Una comunità che si fa museo

L'esperienza del Museo dei 5 Sensi di Sciacca, dove operatori economici e cittadini fanno parte del progetto messo insieme da una manager con la nostalgia di casa

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Nel luglio del 1831 gli abitanti di Sciacca, sulla costa sudoccidentale della Sicilia, videro uscire dal mare un’insolita colonna di fumo: era l’attività di un vulcano sottomarino, che per diverse settimane andò avanti a eruttare materiale roccioso fino a creare un’isola sopra il livello del mare.

Per mesi Inghilterra, Francia e Regno delle Due Sicilie si contesero il possesso della nuova isola, molto ambita per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, prima che la stessa tornasse sott’acqua a gennaio dell’anno successivo (le ragioni per cui ebbe una vita così breve e la contesa internazionale di quei sei mesi sono raccontati in modo più approfondito nella newsletter di Strade blu di questa settimana).

Pannello informativo della mostra Antiquarium di monte Kronio (Claudio Caprara/Il Post)

La storia dell’isola che emerse dalle acque per poi tornarci rimase molto popolare sia a Sciacca che in tutta la Sicilia, generando racconti e leggende. Ancora oggi viene chiamata “l’isola che non c’è” o “isola Ferdinandea”, il nome che le fu dato all’epoca della sua comparsa in onore del re Ferdinando II di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie.

Dell’isola Ferdinandea a Sciacca si parla ancora: non solo per il fascino e la singolarità della sua storia, ma anche perché le eruzioni e i fenomeni sismici che avevano portato alla sua emersione causarono la formazione di un tipo di corallo unico al mondo, e che per questo viene chiamato proprio “corallo di Sciacca”.

In città sono laboratori e botteghe di “corallari” che lo lavorano e ne fanno oggetti preziosi, quasi sempre lasciando il loro spazio aperto al pubblico, che può fermarsi a osservare e farsi spiegare la lavorazione di quel materiale, insieme ai racconti sull’origine corallifera che rendono il corallo unico per colore e impatto ambientale (prossimo allo zero) nella sua raccolta.

La lavorazione del corallo (Tommaso Merighi/Il Post)

Le botteghe dei corallari sono solo una delle molte attrazioni culturali di Sciacca, che dal 2019 è diventata un “museo a cielo aperto”: «Le strade sono i corridoi di questo museo, le piazze sono le sale d’esposizione, le vetrine delle botteghe e le finestre delle case sono le teche attraverso cui mostrare il tesoro più grande: le persone che si prendono cura di questo luogo e raccontano la propria attività», spiega Viviana Rizzuto, l’ideatrice del progetto per rilanciare la città.

Tornare a Sciacca
Viviana Rizzuto è un’ingegnera elettronica che per più di 12 anni ha lavorato come “program manager” per conto di multinazionali americane: il suo compito era innovare ed ottimizzare i processi aziendale e coordinare i diversi responsabili di progetto dei vari dipartimenti – ingegneria, marketing, customer service… – in modo che tutto fosse concluso nei tempi stabiliti, entro i costi programmati e con il livello di qualità promesso. Era un lavoro che la costringeva a viaggiare molto, per coordinare uffici in Asia, in Europa e negli Stati Uniti.

Sciacca (Claudio Caprara/Il Post)

A un certo punto ha deciso che sarebbe tornata a Sciacca, la città in provincia di Agrigento in cui era nato suo padre, dove lei aveva vissuto dai 13 anni fino all’università, prima di cominciare a spostarsi per lavoro.

Anche nei lunghi periodi all’estero aveva considerato Sciacca la sua casa – nonostante fosse nata a Genova – perché lì aveva gran parte della sua famiglia e dei suoi affetti. «Ci venivo spesso, avevo anche aperto un ristorante, il cuore era sempre qua», racconta.

«Viaggiando in giro per il mondo – spiega Rizzuto – mi ero resa conto che nel top management delle più grandi aziende ci sono spesso italiani, ma quando chiamavo a casa mi raccontavano della crisi che c’era, della mancanza di prospettive».

Ha cominciato a pensare a cosa potesse fare lei per Sciacca e prima ancora di immaginare il suo ruolo ha lasciato il suo lavoro ed è tornata in Sicilia.

