 288 del codice penale» che vietano atti ostili nei confronti di uno stato estero o arruolamenti in eserciti stranieri se non autorizzati dal governo.

– Leggi anche: Gli italiani che combattono in Ucraina

Al momento, secondo fonti del ministero degli Esteri, gli italiani impegnati nella guerra in Ucraina, su entrambi i fronti, sarebbero fra i dieci e i venti.

Il caso più noto è quello di Giulia Schiff, veneziana ed ex allieva dell’Aeronautica militare che denunciò casi di nonnismo durante l’addestramento e fu espulsa: da marzo si è arruolata come pilota nell’esercito ucraino. Schiff e il suo avvocato avevano in passato spiegato come il suo caso non rientrasse in quelli perseguibili per legge perché inserita con un «regolare contratto con l’esercito ucraino, che comprende grado e regolare diaria di militare». Schiff non risulta indagata per nessun reato perché la sua situazione non rientrerebbe nelle condotte di mercenariato (art. 3 L. 210/95) o quelle di reclutamento non autorizzato nello Stato Italiano (artt. 244 e 288 c.p.).

Diversa invece la situazione di Andrea Palmeri, quarantaduenne di Lucca condannato in primo grado nel settembre del 2021 a cinque anni di reclusione nell’ambito di un’inchiesta sui reclutatori di mercenari da mandare a combattere a fianco dei russi nel conflitto in Donbass del 2014.

Palmeri, soprannominato “Generalissimo”, ha un passato come leader dei Bulldog, gruppo egemone nella curva ultras della sua città e militante di Forza Nuova. Ha anche una precedente condanna a due anni per un’aggressione a un militante di sinistra ed è attualmente latitante (con mandato di arresto europeo), ma non nasconde di trovarsi in Ucraina, più precisamente nelle zone delle autoproclamate repubbliche filorusse. È stato ritenuto colpevole (sempre a Genova) di aver reclutato e istruito più persone per «partecipare ad azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale del governo ucraino».