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  • Mercoledì 2 febbraio 2022

La storia della giornalista neozelandese incinta che aveva chiesto aiuto ai talebani

La Nuova Zelanda le aveva inizialmente negato l'ingresso a causa delle restrizioni per il coronavirus, e ne è nato un gran dibattito

Charlotte Bellis (via Instagram)
Charlotte Bellis (via Instagram)

La scorsa settimana la giornalista neozelandese Charlotte Bellis, che a partire da agosto aveva seguito per Al Jazeera la conquista di Kabul da parte dei talebani, ha raccontato di essersi inizialmente dovuta rivolgere proprio ai talebani per ricevere assistenza per partorire. A causa delle restrizioni per il coronavirus in vigore in Nuova Zelanda, infatti, non era riuscita a trovare un posto libero nelle strutture assegnate del governo a chi deve fare la quarantena obbligatoria prima di poter circolare liberamente nel paese, e la sua richiesta di ottenerne uno di emergenza era stata respinta.

La situazione di Bellis si è sbloccata solo martedì, quando il governo le ha offerto un posto libero in una struttura, permettendole di rientrare nel paese.

Bellis ha raccontato la sua storia in un articolo pubblicato sul giornale neozelandese New Zealand Herald, che in molti negli ultimi giorni hanno ripreso e commentato: sia per le storture generate da un sistema di restrizioni molto particolare e rigido, che sta rendendo complicato il ritorno nel paese a molti cittadini neozelandesi; sia per l’immagine in un certo senso “positiva” che questa storia ha dato dei talebani, che però guidano uno dei regimi più conservatori e illiberali al mondo in particolare riguardo ai diritti delle donne.

Bellis, che ora è al sesto mese di gravidanza, aveva scoperto di essere incinta appena tornata in Qatar, dove viveva, da Kabul, dove aveva seguito l’avanzata dei talebani e dove vive il suo compagno Jim Huylebroek, fotogiornalista belga che lavora per il New York Times. Bellis era una delle tre donne presenti alla prima conferenza stampa dei talebani, a cui chiese che cosa avessero intenzione di fare coi diritti delle donne e delle ragazze. È un episodio che ha citato nel suo articolo, sottolineando quanto fosse «orrendamente paradossale» che si ritrovasse ora a dover chiedere aiuto proprio ai talebani per poter partorire.

Bellis e Huylebroek non sono sposati, e in Qatar essere incinte senza essere sposate è illegale. Per questo motivo, a Doha (la città in cui viveva Bellis), la sua ginecologa le aveva fatto capire che aveva due possibilità: sposarsi, oppure lasciare il paese.

Bellis aveva allora deciso di provare a rientrare in Nuova Zelanda insieme al compagno, senza però riuscirci: con le restrizioni attualmente in vigore per entrare nel paese è richiesta una quarantena obbligatoria di 10 giorni in una struttura assegnata dal governo, la cosiddetta MIQ (Managed isolation and quarantine), senza aver prenotato la quale non è possibile comprare il biglietto aereo.

Bellis ha raccontato di essersi svegliata ogni mattina alle 3 per cercare di prenotarne una, senza successo dato che i posti disponibili finivano subito. Il numero di posti è infatti molto limitato e le domande sono tantissime: di fatto, molti cittadini neozelandesi sono ormai fuori dal proprio paese da due anni, senza riuscire a tornare.

Bellis aveva allora deciso di aspettare che la Nuova Zelanda riaprisse i confini senza necessità di fare la quarantena obbligatoria – cosa originariamente prevista per fine febbraio, quando Bellis sarebbe entrata nel settimo mese di gravidanza – e nel frattempo di raggiungere il compagno a Kabul. Per aprile, tra l’altro, i confini della Nuova Zelanda sarebbero stati riaperti anche per gli stranieri, e Huylebroek avrebbe quindi potuto raggiungerla per la nascita della bambina, prevista per maggio.

È in quest’occasione che Bellis si era rivolta ai talebani: per assicurarsi di poter gestire un’eventuale emergenza in Afghanistan, Bellis aveva organizzato un incontro con un funzionario talebano e gli aveva chiesto se, pur essendo incinta senza essere sposata, avesse potuto ricevere assistenza o a entrare in un ospedale, nel caso in cui ne avesse avuto bisogno.

Il funzionario talebano, ha raccontato Bellis, le aveva garantito accoglienza e aiuto, consigliandole di raccontare che lei e Huylebroek erano sposati e raccomandandosi di chiamarlo nel caso in cui fossero sorti problemi. «Quando i talebani ti offrono un porto sicuro, a te che sei donna, incinta e non sposata, allora capisci che la tua situazione è veramente a rotoli», ha scritto Bellis nel suo articolo.

La sua situazione si era ulteriormente complicata il mese scorso, quando la possibilità di tornare in Nuova Zelanda era sembrata definitivamente svanire: a gennaio il governo neozelandese aveva infatti ritardato ulteriormente la riapertura dei confini e sospeso la lotteria per ottenere un posto nelle strutture per fare la quarantena, che erano tutte piene. L’unico modo per tornare era quindi prenotare un posto di emergenza, che è riservato a chi ne ha bisogno ma non è riuscito a trovarlo, e che si può ottenere solo a determinate condizioni, inviando una richiesta formale.

Bellis si era quindi rivolta a un avvocato per preparare la pratica, e dopo 59 documenti spediti all’ufficio immigrazione del governo, completi di certificati vaccinali, lettera dell’avvocato, certificati medici e prove della gravidanza, il governo le aveva fatto sapere che la sua richiesta era stata respinta. Tra le motivazioni del respingimento, c’era che Bellis non aveva fornito abbastanza prove sul fatto che il trattamento medico richiesto in Nuova Zelanda – il parto – fosse urgente e che non potesse farlo nel luogo in cui già si trovava. Ma in Afghanistan, in questo momento, gli ospedali sono al collasso, soprattutto per quanto riguarda la maternità. Restare incinta in Afghanistan, ha scritto Bellis (che in questi mesi si è occupata e ha scritto anche di questo), «può essere una condanna a morte».

Quattro giorni dopo il respingimento della sua domanda d’ingresso, Bellis ha pubblicato il suo articolo sul NZ Herald. La storia, di fatto una critica molto dura al governo neozelandese e alle conseguenze delle sue regole strettissime sul coronavirus, è stata ripresa da tantissimi giornali e molto commentata in Nuova Zelanda. Martedì 1º febbraio, infine, il governo neozelandese ha offerto a Bellis un posto per fare la quarantena obbligatoria e le ha prenotato il volo aereo.

Il racconto di Bellis ha attirato anche alcune critiche: alcuni attivisti e giornalisti afghani hanno detto che Bellis ha dato un’immagine falsata dei talebani, presentandoli come gli unici disposti ad aiutarla come donna incinta e in difficoltà. Secondo loro, i talebani volevano più che altro dare una buona immagine del proprio regime a una nota giornalista occidentale, e non riserverebbero mai lo stesso trattamento a una donna afghana.

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