• Sport
  • Lunedì 13 giugno 2022

Il controverso “super tifoso” della NBA

James Goldstein è sempre in prima fila e ben riconoscibile alle partite più importanti, ma ora è accusato di essersi arricchito alzando gli affitti alle persone meno abbienti

James Goldstein allo Staples Center di Los Angeles nel 2018 (AP Photo/Marcio Jose Sanchez)
James Goldstein allo Staples Center di Los Angeles nel 2018 (AP Photo/Marcio Jose Sanchez)
Caricamento player

Il perimetro che circonda i campi da gioco della NBA è un luogo in cui le misure di sicurezza sono rigidissime, anche se all’apparenza non sembrerebbe, vista l’assenza delle barriere e l’impercettibile presenza degli addetti. È infatti la zona più vicina al campo e che più entra in contatto con il gioco: a volte inevitabilmente, come quando i giocatori finiscono in mezzo ai seggiolini per recuperare un pallone, altre in modo imprevisto, come quando Lapo Elkann “rubò” il pallone a José Calderón dei Toronto Raptors regalando il possesso ai Los Angeles Lakers fra gli applausi dello Staples Center, e le imprecazioni di Calderón.

A bordo campo siedono inoltre i cosiddetti “superfan” del campionato, ossia quei tifosi facoltosi che seguono le loro squadre da decenni, sempre dagli stessi posti. Alcuni di questi sono diventati addirittura parte delle identità di certe squadre. Spike Lee, per esempio, è il più famoso tifoso dei New York Knicks e ha un posto fisso al Madison Square Garden da circa trent’anni: poco tempo fa disse di aver speso complessivamente 10 milioni di dollari in abbonamenti e biglietti, quasi 300 mila dollari a stagione.

Altri due famosi “superfan” sono Jack Nicholson e Drake. Il primo fino a pochi anni fa si vedeva spesso a bordo campo durante le partite dei Lakers, dove era solito arrabbiarsi soprattutto con gli arbitri; il secondo è una presenza fissa alle partite più importanti dei Toronto Raptors, la squadra della sua città, e spesso trova da discutere con gli avversari in campo, a volte amichevolmente, a volte no.

James Goldstein a Memphis a inizio maggio per Golden State Warriors-Memphis Grizzlies (AP Photo/Brandon Dill)

Nessuno di questi però si avvicina a James Goldstein, considerato il più grande spettatore della NBA. Anni fa lo storico commissario del campionato, David Stern, lo definì «il più grande investitore della NBA, in biglietti». Goldstein, imprenditore immobiliare residente a Los Angeles, è solito guardarsi un centinaio di partite a stagione — sia a Est che a Ovest — sempre da bordo campo, e ogni anno ha due diversi abbonamenti alle squadre di Los Angeles, i Lakers e i Clippers, che sono anche fra i più costosi del campionato.

Andò alle sue prime finali NBA nel 1957 ed è dal 1987 che vede ogni anno almeno una gara valida per il titolo, ad eccezione di quelle disputate nella “bolla” di Orlando. Nell’ultima stagione prima della pandemia fu presente a 34 partite dei playoff e in media spende almeno mezzo milione di dollari a stagione: nel 1957 un biglietto per le finali gli costò 25 dollari, mentre nel 2016 arrivò a spendere 12.500 dollari per esserci in gara-5 delle finali tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers.

Negli ultimi 65 anni ha visto dal vivo quasi tutti i più grandi momenti nella storia del campionato, e in questi giorni — a 82 anni compiuti — si può vedere tra Boston e San Francisco per le finali in corso tra Celtics e Warriors. È diventato quindi una presenza familiare per squadre e giocatori, tanto da recitare la parte di sé stesso in Hustle, film sul basket con Adam Sandler e diversi giocatori NBA uscito da poco su Netflix.

Goldstein è diventato famoso stando a bordo campo durante le partite, vestito sempre allo stesso modo — con cappelli in pelle di alligatore, giacche sgargianti e fazzoletto al collo — ma non molti sanno chi è e cosa fa esattamente. Si presenta spesso come appassionato di moda, basket e architettura, come si può leggere nelle bio dei suoi profili social, e per anni lo si è visto alle sfilate di moda tra New York, Parigi e Milano. A Los Angeles è famoso soprattutto per la sua casa sulle colline di Beverly Hills progettata dall’architetto americano John Lautner — allievo di Frank Lloyd Wright — diventata nel corso degli anni un’attrazione nel suo genere, anche perché fra le tante cose non comuni al suo interno ospita un night club.

Nonostante la sua grande esposizione, ha mantenuto sempre grande riserbo sulle attività che lo hanno reso ricco. Di recente, tuttavia, il Washington Post ha indagato su di lui e ne ha tracciato un profilo non proprio lusinghiero. Goldstein deve infatti le sue fortune ai parchi per case mobili che possiede in tutta la California. Questi parchi sono soluzioni abitative piuttosto diffuse negli Stati Uniti, soprattutto fra i pensionati, perché permettono di vivere a costi contenuti in aree attrezzate e tutto sommato ospitali. Solitamente i proprietari come Goldstein possiedono i terreni e li affittano alle persone che ci vogliono andare a vivere con i loro mezzi.


Il Washington Post ha contattato diversi residenti di queste aree, i quali hanno spiegato come Goldstein sia noto per alzare gli affitti in modo indiscriminato, spesso contro le leggi statali che li regolano. Il sindaco di Carson, una delle località che ospitano i parchi, lo ha definito «un bullo e una spina nel fianco» per tutte le cause intentate negli anni sul costo degli affitti. Un avvocato che ha rappresentato le località di Carson e Palm Springs in queste lunghe dispute ha spiegato al Washington Post che a Goldstein «non importa nulla» dell’impatto che le sue decisioni hanno sui residenti, persone non abbienti come nel caso di William Smalley, un camionista in pensione che già nel 2006 si vide alzare l’affitto del terreno che occupava da 413 a 1.032 dollari al mese.

Il sindaco di Carson sostiene inoltre che Goldstein «si stia comprando l’eredità derubando i poveri per dare ai ricchi», riferendosi sia alla sua presenza fissa in NBA che alle sue ultime donazioni. Di recente infatti Goldstein, che non ha moglie né figli o eredi, ha lasciato in eredità la sua casa di Beverly Hills al Museo d’arte di Los Angeles e ha comprato con una donazione uno spazio a lui dedicato nel museo della pallacanestro a Springfield — la Naismith Memorial Basketball Hall of Fame — che ora ospita le sue gigantografie insieme a quelle dei giocatori che hanno fatto la vera storia del basket.

Goldstein si è difeso dalle accuse dicendo di non dare mai importanza a quello che viene detto su di lui, e ha spiegato al Washington Post: «Anche se mi definisco un liberale, non credo che le norme per il controllo degli affitti siano giuste. È facile per qualcuno che non è del settore dare un’occhiata alle mie attività e paragonarmi a uno di quegli avidi padroni di casa. Ma quelle che abitano in queste aree non sono persone bisognose che non possono permettersi di pagare di più».