Che cosa rischiamo con la variante omicron

La nuova accelerazione della pandemia sta spingendo i governi a ripensare le limitazioni adottate finora, che in un nuovo scenario non bastano più

(Wikimedia)
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A circa un mese dalle prime segnalazioni in Sudafrica e altri stati africani meridionali, la variante omicron del coronavirus è ormai presente in almeno 70 paesi e sta mostrando di diffondersi con grande rapidità, portando a migliaia di nuovi contagi nei paesi dove è più diffusa. La variante sta contribuendo a nuove ondate in Europa, in particolare nel Regno Unito e in Danimarca, dove si effettuano più test per verificare la presenza di omicron e si possono quindi avere dati più affidabili.

In poche settimane, omicron ha cambiato sensibilmente l’andamento della pandemia e di conseguenza potrebbe condizionare le strategie seguite dai governi, che avevano fatto grande affidamento sui vaccini per evitare il ritorno a limitazioni generalizzate e severe. Nel fine settimana, i Paesi Bassi sono entrati in un nuovo lockdown alquanto rigido, mentre altri governi hanno deciso altre forme di chiusure e restrizioni, o stanno comunque valutando cambiamenti di approccio per provare a rallentare la velocità di diffusione di omicron.

Se ne sta discutendo molto anche in Italia, dove è in programma una nuova “indagine rapida” per stimare la prevalenza della nuova variante. Il governo ha annunciato che affronterà il tema il prossimo 23 dicembre, ma per ora non ci sono dettagli su eventuali nuove misure e sui giornali sta circolando un po’ di tutto, tra anticipazioni, retroscena e smentite. Una misura che l’Italia ha già preso, tra le dure critiche della maggior parte degli altri paesi europei, è stata l’introduzione dell’obbligo di un tampone negativo per entrare in Italia, anche per i vaccinati: una decisione in contrasto con la linea tenuta negli scorsi mesi, e direttamente legata a quelle che ipotizziamo essere le caratteristiche di omicron.

Superata l’ondata dovuta in particolare alla variante delta nella stagione calda, una nuova ondata da omicron nel periodo invernale potrebbe avere serie conseguenze specialmente per i sistemi sanitari. Gli scenari più pessimistici indicano potenziali sovraccarichi nei reparti di terapia intensiva e – a cascata – su buona parte delle altre attività ospedaliere, paragonabili o meno alle precedenti ondate a seconda dei paesi e di altre variabili. I rischi comportati dalla nuova variante sono di per sé alti, ma possono essere mitigati almeno in parte dai vaccini, che mancavano nelle prime fasi della pandemia con i risultati drammatici che ricordiamo, in termini di malati gravi e morti.

Velocità
Omicron sembra essere a oggi la variante a più rapida diffusione tra quelle che si sono affermate in quasi due anni di pandemia. I dati cambiano a seconda dei paesi, ma non di molto.

Nel Regno Unito, dove viene rilevata tramite i test e i sequenziamenti, si stima che la velocità di raddoppio di omicron sia di circa due giorni. Significa che se oggi tra i contagiati ci sono 100 casi positivi a omicron, tra due giorni ce ne saranno 200 e due giorni dopo 400 e così via. In altri paesi la velocità di raddoppio è stata stimata tra i 2 e i 4 giorni a seconda dei casi, ed è bene ricordare che possono esserci numerosi fattori che condizionano le stime.

La velocità di diffusione di omicron spiega in buona parte come questa variante sia riuscita ad affermarsi in poche settimane, al punto da diventare prevalente in Inghilterra e a essere sulla stessa traiettoria in diversi altri paesi. È probabile che in breve tempo omicron riesca a scalzare la variante delta, la cui velocità di raddoppio nell’ultimo periodo si era attestata in media intorno ai dieci giorni.

In breve: la variante omicron si diffonde in fretta e in un certo senso più velocemente dei tempi di reazione dei governi, in molti paesi restii a introdurre nuove forti limitazioni dopo quelle affrontate dall’inizio della pandemia.

Diffusione
Mentre diversi paesi stimano che omicron sia ormai dominante (in Irlanda è avvenuto da poco), in altri la situazione è ancora incerta soprattutto a causa dei pochi dati raccolti. In Italia l’ultima stima risale a un’indagine rapida svolta il 6 dicembre scorso e i cui risultati sono stati comunicati il 15 dicembre dall’Istituto superiore di sanità. Omicron è risultata solo nello 0,2 per cento dei casi nell’analisi a campione svolta, ma appare del tutto improbabile che la sua diffusione sia così ridotta.

L’analisi era stata inoltre effettuata su test risultati positivi eseguiti a fine novembre, quando la variante aveva da poco iniziato a diffondersi. Una nuova indagine sarà svolta oggi (20 dicembre), ma non è chiaro se i suoi risultati saranno disponibili già per il 23 dicembre, quando il governo esaminerà la situazione.

I dati sulla diffusione di omicron in Italia non sono quindi affidabili. Se si confrontano i dati più realistici di altri paesi, come Regno Unito e Danimarca, si può ipotizzare che la variante sia molto più diffusa nel nostro paese. Una conferma indiretta è data dall’aumento dei casi riscontrato nell’ultimo periodo, indice di un nuovo peggioramento dell’epidemia.

