I vaccini a mRNA contro l’influenza

In pochi anni potremmo averne di nuova generazione e più efficaci, grazie alle cose che abbiamo scoperto con la pandemia

(BioNTech)
(BioNTech)

Negli ultimi decenni i vaccini antinfluenzali hanno salvato milioni di vite in tutto il mondo, nonostante la loro efficacia vari molto a seconda degli anni e dei virus in circolazione. Una nuova generazione di vaccini a mRNA, sviluppati grazie alle esperienze dell’ultimo anno e mezzo con la pandemia, potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui preveniamo l’influenza, con soluzioni più efficaci per ridurre i contagi e le forme gravi della malattia, che possono causare la morte soprattutto tra i soggetti più deboli e con altri problemi di salute.

In quasi un anno di utilizzo, i vaccini a mRNA contro il coronavirus, come quelli prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna, si sono rivelati estremamente sicuri e molto efficaci nel prevenire la COVID-19, soprattutto nelle sue forme più gravi. Terminata la fase di sviluppo e sperimentazione che aveva assorbito una parte consistente delle loro risorse, ora le aziende farmaceutiche hanno ripreso a lavorare ai piani che avevano avviato ben prima della pandemia per verificare la possibilità di creare vaccini a mRNA contro l’influenza, quindi con un approccio innovativo rispetto ai vaccini finora utilizzati.

In questa nuova gara, oltre a Moderna e a Pfizer-BioNTech, sono coinvolte Sanofi e Seqirus, aziende europee con una lunga storia nello sviluppo e nella produzione di vaccini antinfluenzali.

Influenza e vaccini
Storicamente, tra i primi vaccini a essere sperimentati contro l’influenza ci furono quelli impiegati durante la pandemia influenzale del 1918, la cosiddetta “influenza spagnola” che in pochi anni causò la morte di 50-100 milioni di persone (a seconda delle stime). All’epoca non era ancora chiaro che l’influenza fosse causata dai virus: i ricercatori pensavano che la malattia si sviluppasse a causa dei batteri, almeno sulla base delle loro osservazioni e analisi dei campioni di saliva e muco prelevati dai pazienti. I vaccini erano quindi basati su patogeni diversi da ciò che causava l’influenza e di conseguenza erano pressoché inutili.

All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso furono infine isolati i primi virus dell’influenza e i ricercatori poterono mettersi al lavoro per sviluppare nuovi vaccini. La loro speranza era di poterla tenere sotto controllo in modo definitivo, come era accaduto con altre malattie, ma gli esiti furono meno entusiasmanti di quanto sperato.

La somministrazione di una dose del vaccino durante la pandemia del 1918 (Hulton Archive/Getty Images)

Furono necessari oltre dieci anni prima che negli Stati Uniti fosse brevettato un vaccino antinfluenzale, nel 1945, ottenuto seguendo sistemi sviluppati in passato e affinati con nuove ricerche. Un virus influenzale veniva iniettato negli embrioni di uova di gallina, dove si replicava sfruttando la moltiplicazione cellulare. I virus così prodotti venivano poi purificati e inattivati tramite un trattamento chimico, in modo che l’organismo di chi li riceveva tramite il vaccino imparasse a riconoscerli, ma senza il rischio di ammalarsi di influenza.

I ricercatori avevano però sottovalutato la capacità dei virus influenzali di mutare molto rapidamente, portando alla formazione di varianti che riescono a eludere le difese che il sistema immunitario mette insieme grazie al vaccino. Il sistema con cui i virus si replicano sfruttando le cellule è infatti imperfetto e questo può essere un loro punto di forza.

Mutazioni ed efficacia
Semplificando, un virus entra in un organismo e ne sfrutta le cellule per replicarsi, cioè per creare nuove copie di se stesso che provvederanno a legarsi ad altre cellule per fare la stessa cosa. Questo meccanismo può portare ad alcuni errori nella fase in cui il materiale genetico del virus viene trascritto per farne una copia, un po’ come avviene quando si ricopia un testo e inavvertitamente si scrive un refuso. È nell’ordine delle cose, succede di continuo in natura nei processi di replicazione.

