Un grande archivio per conservare i ghiacciai

Ice Memory è un ambizioso progetto di ricerca per salvare in Antartide campioni di ghiacciai, a partire da quelli italiani, prima che sia troppo tardi

di Emanuele Menietti

Alpinista sul Monte Bianco, nel 2011 (AP Photo/David Azia,File)
Alpinista sul Monte Bianco, nel 2011 (AP Photo/David Azia,File)
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In una conca esposta a nord a circa 2.700 metri sul Gran Sasso d’Italia, c’è un ammasso di ghiaccio unico nel suo genere: quello del Calderone, il solo ghiacciaio degli Appennini e il più meridionale d’Europa. Ha una superficie di circa 30mila metri quadrati, circa un terzo di quella che aveva due secoli fa, ridotta a causa del riscaldamento globale. È destinato a scomparire entro pochi decenni. Al suo interno conserva preziose informazioni sulle evoluzioni del clima mediterraneo degli ultimi secoli e per questo un ambizioso progetto vuole salvarne almeno un pezzo, per analizzarlo e tenerlo al sicuro per le generazioni future in uno dei luoghi più freddi e inaccessibili del Pianeta: l’Antartide.

Il progetto per creare un archivio del Calderone e degli altri ghiacciai che rischiano l’estinzione si chiama Ice Memory ed è strettamente legato all’Italia.

Tra i fondatori dell’iniziativa ci sono infatti il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che insieme ad altre istituzioni internazionali hanno costituito nel 2021 una fondazione che coordina la gestione dei finanziamenti e le attività di ricerca. Il progetto coinvolge decine di ricercatrici e ricercatori, consapevoli dell’urgenza della loro missione, legata al rapido scioglimento di alcune delle più grandi masse di ghiaccio specialmente nell’arco alpino.

«L’idea venne a me e al mio collega francese Jérôme Chappellaz, a un incontro organizzato sette o otto anni fa a Grenoble, in Francia», racconta il professor Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di scienze polari del CNR, ricordando come nacque il progetto: «Ci rendemmo conto dell’esigenza di salvare questi ghiacci, che non sono solo acqua congelata, ma una riserva di moltissime informazioni ambientali e climatiche».

Da una iniziativa bilaterale, che coinvolgeva Italia e Francia, si passò rapidamente a una visione più ampia, per coinvolgere istituzioni di ricerca in tutto il mondo.

Strati e dati
Quando pensiamo a un ghiacciaio tendiamo a immaginare una grande massa bianca più o meno sempre uguale a se stessa, che cambia molto lentamente. In realtà la maggior parte dei ghiacciai è in costante movimento, per effetto della gravità che li porta verso valle e per le variazioni stagionali della temperatura, che causano lo scioglimento dei ghiacci e la loro rottura, talvolta in modo spettacolare e fragoroso. I ghiacciai sono inoltre molto sensibili alle modifiche del clima in cui si trovano, e proprio per questo vengono spesso definiti “sentinelle dei cambiamenti climatici”.

In generale, il cambiamento climatico sta avendo un grande impatto sulla criosfera, la porzione di ghiaccio e neve che ricopre la superficie terrestre. Il progressivo aumento della temperatura media globale ha effetti tangibili sulla salute dei ghiacciai. Solo per quanto riguarda l’Europa, si stima che la maggior parte dei ghiacciai alpini che si trovano al di sotto dei 3.600 metri di altitudine scomparirà completamente entro la fine di questo secolo. Perderemo non solo importanti riserve di acqua dolce, ma anche un registro senza pari su ciò che è accaduto al nostro Pianeta nel corso dei millenni.

In un certo senso, i ghiacciai raccolgono costantemente informazioni, sotto forma di polveri e altre sostanze in sospensione nell’atmosfera. Queste rimangono imprigionate nei fiocchi di neve, che nelle aree fredde – come quelle di alta quota o ai poli – rimangono al suolo per buona parte dell’anno. A ogni stagione fredda si aggiunge un nuovo strato, che compatta quello precedente rendendolo meno esposto ai fenomeni di scioglimento durante la stagione calda.

Il risultato è una sorta di lasagna di ghiaccio, che al posto del ragù mantiene negli strati polveri e altre sostanze presenti nell’atmosfera in un determinato periodo.

Carote
Per analizzare le informazioni racchiuse nei ghiacciai, i gruppi di ricerca effettuano un carotaggio: prelevano cioè un lungo cilindro di ghiaccio (la “carota”) di solito dalla parte più spessa di un ghiacciaio, andando molto in profondità fino agli strati più antichi della massa di ghiaccio che vogliono analizzare. In basso si trovano le parti meno recenti, via via compattate da quelle che si sono formate nell’ultimo periodo.

L’analisi della carota consente non solo di ottenere informazioni sull’evoluzione del ghiacciaio, per esempio per capire se in alcuni periodi sia cresciuto in modo più marcato rispetto ad altri, ma anche per recuperare le sostanze che si trovavano nell’atmosfera ed erano state imprigionate dalla neve.

