La nocciola Tonda gentile romana

La storia del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre e l’esperienza di un'impresa che ha inventato una crema spalmabile diversa dalla Nutella

di Claudio Caprara

Gallese, come molti paesi del viterbese, sorge su una collina di tufo e sembra un presepe contornato da rupi e canyon, con il fondovalle percorso da torrenti che sfociano nella valle del Tevere.

Insieme ad altri 12 piccoli comuni (Calcata, Canepina, Castel Sant’Elia, Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Nepi, Orte, Vallerano, Vasanello, Vignanello) costituisce il territorio del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre.

In uno di questi, Corchiano, è stato individuato un possibile sito di stoccaggio dei rifiuti radioattivi italiani.

Tra gli obiettivi di questa organizzazione di utilità sociale senza fini di lucro c’è la valorizzazione di quei territori che hanno scelto lo sviluppo ecologico dell’agricoltura.

Il distretto promuove l’agricoltura biologica non solo come metodo di produzione, ma come modello di conversione dei territori.

La discussione sul biologico e sulla sostenibilità è complessa, ne parliamo anche nel podcast che accompagna questa tappa di Strade blu con il professor Sergio Saia.

Ciò che ci fa immaginare come potrebbe essere il futuro è un elemento che fa parte dello statuto del Biodistretto: l’idea che si possa realizzare un’alleanza tra soggetti pubblici e privati per una gestione sostenibile delle risorse del territorio e per definire insieme dei progetti per il riuso dei rifiuti, per la creazione di energie alternative e per la valorizzazione partecipata del territorio.

Come abbiamo visto nella plurisecolare esperienza della Magnifica comunità di Fiemme, l’idea di una progettazione partecipata dello sviluppo del territorio ha un valore per il futuro.

Oltre ai sindaci, aderiscono a questa iniziativa associazioni, diverse aziende agricole e alcune strutture ricettive.

Siamo tornati da queste parti per farci un’idea di come vanno le cose con le nocciole: la produzione che ha nei monti Cimini, storicamente, una delle aree più rilevanti del nostro paese.

Lazio e Campania producono circa l’80 per cento delle nocciole italiane.

Negli ultimi dieci anni la coltivazione delle nocciole è scesa di quota, ha raggiunto molte aree della valle formata dal corso del fiume Tevere. Si è recentemente calcolato che siano già più di 20 mila gli ettari di territorio coltivati a nocciola nella provincia di Viterbo.

Al di là del cambiamento del paesaggio, il problema di una monocoltura è inquietante non solo per gli ambientalisti più intransigenti. Tra l’altro, là dove prima c’erano colture che non avevano bisogno di un significativo apporto di acqua, oggi i noccioleti devono per forza essere irrigati e l’utilizzo di grandi quantità di acqua rappresenta certamente una criticità ambientale.

La corilicoltura (il nome della coltura del nocciolo) del nostro paese è circa il 13,4 per cento della produzione globale ed è seconda solo alla Turchia (che ne ha prodotto nel 2019 il 69% del totale). Dopo di noi ci sono Azerbaigian, Stati Uniti, Cile e Cina.

Le forre

Cosa sono? Per chi se lo chiedesse, apriamo una parentesi sulla forra. Evitando un click al vocabolario Treccani, ecco il “control+V”: «Profonda gola a pareti verticali, assai ravvicinate, dovuta in genere a una forte erosione regressiva esercitata dal corso d’acqua che vi scorre dentro, e spesso ulteriormente approfondita dal fondersi di un complesso di cavità a forma di marmitta create sul fondo dalla corrente vorticosa».

Una forra al limitare di un campo di nocciole (Valentina Lovato/Il Post)

Tra tufi, calanchi e formazioni prodotte dall’erosione le forre etrusche e della valle del Tevere sono forse le più spettacolari.

Dea Nocciola

Abbiamo scelto di raccontare cosa sta succedendo in questa zona analizzando il punto di vista di un’azienda che è nata e cresciuta nel viterbese ed è entrata sul mercato proponendo esclusivamente prodotti biologici.

La società si chiama Dea Nocciola. L’istinto del redattore sarebbe quello di indicare la sua produzione con la definizione: “Nutella biologica”, ma qui non vogliono neppure per scherzo sentire dire che fanno la concorrenza alla Ferrero.

«Noi non ci scontriamo con nessuno. Noi presidiamo una nicchia di mercato e abbiamo sempre e solo fatto bio, non ci siamo mai affacciati alla produzione convenzionale».

