Le polemiche sull’ANPI in vista del 25 aprile

Si continua a parlare delle posizioni filorusse del suo presidente, e di come sia cambiata l'associazione negli ultimi anni

Corteo del 25 aprile a Milano (FOTO ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
Corteo del 25 aprile a Milano (FOTO ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
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Negli ultimi giorni stanno continuando le polemiche attorno all’ANPI, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia, soprattutto a causa di alcune dichiarazioni del presidente Gianfranco Pagliarulo sulla guerra in Ucraina, considerate controverse e in parte filorusse. Le discussioni, alimentate anche dall’avvicinarsi del 25 aprile, il giorno in cui in Italia si festeggia la liberazione dal regime fascista e dall’occupazione nazista, hanno provocato diverse tensioni sia all’interno dell’organizzazione sia all’esterno, e fanno temere a qualcuno che le celebrazioni possano essere più agitate del solito.

Le polemiche sono state anche l’occasione per attaccare l’ANPI in quanto tale, soprattutto da destra, sostenendo una tesi ormai ripetuta da anni: che non essendoci più partigiani, o quasi più (per ragioni anagrafiche), anche l’esistenza dell’ANPI non avrebbe più alcun senso. L’organizzazione attuale sarebbe, in altre parole, un’eredità novecentesca di nessuna utilità.

Tutto è iniziato quando l’ANPI aveva commentato il massacro compiuto dai russi nella città ucraina di Bucha chiedendo di fare luce su «cosa è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili», lasciando aperta la possibilità che i responsabili non fossero i soldati russi (possibilità che non ha alcun fondamento e che è stata sostenuta soltanto dalla propaganda di stato russa). Il presidente dell’ANPI aveva poi sottolineato: «Con quasi ogni certezza sono stati i russi a compiere il massacro di Bucha, ma ciò non toglie che ci dev’essere un processo prima di una condanna. Serve una commissione d’inchiesta neutrale per appurare i fatti e specifiche responsabilità».

Il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, con il contestato manifesto celebrativo del 25 aprile (ANSA/FABIO FRUSTACI)

A complicare le cose c’è stata poi la pubblicazione del manifesto fatto preparare dall’ANPI per il 25 aprile, in cui compare la scritta tratta dall’articolo 11 della Costituzione «L’Italia ripudia la guerra», in cui però è tralasciato il resto del testo che recita: «[L’Italia ripudia la guerra] come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Quindi non ripudia la guerra in assoluto; per esempio non lo fa con una guerra fatta per difendersi dall’aggressione di un altro stato, cioè quella ucraina.

Infine, alcuni siti e giornali sono andati a ripescare un post che Pagliarulo pubblicò nel 2014 dopo le rivolte di piazza a Kiev, che portarono alla caduta dell’allora governo filorusso guidato da Viktor Yanukovich e all’arrivo alla presidenza dell’europeista Petro Poroshenko (che poi perse nel 2019 le elezioni contro l’attuale presidente, Volodymyr Zelensky). Il 18 giugno 2014 Pagliarulo scrisse: «Bombardata Donetsk dai caccia e dagli elicotteri. Circa cento morti. Dopo la strage di Odessa. Per molto meno sono intervenuti in passato l’Onu, la Nato, il tribunale dell’Aja. Oggi, invece, c’è il silenzio dei cimiteri. Tranne gli States, che applaudono. Questo è il nuovo presidente dell’Ucraina».

Le posizioni di Pagliarulo sono sempre state piuttosto evidenti. È un errore però pensare che l’ANPI sia un’organizzazione monolitica.

Innanzitutto vanno considerati i numeri: l’Associazione nazionale partigiani d’Italia ha 135mila iscritti. Per fare un paragone con partiti politici: la Lega ne ha 100mila, il Movimento 5 Stelle 115mila, Fratelli d’Italia 130mila. Solo il Partito Democratico con 412mila iscritti ne ha di più. In un’associazione così grande (i simpatizzanti dell’ANPI sono moltissimi) le posizioni sono le più diverse, anche a livello dirigenziale.

Roberto Cenati, presidente della federazione milanese, la più numerosa con oltre 13mila iscritti, dice al Post che «il diritto alla Resistenza è inalienabile ed è accolto sostanzialmente anche dalla nostra Costituzione perché fa parte del concetto di sovranità popolare. Insomma, gli ucraini vanno sostenuti nella loro battaglia di resistenza. Capisco le perplessità di chi teme un’escalation, è comprensibile. Ma senza l’invio di armi è difficile che riescano a resistere». Cenati poi aggiunge: «Senza dubbio in Ucraina c’è la legittima resistenza di un popolo contro un esercito aggressore. La Resistenza italiana ed europea sono avvenute in contesti storici diversi da quelli odierni, ci sono punti di contatto e inevitabili differenze».

Cenati ha anche ricordato cosa disse il segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, al giornalista Giampaolo Pansa che gli chiedeva cosa pensasse della posizione dell’Italia nella Nato: «Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico (…) Mi sento più sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia».

Parole simili a quelle di Cenati le ha dette Albertina Soliani, senatrice del Partito Democratico, vicepresidente dell’ANPI e presidente dell’Istituto Alcide Cervi: «Francamente sono convinta che bisogna riconoscere la Resistenza nel mondo, come quella in Ucraina, stare dalla sua parte e sostenerla. Sono in gioco i valori della democrazia. Certo che c’è un travaglio di coscienza, ma mi chiedo come si possa fermare l’invasore e difendere le vittime. Anche i partigiani usarono le armi».

Maurizio Verona, sindaco di Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, dove il 12 agosto 1944 le truppe naziste uccisero 540 civili, tra cui 130 bambini, ha detto al Foglio: «Tra la nostra Resistenza e quella dell’Ucraina non ci sono differenze. Un popolo invaso ha tutto il diritto di difendersi e va aiutato in questa impresa coraggiosa, anche con le armi».

La lapide con i nomi delle vittime di Sant’Anna di Stazzema (Ansa)

Anna Cocchi, presidente dell’ANPI di Bologna, ha detto, parlando del comunicato dopo la strage di Bucha: «Io lo avrei scritto in maniera diversa». Anche Carlo Smuraglia, ex presidente dell’ANPI, ha detto a Repubblica: «Un popolo che resiste contro l’invasore va sempre aiutato».

Se le posizioni contro le continue prese di posizione di Pagliarulo all’interno dell’ANPI sono state molte, sarebbe sbagliato però pensare che il presidente nazionale sia isolato.

Un esempio: sulle pagine Facebook del circolo ANPI di Crescenzago, un quartiere di Milano, sono apparsi post in cui viene attaccato chi è favorevole all’invio di armi. In uno dei post è raffigurato il segretario del Partito Democratico Enrico Letta con elmetto militare e giubbotto antiproiettile sopra un articolo intitolato: «I non graditi al corteo del 25 aprile». Quando Roberto Cenati ha telefonato al circolo di Crescenzago chiedendo che venissero rimossi quei post, il presidente del circolo gli ha risposto: «Lasciamo un po’ di pluralismo. Gli ucraini sono aggrediti e maciullati dall’esercito russo, ma io sono sulla posizione del Papa e dell’ANPI nazionale: bisognava intervenire subito per fermare il conflitto come Europa, con la diplomazia, invece che mandare armi agli ucraini. Questo ci porterà al disastro completo. Io invito a costruire la pace, anche se è utopistico».

Tutti gli iscritti all’ANPI si ricompattano però quando viene messo in dubbio il diritto stesso dell’Associazione a esistere. In un articolo del quotidiano Libero è stato scritto: «Avendo smarrito da tempo il suo scopo, oggi l’associazione combattentistica interviene sui temi più disparati: dall’accoglienza dei migranti alle battaglie per i diritti LGBTQI, potendo contare su cospicui finanziamenti statali».

È vero che per ovvie questioni anagrafiche i partigiani presenti nell’ANPI sono ormai pochi ma è altrettanto vero che l’articolo 23 dello statuto dell’ANPI recita che possono essere iscritti oltre a coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota, anche coloro che «condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’ANPI, intendono contribuire, in qualità di antifascisti con il proprio impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi, con il fine di conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l’impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni, come elemento fondante della Repubblica, della Costituzione e della Unione Europea e come patrimonio essenziale della memoria del Paese».

Furono gli stessi ex partigiani che nel 2006, quando era presidente Carlo Smuraglia, autorizzarono anche i non combattenti ad iscriversi all’associazione: una sorta di passaggio di testimone dai partigiani a tutti gli antifascisti. D’altra parte, nell’articolo 2 dell’Associazione, scritto quando fu fondata, è riportato che tra gli scopi c’è quello di «valorizzare in campo nazionale ed internazionale il contributo effettivo portato alla causa della libertà dall’azione dei partigiani e degli antifascisti, glorificare i caduti e perpetuarne la memoria».