In questo viaggio del tempo glaciale, si possono scoprire le concentrazioni di pollini per ricostruire il tipo e l’andamento della flora in determinati periodi, polveri derivate da grandi eruzioni vulcaniche e ancora l’impatto delle attività umane sull’ambiente, a partire dall’inquinamento.

Una carota di ghiaccio (Ice Memory Italia)

I primi carotaggi nei ghiacci furono effettuati nelle regioni polari, dove lo spessore del ghiaccio può arrivare fino a 4,5 chilometri e si possono quindi teoricamente raccogliere campioni risalenti a 1,5 milioni di anni fa. I ghiacciai montani hanno uno spessore più limitato, raramente superano i 300 metri, e offrono quindi possibilità di analisi su periodi di qualche decina di migliaia di anni, ma sono comunque importanti per ricostruire le caratteristiche del clima in particolari aree geografiche.

Il Calderone e gli altri
Il ghiacciaio del Calderone, per esempio, ha uno spessore massimo che ormai non supera i 25 metri. Sopravvive grazie alla propria posizione, una conca esposta a nord e quasi sempre all’ombra del Gran Sasso, parzialmente nascosto da uno strato di pietre. A metà aprile un gruppo di ricerca ha raggiunto in elicottero la zona per una prima ricognizione in modo da trovare il punto più adatto per effettuare un carotaggio, andando sufficientemente in profondità.

Come hanno spiegato i partecipanti alla ricognizione, non rimane ormai molto di questo ghiacciaio, la cui storia è stata comunque a lungo travagliata a causa della latitudine cui si trova. Si formò almeno due milioni di anni fa, ma dopo l’ultimo periodo glaciale probabilmente scomparve quasi del tutto, formandosi nuovamente a partire dal Quindicesimo secolo, nel corso della cosiddetta Piccola era glaciale, le cui entità e durata sono ancora discusse.

La massa di ghiaccio del Calderone è definita un “glacionevato”, termine che viene utilizzato per indicare una formazione di ghiaccio e neve che rimane sostanzialmente ferma, a differenza dei ghiacciai che invece si muovono verso valle. La posizione particolare e in ombra ha fatto sì che il corpo glaciale perduri da secoli, conservando al proprio interno informazioni importanti sull’evoluzione nel tempo del clima mediterraneo. E ciò spiega perché i glaciologi, cioè le persone che studiano i ghiacciai, siano particolarmente interessati ai ghiacci del Gran Sasso.

L’analisi dei ghiacciai alpini può offrire informazioni importanti anche sui cambiamenti nel corso dei secoli e dei millenni del clima mediterraneo, ma un ghiacciaio in centro Italia potrebbe fornire molti più spunti di ricerca, trovandosi in un’area soggetta a minori interferenze derivanti da altre condizioni climatiche.

Per quanto riguarda l’area alpina, Ice Memory sta comunque svolgendo altre importanti attività di rilevazione e prelievo sulla Marmolada e il Montasio nelle Alpi orientali e sul Grand Combin e il Monte Rosa in quelle occidentali. Come il Calderone, anche il Montasio è destinato a scomparire entro pochi decenni: i carotaggi di Ice Memory potrebbero essere l’ultima opportunità per conservarne alcuni campioni.

(Ice Memory Italia)

Difficoltà
Effettuare i carotaggi non è sempre semplice, sia a causa delle condizioni meteo che possono incontrare le spedizioni ad alta quota, sia per le caratteristiche dei ghiacciai. Ne sanno qualcosa i glaciologi che alla fine del 2020 si sono occupati del Corbassiere, un ghiacciaio sul versante nord del Grand Combin tra il Monte Bianco e il Monte Rosa.

Si stima che in oltre un secolo e mezzo, il Corbassiere abbia perso quasi un terzo della propria area, ora estesa per poco meno di 15 chilometri quadrati. Il gruppo di ricerca non è riuscito a estrarre campioni andando molto in profondità, a causa della presenza di uno strato di acqua liquida. Si sono dovuti accontentare di tre carote superficiali, con una lunghezza inferiore ai 25 metri, e sono quindi al lavoro per programmare una nuova spedizione per recuperare campioni significativi prima che sia troppo tardi.

Le cose sono andate meglio sul Gornergletscher, uno dei più grandi ghiacciai alpini, che si trova nella parte orientale del Monte Rosa, tra Italia e Svizzera. Anche questo ghiacciaio ha subìto un’importante riduzione nella propria estensione nell’ultimo secolo e mezzo, perdendo circa il 40 per cento della propria superficie: ora ha un’estensione di circa 40 chilometri quadrati.

Nel giugno del 2021 una spedizione ha permesso di raccogliere carote di ghiaccio superficiali e due fino a una profondità di 82 metri. Il gruppo di ricerca stima che nelle sezioni più profonde si possano ottenere dati sul clima e l’ambiente di 10mila anni fa, potenzialmente il ghiaccio più antico dell’intero arco alpino.

La spedizione sul Monte Rosa del 2021 (Ice Memory Italia)

Antartide
Il successo di Ice Memory non dipenderà solamente dai buoni esiti delle attività di prelievo, ma anche dalla possibilità di conservare per i prossimi secoli i campioni ottenuti dai ghiacciai in giro per il mondo. Era necessario trovare un congelatore capiente e affidabile, sempre attivo e in grado di funzionare di continuo e senza guastarsi. I promotori dell’iniziativa non ci hanno messo molto a identificare nell’Antartide, il più grande congelatore naturale del pianeta, la soluzione ideale ai problemi di conservazione delle carote di ghiaccio.

Grazie a un importante trattato internazionale sottoscritto alla fine degli anni Cinquanta, l’Antartide non appartiene a nessun paese e la permanenza di esseri umani sulla sua superficie è consentita solo per fini pacifici e a scopi di ricerca, senza possibilità di sfruttamento economico. Il trattato non è riconosciuto da tutti i paesi e ci sono numerose rivendicazioni su porzioni del continente, ma nonostante queste il territorio è rimasto pressoché incontaminato grazie alla loro sospensione. Ogni anno, nel periodo estivo, migliaia di gruppi di ricerca da tutto il mondo collaborano a varie iniziative, affrontando condizioni ambientali estreme.

L’Italia ha in Antartide una base permanente di ricerca che si chiama Concordia, gestita in collaborazione con la Francia. In estate è popolata da una trentina di persone, mentre nel periodo invernale le spedizioni sono più ridotte e contano poco meno di 15 occupanti.

La base Concordia in Antartide (CNR)

Nei pressi della base sarà costruito il grande archivio dei ghiacci, spiega Barbante: «L’Antartide è un grande laboratorio di scienza e di pace. Vicino a Concordia, a 3.200 metri di quota, scaveremo una sorta di grande trincea raggiungendo una profondità di 10 metri. Sarà una sorta di hangar, nel quale potremo conservare le carote di ghiaccio, protette da materiali isolanti per evitare contaminazioni. Svilupperemo poi un database, per risalire alla zona di provenienza di ogni carota, al periodo di estrazione e ad altri dettagli sulla loro estrazione».

Barbante dice che i lavori di preparazione potrebbero iniziare a breve e che le prime carote di ghiaccio potrebbero arrivare entro 3-4 anni. Nell’hangar ci sarà una temperatura intorno ai -50 °C, più che sufficiente per conservare i campioni per i prossimi secoli: «L’idea è di mantenere l’archivio aperto e disponibile a tutti, in modo da essere accessibile alle future generazioni di ricercatori, che potranno studiare i ghiacci per comprendere meglio come si è evoluto il clima nei millenni, derivando importanti informazioni anche per comprendere gli attuali cambiamenti climatici». Altri progetti, che riguardano in questo caso perforazioni a grandi profondità direttamente in Antartide, consentiranno di ottenere altri dati preziosi per studiare il clima.

Dall’avvio del progetto, Ice Memory ha raccolto l’adesione di istituzioni e centri di ricerca in Europa, negli Stati Uniti, in Cina e in Russia, ora al lavoro per la raccolta di campioni da alcuni dei loro ghiacciai più importanti o messi seriamente a rischio a causa dell’aumento delle temperature. La pandemia da coronavirus prima e la guerra in Ucraina poi hanno causato qualche rallentamento nelle attività di ricerca, ma i progetti sono ormai avviati e la presenza di una fondazione consentirà di ottenere i finanziamenti necessari e di ingrandire in pochi anni l’archivio dei ghiacci in fase di costruzione in Antartide.

Futuro
Secondo le stime degli scienziati, raccolte nel 2019 in un importante rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) dell’ONU, entro la fine di questo secolo le Ande, le Alpi europee e le catene montuose dell’Asia settentrionale perderanno fino all’80 per cento dei loro ghiacciai, se continueremo a immettere nell’atmosfera grandi quantità di anidride carbonica, come avvenuto negli ultimi decenni. Il processo potrà essere mitigato se riusciremo a ridurre sensibilmente le emissioni entro pochi anni, ma una perdita consistente dei ghiacciai montani è ormai inevitabile.

Così come le fotografie dei primi del Novecento sono per noi la principale testimonianza di come si presentassero un tempo i ghiacciai, in futuro le immagini satellitari dei giorni nostri saranno il principale ricordo di quelli estinti e di quanto fossero più estesi quelli ancora esistenti, ma non saranno l’unico. Grazie alle iniziative come Ice Memory, potranno continuare a raccontare la loro storia alle generazioni future, protetti dai ghiacci dell’Antartide.