«Forse ha pesato anche il fatto di essere diventata mamma, – dice – volevo far crescere i miei figli in un territorio bello come il nostro. Ma prima di pensare alla loro crescita c’erano tante cose da fare in questo posto».

Così quel desiderio nato in modo istintivo è diventato presto un progetto razionale: «Ho pensato che quello che sapevo fare io era innovare i processi, gestire risorse, e secondo me era esattamente la cosa che mancava a Sciacca: imparare a gestire l’immenso potenziale di cui disponevamo».

C’era già, insomma, la materia prima su cui lavorare, cioè il fascino del luogo e le competenze delle persone, perciò secondo Rizzuto non era necessario inventarsi niente di nuovo: «Il cambiamento più grande che possiamo portare in un territorio come il nostro – italiano, siciliano – è un’innovazione dei processi». Il resto c’è già.

La nascita dell’ecomuseo
A gennaio del 2019 Rizzuto ha coinvolto altre persone con competenze trasversali e ha aperto un tavolo di discussione al circolo di cultura di Sciacca, per tirare fuori delle idee.

«È divertente ripensarci oggi: ci veniva chiesto di continuo dalle persone, e anche dai giornalisti locali, cosa stessimo combinando. All’inizio non volevamo presentare idee, volevamo arrivare a parlare quando ci fosse stato qualcosa di concreto».

Sciacca (Claudio Caprara/Il Post)

Il 16 aprile 2019 è nata l’Associazione di promozione sociale (APS) “Ecomuseo dei 5 sensi”: cioè la struttura che da quel momento in poi ha cominciato a rendere tutta la città di Sciacca un museo visitabile.

Gli ecomusei, o “musei diffusi”, sono territori con un patrimonio di tradizioni, cultura e bellezza naturalistica tale da essere particolarmente degni di tutela e valorizzazione, in modo che possano diventare interessanti per un pubblico con scopi turistici. Non sono luoghi individuabili in un singolo edificio, ma fanno riferimento a un’area geografica più o meno vasta: Sciacca per esempio è una città di quasi 40mila abitanti.

L’organizzazione è però a tutti gli effetti quella di un museo, con percorsi tematici e visite guidate. Quello di Sciacca è detto “dei 5 sensi” per il tipo di esperienza che offre: oltre alle cose da vedere e alle storie del luogo da farsi raccontare, ci sono cibi da provare e attività pratiche a cui si può partecipare (la partecipazione alla lavorazione della ceramica e del corallo, corsi di cucina, uscite con i pescatori, la scoperta delle terme).

«All’inizio non si pensava a un museo diffuso – spiega Rizzuto – abbiamo raccolto le proposte che sono emerse dalle persone di Sciacca che abbiamo incontrato. Ci sono state delle proposte specifiche, misurabili, realizzabili con le risorse che avevamo a disposizione».

Ognuno offriva le sue competenze: l’avvocato si occupava delle questioni burocratiche, il lavoratore del corallo si rendeva disponibile a far diventare la sua bottega un’attrazione, i contadini a raccontare la storia della coltivazione e della conservazione del grano nelle grotte di Sciacca, prima che venisse inviato in tutta la Sicilia.

L’idea dell’ecomuseo fu la conseguenza di quello che offriva il territorio.

A febbraio del 2020 la Regione Sicilia riconobbe ufficialmente l’ecomuseo di Sciacca, ad aprile dello stesso anno nacque la Cooperativa di Comunità “Identità e Bellezza”, di cui Viviana Rizzuto è fondatrice e presidente. È la struttura operativa che si occupa di gestire i fondi, di parlare con gli investitori e di promuovere le iniziative dell’ecomuseo.

È stata la prima impresa sociale non profit in Sicilia, oggi ha oltre 100 soci e ha creato una rete di 48 associazioni, ognuna delle quali si occupa di tutelare un bene comune: ce n’è una per il corallo, una per la ceramica… In tutto ci lavorano più di 5mila persone.

