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  • Mercoledì 16 febbraio 2022

Il governo vuole riformare le concessioni balneari

Martedì ha chiesto al Parlamento la delega per metterle finalmente a gara, dopo anni di discussioni

(ANSA/ Eugenio Greco)
(ANSA/ Eugenio Greco)

Martedì sera il governo guidato da Mario Draghi ha approvato due provvedimenti per riformare i meccanismi con cui vengono assegnate le concessioni pubbliche agli stabilimenti balneari, un tema di cui in Italia si discute ormai da una ventina d’anni: la misura del governo, se andrà a buon fine, potrebbe avviare nuove gare pubbliche per le concessioni a partire dal 2024.

Per prima cosa il governo ha preso atto, con un decreto legge, della recente sentenza del Consiglio di Stato che impone la scadenza di tutte le concessioni entro il 2024. Il governo ha poi approvato un disegno di legge per chiedere al Parlamento una delega per riformare l’intero sistema con una serie di decreti attuativi, compito che di norma spetterebbe proprio al Parlamento. È la prima volta che un governo prende l’iniziativa di riformare le concessioni balneari, che in alcuni casi vengono garantite alle stesse aziende da decenni.

La questione è comunque diventata piuttosto urgente dopo la sentenza del Consiglio di Stato, che aveva annullato una norma approvata dal primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle, che prorogava tutte le concessioni fino al 2033.

In realtà, appena pochi giorni prima della sentenza, anche il governo Draghi aveva rinunciato a riformare le concessioni balneari, limitandosi a promuovere una «mappatura» delle attuali concessioni. Allora come oggi, il più ostile a una liberalizzazione delle concessioni balneari tra i partiti al governo è la Lega. Nonostante martedì i suoi ministri abbiano votato a favore dell’approvazione dei due provvedimenti – votati all’unanimità – il partito ha già annunciato che intende modificare il disegno di legge durante il suo iter di conversione in legge da parte del Parlamento, verosimilmente per fissare alcuni paletti per la futura legge-delega del governo.

Ormai da 15 anni, da quando nel 2006 la Commissione Europea approvò la cosiddetta direttiva Bolkestein, il governo italiano dovrebbe liberalizzare le concessioni pubbliche, cioè i beni di proprietà statale come le spiagge, per le quali dovrebbero essere organizzate gare pubbliche con regole equilibrate e pubblicità internazionale. Secondo una stima dell’Unione delle camere di commercio in Italia sono attivi 6.823 stabilimenti balneari, per un totale di circa 12mila concessioni di terreni.

La situazione è immobile da decenni e le liberalizzazioni inesistenti: i proprietari degli stabilimenti hanno goduto per decenni di rinnovi delle concessioni quasi automatici e di canoni di affitto molto bassi (in genere pochi euro al metro quadro). In alcuni casi i “bagni” sono gestiti dalla stessa famiglia sin dall’inizio del secolo scorso, in virtù di un patto non scritto: in cambio di concessioni infinite e affitti molto bassi, le aziende balneari avrebbero investito nelle spiagge costruendo strutture ricettive e incentivando così il turismo.

Oggi però la loro posizione è diventata di fatto un monopolio, peraltro pattuito a prezzi irrisori. Una stima citata dal Corriere della Sera indica che ogni anno lo Stato ricava dalle concessioni balneari circa 115 milioni di euro, a fronte però di un giro d’affari enormemente superiore, da circa 15 miliardi di euro.

Il testo del disegno di legge in cui il governo chiede al Parlamento la delega per riformare le concessioni balneari non è ancora disponibile, ma fonti della presidenza del Consiglio fanno sapere che le gare per assegnare le concessioni dovranno essere «imparziali», e favorire la partecipazione «delle microimprese e piccole imprese, e di enti del terzo settore».

Le gare però saranno stilate in modo che gli attuali proprietari conservino comunque un certo vantaggio competitivo: conterà «l’esperienza tecnica e professionale già acquisita», «comunque tale da non precludere l’accesso al settore di nuovi operatori», e una corsia preferenziale sarà riservata alle persone che «nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura hanno utilizzato la concessione come prevalente fonte di reddito».

Comprensibilmente l’associazione di categoria dei gestori di stabilimenti balneari, Assobalneari, è molto critica della decisione del governo. «Le famiglie non sanno come pagare le bollette, le imprese chiudono perché non sanno come sostenere i costi e il problema dei governo italiano è svendere le coste e dare la possibilità agli stranieri di venire a prendere i gioielli migliori del nostro paese», ha detto ad Adnkronos il presidente di Assobalneari, Fabrizio Licordari.