Tra l’altro fin dalla sua fondazione l’ANPI ha rappresentato anime diverse e non sono mancate le lacerazioni. Già nel 1948 i partigiani cattolici uscirono dall’ANPI per fondare la Fivl, Federazione italiana volontari della libertà (ne facevano parte il presidente dell’Eni Enrico Mattei e il ministro Paolo Emilio Taviani). Nel 1949 ci fu un’altra scissione, quella dei partigiani legati alle formazioni di Giustizia e Libertà. Nell’ANPI rimasero essenzialmente gli ex partigiani socialisti e comunisti, che erano comunque la grande maggioranza degli ex combattenti. Nel comitato esecutivo c’erano due partigiani comunisti, Arrigo Boldrini, nome di battaglia Bulow, prima medaglia d’oro al Valor militare della Resistenza, e Vincenzo Moscatelli, nome di battaglia Cino, e un socialista, Guido Mosna, nome di battaglia Farina. Boldrini fu anche presidente dell’ANPI ininterrottamente dal 1947 fino al 2006. Tra socialisti e comunisti le discussioni non mancavano, anche se poi prevaleva sempre il senso di appartenenza dovuto all’essere stati partigiani.

Discussioni e liti interne ci furono poi con lo scioglimento del Partito comunista in seguito al XX congresso nazionale del 1991. Tra gli ex partigiani ci fu chi aderì al Partito democratico della sinistra, come lo stesso Boldrini e Carlo Smuraglia, e chi come Giovanni Pesce, altra figura storica della Resistenza italiana, comandante dei Gap (Gruppi di azione patriottica) e autore del noto libro biografico Senza tregua, si iscrisse invece a Rifondazione comunista. Pur dividendosi nei due tronconi nati dallo scioglimento del PCI, e scontrandosi parecchio su questo tema, gli ex partigiani rimasero tutti iscritti all’ANPI. Da Rifondazione comunista viene anche l’attuale segretario Gianfranco Pagliarulo, poi eletto senatore nelle liste del Pdci, Partito dei comunisti italiani. Carla Nespolo, presidente prima di Pagliarulo, aveva invece aderito al Partito democratico della sinistra.

Discussioni accese all’interno dell’ANPI ci sono state anche in occasione del referendum sulla riforma costituzionale voluto Matteo Renzi: il presidente Smuraglia si schierò decisamente per il No mentre altre componenti, minoritarie, erano favorevoli all’approvazione della riforma. Più in generale, all’interno dell’associazione c’è un dibattito tra chi, come l’attuale presidente, pensa che l’associazione forte dei suoi 135mila iscritti debba occuparsi di politica in senso ampio, andando a occupare anche quell’area a sinistra del Partito Democratico che al momento è scarsamente rappresentata in Parlamento, e chi invece come il presidente della federazione milanese è convinto che l’ANPI debba fare meno politica e concentrarsi maggiormente sulla memoria della Resistenza.

Corteo del 25 aprile a Milano (ANSA/STEFANO PORTA)

Intanto per il corteo milanese del 25 aprile è stato deciso un rafforzamento del servizio d’ordine, di solito garantito in larga parte dalla Fiom, la Federazione impiegati e operai metallurgici della Cgil. Quest’anno alle solite tensioni che si ripetono ogni anno legate al passaggio della Brigata ebraica, sempre contestata da alcuni centri sociali, si aggiungono quelle delle divisioni sulla guerra in Ucraina.

A Milano ci saranno tutti i dirigenti nazionali dell’ANPI e molti dirigenti dei partiti di sinistra. «Per fortuna», dice ancora Cenati al Post, «è tramontata l’idea della stessa Brigata ebraica di sfilare con le bandiere della Nato. Io sono sempre al fianco della Brigata ma sinceramente con la Liberazione che cosa c’entra la bandiera della Nato? Gliel’ho fatto notare e l’hanno capito».

Il presidente dell’ANPI parlerà dal palco, così come il sindaco di Milano Giuseppe Sala, Dario Venegoni, presidente dell’Aned, Associazione ex deportati nei campi nazisti, Roberto Cenati, presidente della federazione milanese dell’ANPI e del Comitato permanente antifascista. E soprattutto parlerà Tetyana Bandelyuk, lavoratrice ucraina che guiderà in testa al corteo la delegazione dei suoi connazionali.