In breve: in Italia la variante omicron sta continuando a diffondersi e non ci sono elementi per pensare che la sua diffusione possa rallentare in tempi brevi.

Poco vantaggio
Intervistato domenica sera da Fabio Fazio a Che tempo che fa, il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha detto che l’Italia ha «un piccolo vantaggio» rispetto ad altri paesi europei e che la variante «non è ancora significativamente diffusa». Le sue dichiarazioni erano evidentemente basate sulla stima dello 0,2 per cento, che come abbiamo visto non può essere ritenuta affidabile.

Omicron ha inoltre tempi di raddoppio brevi, di conseguenza un eventuale «vantaggio» rispetto ad altri paesi sarà colmato molto velocemente. Come si è osservato con le precedenti ondate, specialmente in macro-aree simili come l’Europa, ci può essere uno scarto di qualche settimana tra un’ondata in una zona rispetto a un’altra, ma è quasi sempre solo questione di tempo.

In alcune circostanze l’Italia è stata la prima a subire le conseguenze di un’ondata, pensiamo a quella iniziale del 2020, in altre circostanze è arrivata dopo, ma dovendo comunque fare i conti con un grave peggioramento della situazione.

In breve: eventuali vantaggi si azzerano velocemente, specie in presenza di varianti altamente contagiose.

Gravità
È difficile stabilire con certezza se omicron causi sintomi più lievi rispetto a quelli dovuti ad altre varianti. I dati finora disponibili sono frammentari, anche perché c’è uno scarto temporale tra momento del contagio ed eventuale ricovero in ospedale, indice di una malattia con sintomi gravi.

I dati preliminari su alcuni studi e analisi condotti in Sudafrica hanno indicato un tasso di ricoveri più basso, se confrontato con quelli dovuti ad altre varianti del coronavirus. La scorsa settimana, Discovery Health, una delle principali assicurazioni sanitarie private sudafricane, ha indicato che il rischio di ricovero è del 29 per cento inferiore tra le persone con omicron rispetto agli infetti con altre varianti.

Questi primi dati insieme ad altre evidenze hanno fatto ipotizzare che omicron causi sintomi più lievi rispetto a delta e alle varianti ancora precedenti. È però troppo presto per sostenere con certezza queste ipotesi, anche perché ci sono numerose variabili che possono condizionare i risultati. Per citarne alcune:

• le infezioni che interessano per lo più soggetti giovani, quindi con minori rischi rispetto agli anziani, portano solitamente a un numero inferiore di ricoveri;
• i contagi tra individui che avevano già avuto la COVID-19 o erano stati vaccinati influiscono positivamente (entro certi limiti) sui dati sulle nuove infezioni;
• non in tutti gli ospedali i reparti di terapia intensiva funzionano allo stesso modo, inoltre trattamenti più efficaci in fase di ricovero iniziale possono ridurre il rischio di un trasferimento in rianimazione;
• non tutti gli individui positivi e con sintomi gravi vengono ricondotti a infezioni da una specifica variante.

In Danimarca e nel Regno Unito i dati finora raccolti non hanno invece indicato una riduzione nei ricoveri con i casi da omicron rispetto a quelli ricondotti alla variante delta.

Fare confronti tra varianti diverse è difficile e più in generale focalizzarsi troppo sulla gravità dei sintomi può essere fuorviante. Come abbiamo visto con le prime ondate del 2020, l’andamento della pandemia è condizionato soprattutto dalla quantità di persone che si contagiano in un breve periodo di tempo.

Anche se meno virulenta, una variante molto contagiosa può causare un numero più alto di casi gravi, banalmente perché in termini assoluti si ammalano molte più persone ed è quindi inevitabile che aumentino anche quelli che presentano sintomi importanti e tali da avere necessità di un ricovero in ospedale.

In Inghilterra gli ospedali sono già in difficoltà e la situazione potrebbe peggiorare sensibilmente nelle prossime settimane. Più ricoveri implica un maggiore stress per i sistemi sanitari, che non possono fornire livelli adeguati di assistenza non solo ai malati di COVID-19, ma anche ai tanti altri che ne avrebbero necessità già normalmente a causa di altri problemi di salute.

In breve: non abbiamo ancora certezze sulla gravità dei casi di COVID-19 da omicron, ma un rapido aumento dei casi è un forte rischio al di là dei sintomi che mediamente comporta la variante.

Vaccini e contagi
I test di laboratorio realizzati finora hanno segnalato la capacità di omicron di sfuggire, almeno in parte, all’immunità acquisita tramite i vaccini oppure tramite una precedente infezione con altra variante di coronavirus. I primi dati raccolti tra la popolazione sembrano confermare per lo meno indirettamente questa circostanza, ma sono ancora in corso verifiche e si attendono elementi più concreti.