Il risultato di questi refusi sono mutazioni, quasi sempre innocue e che si trasmettono alle generazioni successive, accumulandosi a quelle nuove prodotte nei processi di replicazione seguenti.

Può inoltre accadere che due tipi diversi di virus influenzali infettino la stessa cellula, che nel processo di replicazione produrrà una sorta di ibrido, un virus che è una via di mezzo tra i due di partenza. Il nuovo virus avrà una buona probabilità di sfuggire alle difese immunitarie già sviluppate da parte dell’organismo, riuscendo a portare avanti una nuova infezione.

Questi e altri fattori fanno sì che ogni anno siano in circolazione diversi tipi di virus influenzali, con alcuni di questi che possono essere dominanti durante una stagione e marginali in un’altra. La variabilità fa sì che molti si ammalino ogni anno di influenza, perché l’immunità che hanno sviluppato con le infezioni o i vaccini ricevuti in precedenza è spesso parziale e insufficiente.

Le istituzioni sanitarie, a partire dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), provano ogni anno a mitigare questa situazione con modelli per fare previsioni su quali saranno i virus influenzali in maggior circolazione nella successiva stagione fredda. Il problema è che questo lavoro deve essere svolto con mesi di anticipo, perché lo sviluppo e la produzione dei vaccini richiede tempo, e di conseguenza non sempre le previsioni sono accurate a sufficienza.

(Claudio Furlan – LaPresse)

In alcuni anni i vaccini antinfluenzali, che arrivano a coprire fino a quattro diversi tipi di virus in una stagione, hanno un’efficacia intorno al 60 per cento, mentre in altri superano di poco il 10 per cento. Un’efficacia simile potrebbe apparire molto bassa, ma è bene ricordare che la somministrazione di centinaia di milioni di dosi in tutto il mondo, soprattutto tra i più anziani, contribuisce a salvare comunque la vita di moltissime persone.

È però evidente che ci siano grandi margini per migliorare efficacia e utilità dei vaccini antinfluenzali, e lo sanno bene i gruppi di ricerca che da anni lavorano per migliorarli, come ha segnalato di recente il New York Times.

Vaccini antinfluenzali a mRNA
Il sistema di produzione tramite le uova di gallina continua a essere il più utilizzato, ma da quasi trent’anni si stanno studiando sistemi alternativi che sfruttino l’mRNA. L’idea alla base è la stessa impiegata per la prima volta con un successo globale da Pfizer-BioNTech e gli altri con i vaccini a mRNA contro il coronavirus.

Si realizza una sequenza di mRNA che contenga al suo interno le informazioni per sviluppare una proteina tipica dei virus influenzali, e viene iniettata tramite la vaccinazione. L’mRNA penetra all’interno delle cellule che lo utilizzano come manuale d’istruzioni per creare svariate copie di quella proteina virale, le quali finiscono poi in circolo nell’organismo. Le cellule immunitarie notano la presenza di queste proteine estranee e attraverso vari processi imparano a contrastarle, serbandone poi un ricordo. Nel caso di una successiva infezione, le difese immunitarie hanno imparato a riconoscere il virus tramite le sue proteine e intervengono con maggiore rapidità ed efficacia per distruggerlo prima che possa fare danni.

All’inizio degli anni Novanta un gruppo di ricercatori riuscì a tradurre nella pratica questo piano, sviluppando un primo vaccino sperimentale contro l’influenza a base di mRNA. Fu somministrato in laboratorio ad alcune cavie animali, ma emerse quasi subito un problema: in molti casi le difese delle cavie distruggevano l’mRNA iniettato tramite il vaccino, prima che potesse penetrare nelle cellule per indurle a produrre copie della proteina virale.