Manuela De Angelis è una delle proprietarie dell’azienda e si occupa di acquisti e vendite. È una ragazza dai modi spicci e con molta energia.

La Dea Nocciola ha una produzione basata sulla lavorazione di frutta al guscio, semi oleosi e arachidi e con una particolare attenzione alla preparazione di creme adatte a chi soffre di intolleranze alimentari.

La storia della famiglia De Angelis è intrecciata a quella delle nocciole.

Manuela e Massimiliano De Angelis (Claudio Caprara/Il Post)

«Abbiamo un piccolo noccioleto sui monti Cimini, mio nonno era uno sgusciatore. Mio padre ha avuto l’idea di produrre creme spalmabili bio da molti anni e da quando, nel 2008, è morto improvvisamente, io e i miei due fratelli lavoriamo per sviluppare l’azienda. All’inizio eravamo in cinque, oggi siamo trentacinque».

De Angelis era intollerante al latte e ai suoi derivati.

«Credo che l’idea di fare creme senza lattosio e glutine sia venuta a mio padre per permettermi di mangiare la cioccolata, perché c’era il forte sospetto che io fossi intollerante al latte. La sua lungimiranza nel 1996 ha fatto nascere questa azienda, in un periodo nel quale anche il biologico non era molto diffuso. Poi abbiamo fatto il contrario rispetto a quello che fanno tutti: un po’ alla volta abbiamo inserito anche dei prodotti con presenza di latte. Oggi in catalogo abbiamo circa 70 tipi di creme spalmabili, ci sono 35 dipendenti e il fatturato si aggira attorno ai 12 milioni di euro».

Tonda gentile romana

Nel viterbese si coltiva la nocciola Tonda gentile romana. Una specie conosciuta dall’inizio del 1400.

Si chiama Tonda perché è praticamente una sfera.

Nelle descrizioni specializzate si legge che ha «una tessitura compatta e particolarmente croccante» e un sapore «finissimo e persistente».

Se ne parla come se fosse un vino.

È un prodotto DOP, cioè ha il marchio di denominazione di origine protetta che è attribuito dall’Unione Europea agli alimenti le cui qualità dipendono dal territorio di produzione.

Viene commercializzata soprattutto in granella e come pasta, ed è destinata per lo più alla lavorazione delle creme spalmabili.

Il primo criterio per definire il prezzo delle nocciole riguarda la “resa alla sgusciatura”, cioè il rapporto tra il peso del seme e quello del frutto contenuto.

Il secondo elemento fa riferimento alla pelabilità del frutto. Se la pellicina (la cuticola) che ricopre la nocciola si rimuove facilmente vale di più.

La Tonda romana è tra le più difficili da pelare ed è anche per questo che si commercializza più spesso in granella (anche se la pellicina esterna, nonostante l’aspetto, è ricca di polifenoli e quindi ha proprietà antiossidanti).

In genere questo tipo di nocciola viene venduto nell’industria dolciaria.

Ciclo della nocciola

La nocciola non è il frutto di un vero e proprio albero.

La pianta si chiama avellano, ed è un cespuglio che comincia a fruttare dopo tre o quattro anni dalla piantumazione.

La maturità arriva a 8 anni e la produzione ne dura una trentina.

«Normalmente, quando si pianta un nuovo noccioleto, i coltivatori per i primi sei-sette anni scelgono un regime biologico, – ci ha spiegato Sandra Gasbarri, la segretaria del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre – questo consente di ottenere un incentivo annuale che si aggira su 6/700 euro all’ettaro e, appena il nocciolo diventa produttivo, passano al regime convenzionale o integrato per potere effettuare dei trattamenti che non sono previsti dalla disciplina del biologico».

Sandra Gasbarri (Claudio Caprara/Il Post)

Il regime convenzionale in agricoltura prevede l’uso di sostanze di sintesi, utilizzate a scopo fertilizzante, antiparassitario, diserbante.

Ciò non significa, in assoluto, che questo tipo di coltivazione – oltre a essere del tutto legale e controllata – abbia un impatto più pesante di altre forme per l’ambiente (per chi ne vuole sapere di più rimandiamo al podcast di Strade blu).

I punti su cui c’è maggiore distanza tra il Biodistretto e l’associazione dei produttori riguardano l’utilizzo e il controllo dell’uso del glifosato (un erbicida attualmente legale) e del neonicotinoide (un insetticida di sintesi), due sostanze chimiche fortemente contestate da parte di molte associazioni ecologiste.

«Al di là delle condizioni meteorologiche, il problema più importante che si trovano ad affrontare i coltivatori della nocciola è il cimiciato. – dice Gasbarri – La nocciola viene attaccata dalla cimice quando si è formato il frutto e a quel punto le coltivazioni vengono trattate con insetticidi per fermare i danni provocati da questo insetto».

L’insetto ha “un apparato boccale pungente-succhiatore” e per mangiare fora i frutti con delle punture usando i suoi “stiletti boccali”, raggiungendo la polpa del seme attraverso il guscio non ancora sufficientemente forte e sviluppato.

La monocoltura rende più facile il proliferare delle cimici.

Abbiamo chiesto a Sergio Saia, professore associato di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all’Università di Pisa, come si potrebbero sconfiggere il cimiciato.

I risultati dell’impatto delle cimici sul frutto si controllano al momento della vendita, e influenzano il valore del prodotto.

Un parametro fondamentale per le nocciole è la resa, ovvero che percentuale del raccolto può essere venduta come nocciole. Dai frutti raccolti si toglie il guscio e si scartano le nocciole avariate. Gasbarri ci spiega che vengono anche sottoposti ad una “prova ghigliottina”: un campione di frutti viene sezionato con una lama per verificarne l’integrità e la sanità interna. Alla fine si ottiene la resa in percentuale, ovvero il rapporto tra il peso netto del prodotto finale e quello lordo (iniziale, dei frutti col guscio): se ho raccolto un kg di nocciole e ottengo 500 grammi di prodotto, la resa sarà di 50 punti.

Normalmente varia tra i 38 e i 50 punti.

Dopo la raccolta, la maggior parte delle nocciole viene comprata dagli sgusciatori. La sgusciatura avviene per mezzo di macchine che separano il guscio dal frutto senza danneggiarlo. A questo punto si ha una nocciola sgusciata cruda. Si passa poi ad una operazione di pre-pulitura del frutto e infine con un ventilatore se ne raffina la pulizia.

A questo punto è lo sgusciatore che commercializza il prodotto, che viene fornito intero o lavorato.

Le aziende di trasformazione possono comprare il prodotto crudo, oppure quello tostato intero, la granella, la polvere oppure la nocciola trasformata in pasta.

«Noi compriamo la pasta di nocciola da uno di questi», spiega Manuela De Angelis.

Come si fa a sapere che si comprano dei frutti coltivati in modo biologico?

«Ci fidiamo dei nostri produttori di pasta di nocciola tostata e siamo sicuri di comprare un prodotto biologico. Non abbiamo mai avuto un problema di qualità. Noi, come loro, facciamo le analisi su tutti i lotti che ci forniscono, sulla materia prima e a campione sul prodotto che esce dalle nostre lavorazioni. Vent’anni fa la scelta del biologico è stata audace, ma adesso ci sta dando grandi soddisfazioni».

Le nocciole vengono raccolte tutte a settembre, poi vengono essiccate e stoccate per essere tostate durante l’anno e vendute quando c’è domanda.

Il Progetto nocciola Italia

Le persone che fanno riferimento al Biodistretto, compreso il presidente Famiano Crucianelli, con cui abbiamo parlato non vogliono polemizzare con le politiche di sviluppo della Ferrero, che è di gran lunga la realtà più importante del mondo nel mercato della nocciola.

I confronti e gli scontri tra i rappresentanti del Biodistretto e i produttori (in gran parte rappresentati da Assofrutti, un’organizzazione che raccoglie circa il 40% di produttori della provincia di Viterbo ed è iscritta all’Elenco Nazionale Produttori Frutta in Guscio), in questi anni, non sono mancati.

Per fare fronte ad una sempre maggiore richiesta di frutti del nocciolo da parte della Ferrero nel maggio del 2015 la Regione Lazio, la Ferrero e l’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) firmarono un accordo per l’attuazione di un programma per lo sviluppo della coltivazione delle nocciole nel Lazio.

L’obiettivo era di incentivare e consolidare la filiera agroindustriale, in armonia con uno sviluppo sostenibile del territorio del comparto della nocciola.

L’operazione sta funzionando.

La Ferrero, in questo ambito, ha cooperato «per lo sviluppo del progetto supportando la ricerca, la formazione e lo sviluppo della produzione vivaistica, e provvedendo alla definizione di meccanismi contrattuali di medio-lungo termine con gli agricoltori».

