Guida rapida alla dose di richiamo

A che cosa serve e perché è importante, ora che è stato ridotto l'intervallo dal primo ciclo vaccinale da 6 a 5 mesi

(AP Photo/Gregorio Borgia)
(AP Photo/Gregorio Borgia)

La scorsa settimana il governo ha portato da 6 a 5 mesi l’intervallo minimo di tempo per ricevere una dose di richiamo dei vaccini contro il coronavirus, consigliata a tutte le persone con più di 40 anni che hanno completato il primo ciclo vaccinale. La riduzione dell’intervallo è stata decisa per accelerare i tempi di somministrazione dell’ulteriore dose, che consente di offrire una maggiore protezione dalla COVID-19 e che dovrebbe contribuire a tenere sotto controllo una nuova ondata di contagi.

Un’alta percentuale di persone vaccinate, anche con il richiamo, potrebbe inoltre rivelarsi importante nel caso emergessero nuove varianti, come avvenuto di recente con la omicron sulla quale sono ancora in corso approfondimenti.

La situazione epidemiologica in Italia è peggiorata nelle ultime settimane, con un marcato aumento dei casi, ma con una crescita contenuta dei ricoveri e dei decessi soprattutto grazie all’effetto dei vaccini. In altri paesi europei, dove il tasso di vaccinati è più basso rispetto al 77 per cento dell’Italia, la nuova ondata sta mettendo sotto forte stress gli ospedali e sta facendo registrare un aumento dei morti.

Vaccinazione
Un vaccino serve a sviluppare una risposta immunitaria contro un particolare virus o batterio (patogeno), in modo che l’organismo impari a riconoscerlo e a contrastarlo nel caso di successive infezioni. Qualcosa di analogo avviene quando si contrae un patogeno e poi si guarisce, ma il vaccino lo fa avvenire senza ammalarsi, quindi senza i rischi dovuti alla malattia.

Memoria immunitaria
La memoria immunitaria indotta da una vaccinazione varia molto a seconda di come si è fatti e di come è fatto il vaccino. Determinarne la durata è quindi estremamente difficile, e lo è ancora di più nel caso in cui si abbia a che fare con un virus emerso da poco tempo, come l’attuale coronavirus.

Gli studi condotti finora, specialmente sul personale medico che era stato vaccinato per primo tra la fine del 2020 e l’inizio di quest’anno, hanno rilevato che la memoria immunitaria in generale contro la COVID-19 si è ridotta in poco meno di un anno. Si è ridotta anche la protezione contro le forme più gravi della malattia, pur mantenendosi in proporzione più alta.

Richiamo
Una dose di richiamo di un vaccino serve per indurre una nuova risposta immunitaria, che a sua volta ha effetti sulla memoria immunitaria. Per il nostro organismo è una sorta di ripasso dei fondamentali.

Alcuni vaccini che utilizzano virus attenuati, resi sostanzialmente innocui, spesso inducono una memoria immunitaria che dura tutta la vita, come nel caso della vaccinazione contro il morbillo. I vaccini che sono basati su alcuni pezzi dei virus (come quelli a base di proteine virali o di frammenti del loro materiale genetico), come gli antinfluenzali, rendono invece necessario il ricorso a uno o più richiami.

È una circostanza attesa e già quando erano in fase di sviluppo i vaccini contro il coronavirus, appena un anno e mezzo fa, virologi e immunologi ipotizzavano che potessero rendersi necessarie ulteriori dosi per rinnovare la memoria immunitaria.

Che cosa fa il richiamo
Con il primo ciclo di vaccinazione contro il coronavirus, le dosi ricevute inducono l’organismo a produrre un maggior numero di cellule immunitarie, che a loro volta sono responsabili della produzione di anticorpi e altre molecole. Questi ultimi si riducono poi nel corso del tempo e la memoria rimane in alcune cellule (linfociti B e T), pronte a intervenire nel caso di future infezioni vere e proprie.

La dose di richiamo stimola una nuova moltiplicazione delle cellule immunitarie, che a loro volta producono nuovi anticorpi, che nel corso del tempo spariranno. Alla fine del processo rimane una maggiore quantità di cellule immunitarie, che potranno rispondere in modo più efficace contro un’infezione da SARS-CoV-2.

Nei linfonodi, queste cellule mutano diventando via via più abili nella produzione di anticorpi specializzati contro il coronavirus, che hanno imparato a riconoscere. Questa “maturazione dell’affinità” è alla base della costruzione di una migliore e specifica protezione. In condizioni normali avviene con la ripetuta esposizione ai patogeni (con i rischi che ormai conosciamo), mentre da quando esistono i vaccini tramite la somministrazione di dosi di richiamo quando necessaria.

