• Domenica 17 luglio 2022

È difficile dire quanto inquinano le mascherine

In due anni di pandemia si è discusso molto del loro impatto ambientale, senza avere dati a sufficienza

di Marzia Trezzi

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)
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In due anni di pandemia le mascherine sono diventate tra gli oggetti usa e getta più utilizzati al mondo. Ogni giorno decine di milioni di mascherine usate diventano rifiuti e per questo, già dalle prime fasi della pandemia, diversi studi hanno cercato di valutare il loro impatto ambientale. La discussione è ancora in corso perché quantificare il problema – così come stimare il numero di mascherine utilizzate dall’inizio della pandemia – è difficile, ma dopo due anni sembra che l’impatto sia stato minore rispetto a quanto temuto.

All’inizio del 2020 non era ancora completamente evidente se le mascherine servissero davvero a limitare il contagio: sarebbero stati necessari studi e ricerche prima di avere conferme definitive nel primo anno di pandemia. Da allora, si è iniziato a consumare enormi quantità di mascherine, tanto che la domanda, nelle fasi più critiche dell’emergenza sanitaria, aveva ampiamente superato la capacità di produzione. In risposta a questa grave mancanza, la produzione di mascherine era aumentata ovunque e in Europa a settembre 2020 le importazioni erano più che raddoppiate rispetto all’inizio del 2019. Con il tempo ci siamo accorti dell’enorme quantità di rifiuti che avevano prodotto e le immagini di mascherine usate ai bordi delle strade, sulle spiagge e nei mari sono diventate un accessorio visivo della pandemia in tutto il mondo.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che, tra marzo 2020 e novembre 2021, siano state prodotte 87.000 tonnellate di rifiuti tra mascherine, guanti monouso e altri dispositivi di protezione personale. L’OMS ha inoltre stimato che il 44% di questi rifiuti derivi da sprechi e non dal loro effettivo utilizzo, per questo ha organizzato campagne di prevenzione per informare i consumatori sul corretto impiego e smaltimento delle mascherine.

Naturalmente la produzione stessa delle mascherine ha un impatto sull’ambiente, sia per quanto riguarda l’estrazione delle materie prime, sia per il consumo dell’energia per produrle e trasportarle. Ad aprile Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ha pubblicato un rapporto sui progressi dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile che compongono l’Agenda 2030, un progetto dedicato alla crescita economica, all’inclusione sociale e alla tutela dell’ambiente avviato nel 2016 dalle Nazioni Unite e che si concluderà nel 2030. Il rapporto dice che la pandemia ha avuto effetti negativi sull’ambiente, soprattutto sull’obiettivo numero 12, che corrisponde al «consumo, la produzione e lo sviluppo responsabili». La pandemia ha influito negativamente, facendo aumentare l’utilizzo di prodotti usa e getta, come le mascherine, i guanti e diversi altri prodotti di plastica, comprese le confezioni per alimenti da asporto, aumentate in conseguenza del maggiore uso di consegne a domicilio. Nel luglio del 2021 era arrivata a conclusioni analoghe anche l’European Environment Agency (EEA), segnalando che in Europa erano stati emessi tra i 2,4 e 5,7 milioni di tonnellate di anidride carbonica (il principale gas serra) in seguito alla produzione di mascherine che – rispetto al trasporto e alla gestione dei rifiuti – era la maggior responsabile delle emissioni.

Non ci sono informazioni più dettagliate al riguardo perché non è stato fatto un monitoraggio specifico sull’uso delle mascherine, a causa del caos dei primi mesi di pandemia: per esempio il trasporto, dovuto alle importazioni e alle esportazioni delle mascherine, non è stato incluso negli studi, nonostante il suo probabile alto impatto nell’aumento delle emissioni di anidride carbonica.

Le mascherine monouso hanno per loro natura vita breve e sono realizzate con materiali tipicamente utilizzati nell’industria tessile, come il polipropilene, il poliestere e il nylon, che di solito compongono tessuti sintetici. Per questo e perché potrebbero essere infette, vanno gettate nella spazzatura generica e successivamente portate agli inceneritori, ai termovalorizzatori oppure in discarica (come avevamo spiegato più estesamente qui).

Per quanto riguarda l’Italia, il “Rapporto Rifiuti Urbani sui dati del 2020” dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha segnalato una diminuzione della produzione totale dei rifiuti urbani del 3,6% rispetto al 2019, mentre non ha rilevato una diminuzione altrettanto consistente dei rifiuti urbani inceneriti, attribuibile, almeno in parte, proprio alle mascherine. Negli anni precedenti alla pandemia la produzione di rifiuti era già in diminuzione: le mascherine hanno rallentato questa tendenza, ma non l’hanno invertita. È comunque bene ricordare che i lockdown hanno probabilmente influito sulla quantità di rifiuti urbani prodotti in generale.

Valutare l’impatto ambientale delle mascherine disperse nell’ambiente è inoltre problematico a causa della variabilità del loro design e della combinazione dei materiali che le compongono: come altri oggetti, anche le mascherine possono rompersi in piccoli pezzi sotto l’azione di agenti atmosferici, chimici o biologici, fino a formare le microplastiche, piccolissimi frammenti di plastica che contaminano l’ecosistema. Non ci sono però ancora dati affidabili sul potenziale impatto del fenomeno sull’ambiente per quanto riguarda le mascherine e altri dispositivi di protezione individuale utilizzati in questi anni di pandemia.

Per conciliare la salute umana con il benessere ambientale, sono in corso diversi studi per capire come modificare il design e i materiali delle mascherine, in modo da poter privilegiare materiali biodegradabili rispetto a quelli attualmente in uso. Come in molti altri ambiti, per adesso abbiamo solo la certezza che un utilizzo consapevole può portare a un impatto ambientale più contenuto.

Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.