«Siamo tutti coinvolti», dice Viviana Rizzuto. La cooperativa si mantiene vendendo prodotti e servizi legati al turismo: per ogni prodotto venduto, l’80 per cento del guadagno va direttamente all’artigiano, il 20 per cento va alla cooperativa che lo reinveste per valorizzare il territorio.

L’ingresso del museo
Il logo dell’ecomuseo di Sciacca è composto da cinque archi, che rappresentano le cinque antiche porte di ingresso alla città (e cinque sono anche i “sensi” nel nome dell’ecomuseo).

Per la verità nel logo uno degli archi non è del tutto visibile: è formato simbolicamente dalle intersezioni degli altri quattro, perché anche a Sciacca nessuno sa più dire dove fosse posizionata la vecchia Porta Bagni. Cadde o fu abbattuta, apparentemente senza lasciare tracce, se non in qualche fotografia o disegno architettonico che però non aiutano a collocarla.

Le altre invece sono Porta di Mare – che cadde a sua volta ma lasciando dei resti ancora ben visibili –, Porta Palermo, Porta San Calogero e Porta San Salvatore: da qui siamo entrati per la nostra visita al museo diffuso.

Oltrepassata la porta ci sono subito due chiese, una di fronte all’altra: ci spiegano che è normale, a Sciacca ce ne sono decine.

Come in ogni museo, poco più in là dell’ingresso c’è l’infopoint: in città ce ne sono dodici, e se ne occupano direttamente gli stessi cittadini e commercianti di Sciacca.

In ognuno vengono date ai turisti le brochure con i percorsi e le attività da fare in città (sono cinquanta) e audioguide gratuite, registrate direttamente dagli abitanti per dare ai racconti e alle spiegazioni una maggiore personalizzazione.

Il primo infopoint che si incontra dopo Porta San Salvatore è un negozio di arredamento d’interni, lo gestisce da 43 anni con sua moglie Santo D’Aleo, che però di mestiere fa l’attore: «L’ultimo film, su Pirandello, ho finito di registrarlo quindici giorni fa, con Toni Servillo», racconta.

D’Aleo ha l’abitudine di accogliere chi arriva nel suo negozio con poesie in dialetto siciliano o parti recitate, anche quando si tratta di turisti stranieri. Poi, per capirsi con chi non parla l’italiano, usa l’assistente virtuale di un tablet fornito dalla Cooperativa come interprete.

Va molto fiero di questo sistema che è stato escogitato e ci mostra la sua efficacia: «Ok Google, fammi da interprete in spagnolo», e si fa tradurre qualche breve frase. «Parla tutte le lingue», ci assicura, poi precisa ridendo: «Tranne il calabrese e il siciliano».

Il corallo
Camminando per Sciacca ci si imbatte in diverse botteghe di corallari, i professionisti del corallo. Probabilmente si tratta del patrimonio più particolare e pregiato della città. È infatti il risultato dei fenomeni sismici e vulcanici (gli stessi che causarono l’emersione dell’Isola Ferdinandea dal mare nel 1831).

Poco più di centocinquanta anni fa i pescatori di Sciacca trovarono, là dove era emersa l’isola, tre enormi banchi di coralli. Avevano la particolarità di essere già morti a causa dell’attività vulcanica sottomarina, e quindi per pescarli non era necessario farli morire togliendoli dal loro habitat, come avviene di solito. Per questo motivo a Sciacca dicono di avere l’unico tipo di corallo “ecosostenibile al mondo”.

L’origine fossile conferisce un colore caratteristico: le sue sfumature vanno dal rosa chiaro all’arancio intenso, con delle macchie brunastre o addirittura nere, dovute alle alte temperature a cui è stato esposto.

Oggi il corallo di Sciacca non si può pescare per legge: si può solo raccogliere quello che viene trasportato casualmente a riva, ma i corallari possono ancora contare sulle nutrite riserve accumulate negli anni.

Dopo la scoperta dei tre banchi di corallo, si racconta nelle botteghe, a Sciacca c’era talmente tanto corallo che non era nemmeno considerato pregiato, si dice che le contadine giocassero con le biglie di corallo giallo.