I risultati si stanno vedendo. Aumenta la superficie destinata ai noccioleti e i risultati economici dei coltivatori sono talmente positivi che anche un’annata devastante come è stata quella del 2021 non ha sconvolto più di tanto i grandi produttori.

Sul Post avevamo dedicato un articolo per spiegarlo bene: «Il progetto con cui la Ferrero ha deciso di intensificare la produzione italiana si chiama Progetto nocciola Italia e ha l’obiettivo di sviluppare 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleto, circa il 30 per cento in più dell’attuale superficie, entro il 2025».

I prodotti

Nell’idea di marketing di Dea Nocciola, fino a poche settimane fa, non c’era quella di vendere direttamente le proprie creme, ma solo di creare prodotti personalizzati sulle esigenze dei soggetti che le commercializzano. Questa formula di etichettatura privata (Private Label) ha definito il mercato di riferimento dell’azienda.

I clienti dell’azienda viterbese non sono italiani, ma quasi tutti nel resto d’Europa. Il servizio che Dea Nocciola fornisce è un vasetto, un tappo, un’etichetta personalizzata. La stessa cosa avviene anche per il prodotto vero e proprio: il cliente può scegliere un sapore preciso. Gli ingredienti di base sono sempre più o meno gli stessi, ma i clienti possono scegliere creme con proporzioni diverse a seconda dei gusti preferiti dai consumatori finali, e del prezzo finale di vendita.

Tutte queste variabili hanno portato a produrre 70 tipi diversi di crema spalmabile.

Un vantaggio di questo approccio al mercato è non avere bisogno di una rete commerciale, ma poter concentrare tutti gli investimenti sulla produzione.

La pandemia, specialmente nel suo periodo iniziale, ha favorito il consumo di creme spalmabili, soprattutto in paesi del nord Europa, in particolare in Germania e Francia.

«Abbiamo lavorato tanto. Abbiamo raddoppiato i turni di lavoro e assunto nuovo personale. Non è stato facile gestire quel periodo: era complicato reperire le materie prime, è stato difficile gestire le spedizioni, ma lavorare è stato importante per superare anche i momenti di preoccupazione e di angoscia».

Il consumo di cioccolata si è rivelato una forma di consolazione: «la cioccolata – dice De Angelis – porta sempre buon umore».

Il prezzo

La definizione del prezzo della nocciola dipende dalla produzione turca. Il prezzo della nocciola biologica è una diretta conseguenza e si aggira intorno al 20% in più del prezzo di quella convenzionale.

La produzione laziale di nocciola, nel 2021, è stata drammatica, con un calo fino al 95% rispetto all’anno precedente.

«Soprattutto nella nostra zona la situazione è difficile. Le cause di questo tracollo sono dovute ad eventi atmosferici: durante la prima settimana di aprile dello scorso anno, poco dopo la fioritura c’è stata una gelata. Per questo si è bloccata la crescita dei frutti e la produzione è crollata».

Per De Angelis il crescere delle colture dei noccioleti sta rapidamente trasformando la produzione della regione in una monocoltura, cambia anche il paesaggio della zona, ed è un grande problema.

«Prima c’erano vigneti e uliveti e oggi sono sempre più rari. È chiaro che gli agricoltori scelgono di dedicarsi alla nocciola, perché è certamente la produzione più remunerativa. Io mi auguro che, almeno, possa crescere una cultura del biologico, perché un uso intensivo di fitofarmaci e diserbanti fatalmente ricade anche sull’ambiente e di conseguenza su chi abita queste terre».

Il marchio

Da qualche settimana Dea Nocciola ha avviato l’attività di e-commerce vendendo prodotti con il proprio marchio. È una delle innovazioni maturate in questo periodo.

La Dea Nocciola fa continuamente sperimentazione su nuovi prodotti e ricerca e sviluppo. «Quest’anno abbiamo immesso sul mercato delle creme senza zuccheri, abbiamo sperimentato l’inserimento di fibre e proteine».

Per fare cioccolatini o altro servono tecnologie completamente diverse e questa prospettiva non fa parte dei progetti dei fratelli De Angelis. «Abbiamo prodotto burro di arachidi, la crema con i semi di sesamo, con la canapa, con i semi di zucca. Noi possiamo spalmare qualsiasi tipo di frutto, il resto non fa parte dei nostri interessi».

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