Quindi i vaccini sono meno efficaci del previsto?
No, soprattutto i vaccini a mRNA (come quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna) contro il coronavirus hanno dimostrato di avere un’alta efficacia e in circa dieci mesi hanno protetto centinaia di milioni di persone, mettendole al riparo dagli effetti più gravi della COVID-19. Le loro capacità hanno però mostrato di ridursi nel corso del tempo e per questo si è deciso di procedere con i richiami.

Sono giovane, conviene fare il richiamo lo stesso?
Il richiamo è consigliato a tutte le persone con più di 18 anni e per i più giovani valgono le stesse valutazioni del primo ciclo vaccinale. I rischi legati alla COVID-19 per chi è più giovane sono minori, ma ci sono comunque individui che si ammalano gravemente a causa del coronavirus. Il richiamo serve a ridurre questi rischi e a migliorare sensibilmente gli effetti della precedente vaccinazione.

Dati
Israele era stato uno dei primi paesi a farlo già nell’estate, quando non era ancora completamente chiaro se un’ulteriore dose fosse effettivamente utile. Uno studio su larga scala condotto nel paese, e pubblicato a fine ottobre, ha mostrato come i ricoveri per COVID-19 siano stati il 93 per cento in meno tra chi aveva ricevuto una dose di richiamo rispetto a chi aveva solamente completato il primo ciclo vaccinale. I decessi sono stati l’81 per cento in meno e i casi gravi di COVID-19 il 92 per cento in meno.

La ricerca era stata svolta tra la fine di luglio e la fine di settembre, in un periodo in cui la variante delta era dominante in Israele. I dati erano stati raccolti su quasi 1,5 milioni di persone, tenendo in considerazione numerose variabili. Insieme a ricerche condotte in altri paesi, lo studio israeliano è stato il punto di partenza per le valutazioni politiche in numerosi paesi sull’opportunità di consigliare una dose di richiamo.

Omicron
Quando a inizio estate la variante delta aveva iniziato ad affermarsi in Europa, in molti si erano chiesti se i vaccini sviluppati prima della sua comparsa potessero essere ugualmente efficaci. A distanza di qualche mese possiamo dire che il completamento del primo ciclo vaccinale ha offerto un’alta protezione contro le forme gravi di COVID-19 anche da variante delta.

Con la recente emersione della variante omicron, in alcuni paesi dell’Africa meridionale, ci si è tornati a fare le medesime domande. La variante possiede mutazioni che potrebbero farle eludere le difese che il nostro organismo produce grazie ai vaccini, ma è ancora presto per saperlo e sarà necessario attendere i risultati dei test di laboratorio tra qualche giorno. Anche in queste eventualità, una dose di richiamo sarebbe comunque utile per stimolare ulteriormente il sistema immunitario a far maturare le proprie difese, anche contro versioni del coronavirus diverse da quelle su cui erano stati sviluppati i vaccini a inizio pandemia.

Serve un sierologico?
Prima del richiamo non è necessario fare un esame sierologico, cioè il test che attraverso l’analisi di un campione di sangue rileva la quantità di anticorpi nell’organismo. Questi test dicono poco sull’effettiva protezione per ciascuno dal coronavirus, considerato che – come abbiamo visto – gli anticorpi in circolazione sono solo una parte della storia.

Inoltre, a oggi non è stato stabilito quale sia un livello minimo di anticorpi correlabile a un livello di protezione sufficiente: non c’è un valore di riferimento da confrontare con quello che emerge dal test sierologico.

Prenotazione
La dose di richiamo può essere prenotata presso il proprio medico curante, in alcune farmacie o tramite i portali dedicati alla vaccinazione delle singole regioni. Al momento possono richiedere il richiamo tutte le persone con più di 40 anni, dal primo dicembre la soglia sarò ulteriormente abbassata per comprendere tutti i maggiorenni con primo ciclo completato da almeno 5 mesi.

Che tipo di richiamo
I richiami sono effettuati utilizzando i vaccini a mRNA (Pfizer-BioNTech o Moderna) sia per chi aveva ricevuto lo stesso tipo di vaccino al primo ciclo vaccinale, sia per chi era stato vaccinato con i vaccini di AstraZeneca o con il monodose di Johnson & Johnson.

Questo significa che a parità di ricevimento della prima dose, in molti casi chi aveva ricevuto il vaccino di AstraZeneca sarà vaccinato dopo chi aveva ricevuto i vaccini a mRNA, perché per questi ultimi è previsto un intervallo molto più breve tra la prima e la seconda somministrazione. Ciò non implica che i vaccinati con AstraZeneca siano svantaggiati: la massima protezione offerta dal vaccino si ottiene comunque dalla seconda dose.

Faremo altri richiami?
A oggi non è possibile stabilire con certezza se dopo la dose di richiamo sarà necessario sottoporsi a nuove somministrazioni del vaccino. Per saperlo occorrerà attendere alcuni mesi, per valutare l’andamento della memoria immunitaria e la capacità dell’organismo vaccinato di contrastare nuove eventuali infezioni da coronavirus.