Nelle botteghe si fanno collane, accessori, decorazioni per cinture, borse e scarpe: spesso alcuni di questi oggetti sono commissionati da stilisti d’alta moda. Non possono esserci due pezzi uguali, perché sono lavorati a mano con incisioni di pochi millimetri.

La ceramica
L’altro pezzo forte di Sciacca è la ceramica, che i turisti possono provare a lavorare nelle botteghe insieme agli artigiani: ci sono quelli che modellano proprio la ceramica per ottenere oggetti e statuine, e quelli che si occupano più specificamente di decorazioni. In tutta Sciacca ci sono circa 30 ceramisti, 11 dei quali fanno parte dell’ecomuseo.

Noi siamo entrati nella bottega di Antonio Carlino, che l’ha ereditata dal padre alcuni anni fa: «La aprì nel secondo Dopoguerra, è la più antica di Sciacca», dice.

Un giorno, verso la fine degli anni Cinquanta, dalla bottega passò per caso un colonnello di cavalleria, che era membro della direzione del museo storico di cavalleria di Pinerolo, in provincia di Torino. Rimase colpito dagli oggetti prodotti dal padre di Carlino, e gli propose di partecipare a un bando che il museo aveva aperto per realizzare una serie di statuine che raffigurassero antiche uniformi di cavalleria. Vinse, e da allora, per effetto del passaparola, cominciò a lavorare anche per altri corpi dell’esercito, inserendosi in una nicchia che tutt’oggi il negozio rifornisce stabilmente.

Le grotte
«Assabinidica!», ci dicono accogliendoci nella grotta di Nobildonna, sul monte Kronio, una collina di 395 metri a 7 chilometri da Sciacca. Assabinidica è un antico saluto siciliano, molto rispettoso, usato nel museo diffuso per dare il benvenuto alle persone. Significa «vossia mi benedica», ma anche «siate benedetto».

Il monte Kronio è una riserva naturale, all’interno della quale si trova un complesso intricato di grotte molto note per le loro proprietà termali, che si devono ai fenomeni vulcanici sottomarini della zona. Sono dette “stufe di San Calogero”.

Il santo è uno dei patroni di Sciacca. A lui è intitolata una basilica che si trova sull’apice del monte (che viene appunto chiamato anche “monte San Calogero”).

Si dice che il santo, che visse tra il quinto e il sesto secolo dopo cristo, abbia trascorso molti anni della sua vita in una di quelle grotte, da eremita, fino alla morte.

Alla sua figura sono legate, nei racconti popolari, le proprietà curative e terapeutiche delle grotte termali, che si dice usò per assistere i pellegrini malati che si recavano sul monte.

Fino a sette anni fa erano ancora usate come terme, oggi sono aperte solo per le visite turistiche.

Andare di fretta
Quando siamo arrivati a Sciacca, un’auto stava girando con dei megafoni per invitare le persone ad andare allo stadio a vedere l’ultima partita in casa della squadra di calcio locale.

Secondo Viviana Rizzuto fa tutto parte dello stesso spirito da cui è nato il museo diffuso: «Il filo comune è la voglia di comunità, la voglia di mettersi insieme per ottenere dei risultati».

Raggiungere di continuo obiettivi concreti è ciò che rende tutti ottimisti, soprattutto lei: «Nei prossimi cinque anni cresceremo, ci moltiplicheremo. Stiamo pensando a una nuova sede e a nuovi finanziamenti per le tecnologie, che consentiranno di fare una formazione di alto livello sui giovani», dice.

Sciacca si trova in provincia di Agrigento, che nelle annuali classifiche del Sole 24 Ore è sempre una delle più povere d’Italia, e viene indicata come una di quelle in cui si vive peggio.

Viviana Rizzuto lo ricorda per sottolineare il valore del lavoro fatto a Sciacca, e la velocità con cui tutto è successo, anche se precisa: «Sappiamo che il percorso è ancora lungo».

Dalla prima idea di fare un museo diffuso a Sciacca sono passati solo poco più di tre anni, con in mezzo la pandemia, e sono già stati raggiunti molti obiettivi importanti che hanno certificato la sostenibilità del progetto e il valore dell’offerta per il pubblico.

«La verità è che questa trasformazione va molto più veloce di quello che noi stessi pensavamo».

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