Sappiamo ancora poco sulla variante omicron in Italia

Un'indagine rapida ha stimato una sua bassa diffusione, ma i sequenziamenti sono troppo pochi per fare stime più accurate

(ANSA)
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Intervenendo in parlamento mercoledì mattina, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto che in Italia «almeno fino a oggi abbiamo una situazione relativamente favorevole» rispetto alla diffusione della variante omicron del coronavirus: «I casi della variante omicron sono meno dello 0,2 per cento», mentre in altri paesi europei come la Danimarca e il Regno Unito la variante «è molto diffusa».

Le dichiarazioni di Draghi sono state riprese dai giornali, ma vari osservatori hanno fatto notare che in Italia omicron viene cercata saltuariamente e in modo poco sistematico tramite i sequenziamenti (come avvenuto in precedenza con altre varianti), e che quindi la sua prevalenza sia probabilmente più alta rispetto a quanto comunicato nei rapporti ufficiali.

La scarsità di dati sulla circolazione della nuova variante, apparentemente molto più contagiosa della variante delta ancora prevalente in buona parte del mondo, rende difficile fare valutazioni sull’attuale andamento della pandemia in Italia e sulle sue future evoluzioni. Gli esperti sono concordi sul fatto che assisteremo con ogni probabilità a una marcata accelerazione nell’aumento dei contagi, ma senza una quantità adeguata di sequenziamenti è difficile fare previsioni.

Omicron fino a qui
Dopo la sua diffusione in alcune aree dell’Africa meridionale a fine novembre, la variante omicron è ormai presente in più di sessanta paesi, con un’incidenza di casi crescente in diverse zone dell’Europa. Le analisi condotte finora nel Regno Unito hanno rilevato una velocità di raddoppio dei contagi da omicron di circa 2-3 giorni. Significa che se un giorno i casi da omicron sono 10, tre giorni dopo (nello scenario più ottimistico) sono diventati 20 e tre giorni dopo ancora 40.

Previsione della quota di infezioni da variante omicron nei prossimi mesi (ECDC)

Il tempo di raddoppio è piuttosto alto se confrontato con quello della variante delta, ormai attestato in media intorno alle due settimane. Ciò indica un’alta contagiosità della nuova variante, mentre offre meno indizi sulla pericolosità in termini di gravità della malattia. Dai primi dati provenienti dal Sudafrica, omicron sembrerebbe causare sintomi meno gravi, ma i casi sudafricani hanno riguardato per lo più individui giovani e quindi meno a rischio.

Omicron sembra avere inoltre la capacità di eludere più facilmente le difese che il nostro sistema immunitario produce al completamento del ciclo vaccinale. La protezione offerta dai vaccini sembra essere in generale più bassa rispetto alle versioni precedenti del coronavirus, ma si mantiene comunque alta nel caso delle forme gravi di COVID-19. Il richiamo sembra inoltre ripristinare, almeno in parte, la protezione generale anche dall’infezione.

Sequenziamento
Per capire quali varianti siano in circolazione in un dato periodo, si effettuano alcune particolari analisi sui campioni, prelevati con tampone, risultati positivi al coronavirus. Semplificando, “sequenziare” significa analizzare un campione per rilevare le caratteristiche del materiale genetico del coronavirus. È un passaggio successivo a quello del test molecolare, che nella sua forma base si limita a rilevare la presenza del materiale genetico del virus, ma senza analizzarne tutte le caratteristiche.

Grazie al sequenziamento si può distinguere il tipo di variante che ha portato al caso positivo, e si può ricostruire l’albero genealogico del virus in modo da valutare le mutazioni che lo hanno interessato.

Alcuni paesi europei, come il Regno Unito e la Danimarca, hanno la capacità di sequenziare un alto numero di campioni, sia perché erano già più attrezzati a farlo prima della pandemia, sia perché hanno potenziato i loro laboratori nell’ultimo paio di anni. I dati che derivano dai sequenziamenti sono preziosi non solo per i singoli paesi, ma anche per gli altri grazie a varie piattaforme che permettono di condividerne i risultati ottenuti.

Uno dei principali sistemi di condivisione delle informazioni genetiche sui virus si chiama GISAID: era nato nel 2008 con l’obiettivo di tracciare meglio le evoluzioni dei virus influenzali, ma dopo l’inizio della pandemia è diventato una risorsa preziosa per tenere traccia dell’evoluzione del coronavirus.

Danimarca e Regno Unito sono tra i paesi ad avere condiviso più sequenze su GISAID, a indicazione dell’alto numero di sequenziamenti che effettuano, mentre altri paesi come l’Italia hanno caricato su GISAID un numero più limitato di analisi. Solo negli ultimi 30 giorni, per esempio, la Danimarca ha sequenziato e condiviso il 24 per cento dei casi positivi rilevati, mentre il Regno Unito ne ha condivisi circa il 12 per cento (in termini assoluti ha sequenziato molti più campioni). L’Italia ha sequenziato e condiviso poco più dell’1 per cento dei casi positivi rilevati.

Indagine rapida
Il dato del 0,2 per cento sulla prevalenza di omicron citato da Draghi non deriva dai sequenziamenti in generale svolti in Italia, ma da un’indagine rapida da poco pubblicata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e riferita al 6 dicembre scorso. L’indagine è stata svolta a campione, cercando di realizzarne uno che fosse il più rappresentativo possibile dell’attuale situazione epidemiologica in Italia, dove ci sono regioni con incidenza di casi positivi più alta rispetto ad altre.

Sono stati prese in considerazione 2.127 sequenze, che hanno portato a una stima grezza a livello nazionale della variante omicron allo 0,19 per cento, con un intervallo di confidenza tra lo 0 e lo 0,9 per cento. La variante delta ha fatto rilevare una prevalenza del 99,72 per cento, con un intervallo di confidenza tra il 66,7 e il 100 per cento.

Le stime variano lievemente prendendo in considerazione « la media delle prevalenze nelle diverse Regioni/PA pesate per il numero di casi regionali notificati». In questo caso la stima per omicron arriva allo 0,32 per cento, mantenendo comunque lo stesso intervallo di confidenza.

In termini assoluti, dall’indagine a campione sono emersi 4 casi di omicron, un numero difficilmente rappresentativo dell’effettiva situazione. Su valori così bassi è infatti difficile selezionare un campione statistico che rifletta adeguatamente la situazione reale. È bene inoltre ricordare che il dato è riferito alla giornata del 6 dicembre scorso e che sono quindi trascorsi 10 giorni, nei quali omicron ha continuato a diffondersi con tempi di raddoppio che sembrano essere alquanto stretti anche in Italia.

Rilevazione
Una maggiore quantità di sequenziamenti giornalieri potrebbe offrire qualche dato più solido per valutare la diffusione della variante omicron nel nostro paese, ma come avvenuto nei mesi scorsi con la variante delta e prima ancora con quella alpha, al momento non sembrano esserci accelerazioni nelle analisi.

Oltre ai sequenziamenti, che richiedono tempo e risorse per essere effettuati, la variante omicron può essere individuata anche attraverso i normali test molecolari (PCR). Questi test cercano tre geni relativi ad alcune parti del coronavirus, se uno di questi (gene S) non viene rilevato è probabile che si tratti di omicron. Per averne la conferma è comunque poi necessario un sequenziamento, ma l’informazione può essere da subito preziosa per fare modelli statistici più accurati della diffusione della variante. Questa tecnica consente inoltre di effettuare i sequenziamenti in modo più specifico, dedicandosi ai campioni che con maggiore probabilità si riveleranno legati alla variante omicron.