Una canzone di Anne Dudley

Che ne ha fatte di cotte e di crude

(Alexander Koerner/Getty Images)
(Alexander Koerner/Getty Images)
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Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Sempre per passione delle cose Watergate sto vedendo la serie che si chiama Gaslit , con Julia Roberts e Sean Penn (è di quelle che esce un episodio alla settimana): la serie è ben recitata, scritta un po’ confusamente, ma nella settima stancante puntata c’è un bell’uso del preludio di Tristano e Isotta di Wagner e nella sesta invece c’era una versione che ignoravo di quel gran pezzo degli Steely Dan di cui parlammo qui – Dirty work – che fu pubblicata nientemeno che dalle Pointer Sisters, quelle di I’m so excited . L’uso è un po’ un imbroglio perché ai tempi del Watergate era appena uscita quella degli Steely Dan e la cover delle Pointer Sisters invece è del 1978, ma erano tempi divertenti.
Rimanendo su convergenze simili, la resurrezione di Running up that hill di Kate Bush prosegue, e lei – che è un tipo schivo – ha scritto per ringraziare.
Nel nuovo film dei Minions, invece, c’è St.Vincent che fa una cover di Funkytown , una stramba cosa che andò forte nel 1980: loro erano americani, si chiamavano Lipps Inc., e ne imbroccarono una seconda -molto più riuscita, se chiedete a me – con la cover di How long degli Ace.

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Anne Dudley

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Se I’m so excited qui sopra vi ha fatto entrare in un mood di eccitazione serale, bisogna che vi diate una regolata, che oggi è lunedì e toccano dolcezza e malinconia struggente, e il treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va.
Anne Dudley ha 66 anni e vorrei passare un mese con lei a farmi spiegare cose che probabilmente non capirei: fa la compositrice, la pianista, la direttrice, ed è passata da vendere un sacco di dischi con gli Art of noise a suonare con la BBC Orchestra a scrivere colonne sonore e vincerci pure un Oscar (per The full Monty ). Dopo avere studiato da pianista classica, a 25 anni conobbe Trevor Horn , che negli anni Ottanta fu creatore e produttore di alcune delle cose più inventive del pop britannico: il risultato fu che Dudley collaborò a buona parte del primo disco degli ABC, quello di The look of love e poi formò con Horn gli Art of noise, grandi precursori di elettronica e appiccicatori di suoni che ebbero un breve ma notevole successo. Da lì Dudley mise le mani in tantissimo pop britannico e poi iniziò a tornare a cose più classiche (tra l’altro, coincidenze, in questa bella intervista racconta quanto amasse ” the sound of Philadelphia “).

Quattro anni fa mise insieme le due cose con un disco di versioni dei pezzi degli Art of noise per pianoforte e poco altro , dimostrando che non era solo una questione di tecnologia ed elettronica. Il disco è bello (qui su Spotify ) e si conclude con una cosa che non è esattamente degli Art of noise, ma viene dallo stesso ceppo ed è – di quel ceppo – forse quella più famosa, insieme a Relax dei Frankie goes to Hollywood : e la sua storia l’avevo invece raccontata qui.

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