Nel complesso, un ciclo vaccinale completo sembra essere meno efficace contro omicron rispetto alle varianti circolate finora, compresa la delta che già aveva fatto rilevare una lieve riduzione. I vaccini più diffusi in occidente, specialmente quelli a base di mRNA (Pfizer/BioNTech e Moderna), mantengono comunque una buona protezione contro le forme gravi di COVID-19 e i decessi, soprattutto nel caso in cui si riceva una dose di richiamo. Moderna ha da poco confermato di avere rilevato la capacità del proprio vaccino di contrastare meglio omicron dopo una terza dose.

I dati sugli effetti del richiamo non sono ancora molto solidi, ma considerata la velocità con cui si diffonde omicron molti governi hanno deciso di accelerare il più possibile nella somministrazione delle terze dosi. Per valutare gli effetti di questa nuova campagna di vaccinazione sarà necessario del tempo, specialmente per verificare quanto di ciò che è stato osservato in laboratorio si rifletta tra la popolazione, in particolare per quanto riguarda l’immunità.

In quasi un anno di utilizzo i vaccini hanno consentito di ridurre drasticamente la proporzione di ricoveri e decessi soprattutto nei paesi con un alto tasso di vaccinati come il nostro: sono stati e continueranno a essere il principale strumento per contenere gli effetti della pandemia. In questi mesi, e ora con omicron, è diventato evidente che i vaccini riducano parzialmente la circolazione del coronavirus (se si è asintomatici o malati lievemente e per breve tempo si è meno contagiosi), ma non impediscono completamente che un positivo vaccinato infetti qualcun altro.

In breve: vaccinarsi è importante non solo per ridurre il proprio rischio personale di ammalarsi, ma anche per ridurre il numero assoluto di individui che avranno bisogno di un ricovero in ospedale, mettendo sotto forte stress i sistemi sanitari.

Green Pass
Negli ultimi giorni in diversi paesi europei è iniziato un confronto sui meccanismi di accesso a luoghi pubblici e attività tramite le certificazioni vaccinali, come il Green Pass. Questi meccanismi erano stati elaborati nel corso dell’estate, in condizioni diverse dalle attuali: la variante delta era più contagiosa delle precedenti, ma in molte zone aveva raggiunto il proprio picco di diffusione nella stagione calda, quando si sta molto più tempo all’aria aperta e si condividono per minor tempo spazi al chiuso.

Il Green Pass aveva permesso di incentivare la condivisione degli spazi all’aperto, specialmente per i non vaccinati, e di tenere meglio sotto controllo le esperienze al chiuso grazie all’effetto dei vaccini e – dove richiesto – all’impiego delle mascherine e del distanziamento.

Omicron sembra essere più contagiosa di delta e ha iniziato a diffondersi nella stagione fredda, quando già alcuni dei provvedimenti pensati per delta avevano iniziato a mostrare di non essere sufficienti, soprattutto a causa del maggior tempo trascorso al chiuso e in ambienti meno ventilati (fa freddo, si tengono meno le finestre aperte). La nuova variante ha mostrato di diffondersi con grande velocità, mettendo ulteriormente in evidenza il ridotto effetto dei vaccini nel prevenire i contagi e di conseguenza facendo mettere in dubbio alcune delle limitazioni legate al meccanismo delle certificazioni vaccinali.

Come mostra il caso dell’Inghilterra, con l’adozione di nuove limitazioni piuttosto lievi, per i governi che avevano impostato buona parte delle loro politiche di contenimento sul Green Pass è ora difficile spiegare che potrebbero essere necessarie nuove restrizioni generalizzate.

Alcuni governi, compreso quello italiano, hanno spiegato per mesi che vaccini e Green Pass sarebbero stati la soluzione dopo due anni di pandemia e ricorrenti lockdown e limitazioni. Allo stato delle cose all’epoca non stavano mentendo, anche se alcuni hanno fatto notare che sarebbe stata opportuna una comunicazione meno perentoria sull’argomento, che ha fatto perdere di vista il fatto che le cose possono cambiare e in modi non sempre prevedibili.

La situazione ora è appunto cambiata e, in un nuovo scenario in cui i contagi hanno le potenzialità per aumentare molto velocemente, altre misure potrebbero essere necessarie. Alcuni paesi, e se ne sta parlando anche in Italia, stanno valutando la possibilità di affiancare alla richiesta del Green Pass quella di un tampone rapido negativo per accedere in luoghi pubblici al chiuso a rischio, come locali particolarmente affollati o eventi con molte persone. Altrove, come avvenuto nei Paesi Bassi, potrebbero essere invece adottati nuovi lockdown con chiusure generalizzate per provare a interrompere il più possibile le catene dei contagi.

Il problema è che l’esigenza di nuove limitazioni si sta presentando a ridosso del periodo delle festività natalizie, quando le occasioni sociali con molte persone sono più frequenti e difficili da limitare, specialmente con misure severe come quelle proposte lo scorso anno. Limitazioni di questo tipo non avrebbero inoltre effetto di per sé sul Natale o sui festeggiamenti per l’anno nuovo, ormai troppo vicini. Potrebbero però favorire un rallentamento dei contagi nelle prime settimane del 2022.

In breve: nel momento in cui cambia la situazione, devono cambiare anche i modi per affrontarla, specialmente se quelli già decisi mesi fa si rivelano non più adeguati o sufficienti.