Quanto costano le concessioni agli stabilimenti balneari

I dati ministeriali mostrano nel dettaglio quanto incassa lo Stato da oltre 12mila canoni d'affitto per le spiagge italiane

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(Jonny Clow/Unsplash)

Da ormai 15 anni, da quando nel 2006 la Commissione europea approvò la cosiddetta, direttiva Bolkestein, al governo italiano è richiesto di liberalizzare le concessioni pubbliche, cioè i beni di proprietà statale come le spiagge, attraverso gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale. I governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno mai applicato questa direttiva, sostenendo che i suoi effetti fossero troppo ampi e che nel caso delle concessioni balneari avrebbero danneggiato ingiustamente molte imprese.

Di proroga in proroga, gli stabilimenti hanno quindi continuato a pagare canoni di affitto molto ridotti. Secondo gli ultimi dati della Corte dei Conti, nel 2020 lo Stato ha incassato 92 milioni e 566mila euro per 12.166 concessioni “ad uso turistico” a fronte di un giro d’affari difficile da stimare con precisione, ma che negli ultimi anni è stato quantificato in 15 miliardi di euro all’anno dalla società di consulenza Nomisma. Questa stima è stata recentemente contestata da uno studio commissionato dal sindacato balneari in collaborazione con Confcommercio secondo cui il giro di affari ammonterebbe a un miliardo di euro.

L’indagine della Corte dei Conti spiega il problema in poche righe piuttosto efficaci: «I canoni attualmente imposti non risultano, in genere, proporzionati ai fatturati conseguiti dai concessionari attraverso l’utilizzo dei beni demaniali dati in concessione, con la conseguenza che gli stessi beni non appaiono, allo stato attuale, adeguatamente valorizzati». Insomma, gli stabilimenti balneari pagano le concessioni troppo poco rispetto ai loro guadagni.

Grazie ai dati pubblicati dal ministero delle Infrastrutture è possibile capire quanto costa il canone annuo pagato da tutti gli stabilimenti balneari italiani. I dati sono aggiornati a maggio 2021, quindi piuttosto recenti, e comprendono tutte le 12.166 concessioni ad uso turistico.

In questa mappa si possono consultare tutti i canoni. Per comodità abbiamo evidenziato alcune delle località balneari più note. In alcune regioni, come in Sicilia, i dati relativi ai canoni annui non sono stati resi disponibili.

Questa situazione è immobile da decenni: oltre ad aver goduto di canoni annui relativamente bassi, i proprietari degli stabilimenti hanno potuto rinnovare le concessioni in modo automatico. In alcuni casi i “bagni” sono gestiti dalla stessa famiglia sin dall’inizio del secolo scorso, in virtù di un patto non scritto: in cambio di concessioni infinite e affitti molto bassi, le aziende balneari avrebbero investito nelle spiagge costruendo strutture ricettive e incentivando così il turismo. L’obiettivo è stato raggiunto solo in parte: oggi i litorali italiani sono spesso ricchi di servizi, ma i prezzi per lettino e ombrellone sono alti e nelle località più note le spiagge libere sono rare.

Qualcosa potrebbe cambiare nei prossimi mesi: martedì scorso, infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato due provvedimenti per riformare il sistema delle concessioni balneari. Fino alla scorsa settimana, il governo guidato da Mario Draghi non aveva affrontato direttamente il problema, ma si era limitato a promuovere una «mappatura» delle attuali concessioni, peraltro già disponibile sul sito del ministero delle Infrastrutture con dati aperti a tutti.

Per prima cosa il governo ha preso atto, con un decreto legge, della recente sentenza del Consiglio di Stato che impone la scadenza di tutte le concessioni entro il 2024. Il tribunale aveva concesso ai gestori degli stabilimenti balneari solo due anni di proroga per «evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere». Secondo quanto stabilito dai giudici, dal 2024 le concessioni non saranno più valide e qualsiasi tentativo di introdurre nuove proroghe sarà considerato «senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’Unione Europea».

– Leggi anche: L’annosa questione delle concessioni balneari è stata risolta da un sindaco

Il governo ha poi approvato un disegno di legge per chiedere al Parlamento una delega per riformare l’intero sistema con una serie di decreti attuativi, compito che di norma spetterebbe proprio al Parlamento.

Il testo del disegno di legge in cui il governo chiede al Parlamento la delega per riformare le concessioni balneari non è ancora disponibile, ma la scorsa settimana fonti della presidenza del Consiglio hanno fatto sapere che le gare per assegnare le concessioni dovranno essere «imparziali», e favorire la partecipazione «delle microimprese e piccole imprese, e di enti del terzo settore». Saranno definiti i «presupposti e i casi per l’eventuale frazionamento in piccoli lotti» e sarà individuato un «numero massimo di concessioni» di cui si può essere titolari.

Le gare saranno preparate in modo che gli attuali proprietari conservino comunque un vantaggio competitivo: conterà «l’esperienza tecnica e professionale già acquisita», «comunque tale da non precludere l’accesso al settore di nuovi operatori», e una corsia preferenziale sarà riservata alle persone che «nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura hanno utilizzato la concessione come prevalente fonte di reddito».

Tra le altre cose, le concessioni dovranno assicurare un impatto minimo sul paesaggio, sull’ambiente e sull’ecosistema. Secondo le previsioni del governo, ci sarà una maggiore attenzione alle spiagge libere, ma non è chiaro se verrà fissata una quota minima di costa libera dagli stabilimenti balneari come è stato deciso da alcune leggi regionali. Le uniche regioni costiere che finora non hanno fissato una quota minima di spiaggia sono Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto.