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  • Domenica 27 marzo 2022

Cosa farà ora l’organizzazione di Navalny

Dopo la nuova condanna, un membro del team del più grande oppositore di Putin racconta che è ora di «internazionalizzare lo scontro» contro il regime russo

di Eugenio Cau

Ruslan Shaveddinov a Vilnius, Lituania (foto Eugenio Cau)
Ruslan Shaveddinov a Vilnius, Lituania (foto Eugenio Cau)

Una delle prime cose che dice Ruslan Shaveddinov, tra i principali membri della Fondazione Anti-corruzione (FBK), l’organizzazione di Alexei Navalny, è che per il più grande movimento di opposizione politica contro Vladimir Putin è il momento di «internazionalizzare lo scontro» con il regime russo: «Abbiamo trascorso dieci anni a combattere contro il governo russo in Russia. Ora lo combattiamo in tutto il mondo».

Due delle principali mosse legate a questa internazionalizzazione hanno riguardato l’Italia: all’inizio di marzo, la FBK ha pubblicato un’inchiesta video, pubblicata su YouTube, su Valentina Matvienko, presidente del Consiglio federale russo (la camera alta del Parlamento) e fedele collaboratrice di Putin. Nell’inchiesta si mostrava tra le altre cose che Matvienko possiede una lussuosa villa sulle colline sopra Pesaro. Questa settimana, sempre su YouTube, è uscita una nuova inchiesta secondo cui uno yacht da 700 milioni di euro ormeggiato nel porto toscano di Marina di Carrara apparterrebbe direttamente a Putin.

Le due inchieste, soprattutto la seconda, hanno creato un grosso dibattito all’estero, specialmente in Italia, e hanno mostrato l’influenza che in questi anni ha raggiunto la FBK.

Shaveddinov parla con il Post in un caffè di Vilnius, la capitale della Lituania, dove lui e la gran parte del team di Navalny si sono trasferiti ormai da vari mesi, dopo l’arresto di Navalny e dopo un successivo provvedimento che ha reso illegale la FBK in Russia, mettendola alla pari di organizzazioni terroristiche come al Qaida: «Per lo stato russo, sono un terrorista», dice, sorridendo.

Alexei Navalny è da oltre un decennio il principale politico di opposizione in Russia, l’unico che sia stato in grado in tempi recenti di creare una vera minaccia per Putin, anche se non è mai riuscito davvero a insidiarlo alle elezioni: spesso perché gli è stato impedito di partecipare, o perché è stato coinvolto in casi giuridici proprio a ridosso del voto. Nel frattempo, però, Navalny è diventato un simbolo anche in Occidente. Tra le altre cose ha vinto nel 2021 il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, il più importante riconoscimento per i diritti umani in Europa.

Navalny creò la Fondazione Anti-corruzione nel 2011, all’inizio della sua carriera politica nazionale, come strumento per raggiungere uno degli scopi principali del suo movimento politico: mostrare la corruzione di Putin e del regime russo. Da allora ha pubblicato varie grosse inchieste giornalistiche, sia sul presidente russo sia sulla cerchia degli oligarchi che gli sta intorno, mostrandone le enormi ricchezze e la violazione sistematica della legge.

Come tutte le inchieste recenti, anche le due che hanno toccato l’Italia, quella su Matvienko e quella sullo yacht, sono state prodotte da Vilnius, dove la FBK ha un ufficio in centro, che fa anche da sala di registrazione per i vari format di informazione che la FBK produce, compresa una specie di notiziario quotidiano chiamato “Popular Politics”, di cui Shaveddinov è uno dei conduttori: il telegiornale è trasmesso in russo e in queste settimane parla soprattutto della guerra; e siccome è trasmesso dalla Lituania non deve sottostare alla censura del governo russo.

«Dopo l’ultima ondata di repressione in Russia, che ha provocato la chiusura di vari media indipendenti e piccoli giornali, il canale YouTube di Navalny è diventato una delle principali fonti di informazione per i russi per capire cosa sta succedendo con la guerra in Ucraina», dice Shaveddinov.

Se fosse rimasto in Russia, Shaveddinov sarebbe quasi certamente in prigione, come Navalny: «Ho quattro processi criminali a mio carico», dice. Lo stesso vale per tutti gli altri membri del team a Vilnius, come Leonid Volkov, che è il capo di gabinetto di Navalny e, in sua assenza, il capo della FBK, Lyubov Sobol, una degli avvocati del team, e vari altri: tutti sono accusati di vari crimini in Russia. «Assieme a Navalny, abbiamo deciso che saremmo stati più utili qui in Lituania piuttosto che in prigione».

Questa settimana, un tribunale in Russia ha condannato Alexei Navalny ad altri nove anni di prigione: Navalny è in carcere da più di un anno, e sia le nuove accuse sia quelle per le quali era stato condannato nel 2020 sono state considerate dagli osservatori internazionali pretestuose e prive di fondamento, un espediente del regime russo per neutralizzare una minaccia politica (secondo diverse ricostruzioni giornalistiche, il regime di Putin aveva già tentato di avvelenare Navalny nel 2020).

Tutti i membri del team di Navalny sono stati arrestati varie volte, e sottoposti a diverse forme di repressione. Tra le varie misure prese contro gli oppositori russi, quella messa in atto contro Shaveddinov è una delle più notevoli: alla fine del 2019, un gruppo di agenti dei servizi di sicurezza fece irruzione a casa sua e lo deportò su un’isola semi disabitata sopra il Circolo polare artico.

Shaveddinov al tempo aveva un ruolo piuttosto importante nell’opposizione russa: gestiva il team che si occupava della strategia dello “smart vote”, che consisteva nell’appoggiare in ogni distretto qualunque candidato che non fosse di Russia Unita, il partito di Putin, anche se non sosteneva esplicitamente Navalny.

Ufficialmente, la ragione per la deportazione (che Shaveddinov definisce «rapimento») era il servizio militare che tutti i ragazzi russi tra i 18 e i 27 anni devono fare (anche se ci sono ampie eccezioni, soprattutto per i figli delle famiglie più ricche): ma è piuttosto evidente che il servizio di leva non va a prendere le reclute sfondando la porta delle loro case.

Shaveddinov fu portato, ammanettato, in un’isola dell’arcipelago di Novaya Zemlya, un remoto gruppo di isole a nord del Circolo polare artico che ai tempi dell’Unione Sovietica veniva usato per i test nucleari.

Lì, assieme ad altri 4–5 coscritti, Shaveddinov visse per un anno in una specie di baracca (lui sostiene che assomigliasse a un barile, per la forma tondeggiante), senza elettricità e senza acqua corrente: «Per lavarci andavamo a scavare la neve e la scioglievamo per avere acqua». Non fece vero servizio militare. «A volte mi occupavo di scacciare gli orsi polari. La mia ragazza mi aveva mandato molti libri, e leggevo». Con gli altri coscritti, dice, è rimasto in contatto: «Ci facciamo gli auguri per le feste».

Questa tattica di inviare gli oppositori a fare un finto servizio di leva in luoghi remoti è diventata negli ultimi anni relativamente comune nel regime russo.

Un anno dopo la sua deportazione, Shaveddinov è tornato a Mosca. Nel giro di un altro anno era in esilio a Vilnius. «Per la prima volta in dieci anni, qui in Lituania non ho più paura quando sento bussare alla porta. Ma ancora sappiamo di non essere del tutto al sicuro», dice.

Oggi, l’attività della FBK riguarda soprattutto l’informazione. L’attività principale del team riguarda il lato investigativo, con inchieste come quella sullo yacht di Putin, e il lato informativo, con i canali di news: «Abbiamo iniziato perché volevamo fare politica», dice Shaveddinov, «e siamo finiti col fare i giornalisti».

Questo è un sintomo anche delle difficoltà di costruire un movimento di opposizione in un regime autoritario come quello della Russia di Vladimir Putin. Il movimento di Navalny, nel corso degli anni, è stato molto efficace nel creare enormi manifestazioni: le ultime, l’anno scorso, coinvolsero migliaia di persone in decine di città tutta la Russia. Ma dal punto di vista elettorale il movimento ha faticato a ottenere risultati, in parte per l’ostruzionismo del regime e in parte perché il movimento di Navalny è conosciuto soprattutto nelle città.

La decisione di «internazionalizzare lo scontro» con il regime russo, e dunque di ampliare il raggio di azione della FBK, con nuove inchieste e un nuovo sito internazionale, è arrivata direttamente da Navalny, ed è stata annunciata sui suoi account social il giorno stesso della condanna, questa settimana. Dalla prigione, Navalny ha perso la gestione quotidiana della sua organizzazione, ma continua a tenersi aggiornato, ad avere idee per nuovi progetti e a mandare messaggi e avvisi. Lo fa attraverso i suoi avvocati, che vede tutti i giorni, i quali poi parlano con i membri del suo team.

È così che vengono gestiti anche i social di Navalny: gli avvocati mandano al team di Vilnius i messaggi da scrivere: «Siamo un Navalny collettivo», dice Shaveddinov.

La possibilità di parlare con gli avvocati potrebbe essere messa in pericolo dopo la nuova condanna: c’è il rischio che Navalny venga giudicato recidivo e messo in una prigione con un livello di sicurezza più alto, dove l’accesso quotidiano agli avvocati gli sarebbe negato. Per ora però non ci sono informazioni a proposito.

L’invasione dell’Ucraina, dice Shaveddinov, ha colto di sorpresa perfino Navalny: «Anche lui non voleva credere che Putin avrebbe commesso un errore così grosso». «Ora tutti si sono accorti che Putin è un pericolo non solo per la Russia, ma per tutta l’Europa, e questo avrà enormi implicazioni per la Russia e per lo stesso Putin: fino a qualche anno fa era un dittatore corrotto, ora è diventato un criminale di guerra».

Secondo lo staff di Navalny, le sanzioni contro gli oligarchi sono un passo avanti, ma non sono sufficienti. Putin e i suoi alleati nell’establishment russo dovrebbero essere processati per crimini di guerra: «Se non lo fermiamo ora, sarà la fine per la Russia», dice Shaveddinov.