Sarebbero stati necessari circa 20 anni di ricerche prima di trovare una soluzione al problema, che consiste nell’impacchettare l’mRNA in speciali involucri di lipidi (grassi) che riescono a superare le difese delle cellule, facendo arrivare il materiale genetico sano e salvo al loro interno.

Come la tedesca BioNTech, la statunitense Moderna fu tra le prime a perfezionare questo sistema di consegna e a sperimentarlo contro alcuni virus dell’influenza aviaria, considerati una potenziale causa di nuove pandemie. I risultati ottenuti dai primi test clinici furono promettenti e spinsero a sperimentare nuovi vaccini, questa volta contro l’influenza stagionale.

Man mano che si ottenevano nuovi progressi, cinque anni fa si rese evidente la necessità di rivedere alcuni meccanismi per ridurre gli eventi avversi segnalati dai partecipanti alle sperimentazioni.

Moderna si stava apprestando a svolgere un nuovo test clinico con un vaccino a mRNA contro l’influenza proprio quando iniziò la pandemia. In poco tempo, l’azienda decise di mettere in pausa quelle ricerche e di dedicarsi allo sviluppo di un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2. BioNTech avrebbe fatto altrettanto, stringendo poi un’alleanza con la statunitense Pfizer. I loro sforzi portarono allo sviluppo, alla sperimentazione, all’autorizzazione e alla somministrazione dei primi vaccini a mRNA su larga scala con livelli di efficacia estremamente alti alla fine del 2020, un risultato senza precedenti e che meno di un anno prima appariva irrealizzabile.

Riscontrati i successi contro il coronavirus, diverse aziende farmaceutiche impegnate nello sviluppo di soluzioni a base di mRNA hanno ripreso le ricerche e le sperimentazioni sui vaccini antinfluenzali. Moderna ha avviato un nuovo test clinico nel corso dell’estate e altrettanto ha fatto Sanofi. Seqirus, uno dei principali produttori di vaccini antinfluenzali con il rodato metodo delle uova, ha intenzione di avviare le prime sperimentazioni con un vaccino a mRNA contro l’influenza all’inizio del 2022; Pfizer-BioNTech, invece, ne hanno avviato uno a fine estate.

I test effettuati prima della pandemia avevano già portato ad alcuni risultati incoraggianti negli studi preliminari, facendo per esempio riscontrare una migliore risposta immunitaria ai virus influenzali nelle cavie interessate dalla sperimentazione. Solo i test clinici potranno però offrire dati più completi sia sulla reazione del sistema immunitario sia sulla costruzione della memoria immunitaria.

Più efficaci?
Al di là del sistema che utilizzano, i vaccini antinfluenzali a mRNA potrebbero rivelarsi più efficaci dei metodi utilizzati finora grazie a una risorsa preziosa che possono offrire a ricercatori e istituzioni sanitarie: il tempo. La loro produzione è più rapida e potrebbero quindi essere realizzati a ridosso della stagione influenzale, evitando di dover fare previsioni in largo anticipo (inevitabilmente con minore accuratezza) sui virus influenzali più diffusi contro i quali tarare i vaccini. Una maggiore corrispondenza si tradurrebbe in una maggiore efficacia nel contrastare l’influenza, riducendo i casi e i rischi per anziani e persone affette da altre malattie.

Grazie alla loro notevole flessibilità, i vaccini a mRNA potrebbero essere inoltre sfruttati per vaccinare contro diverse malattie respiratorie con un’unica somministrazione. Moderna sta lavorando proprio a questo e ha avviato un esperimento, su cavie di laboratorio, con un vaccino contro i virus dell’influenza stagionale, l’attuale coronavirus e il virus respiratorio sinciziale umano. Le prime analisi hanno fatto riscontrare la formazione di alti livelli di anticorpi contro i tre virus, ha detto l’azienda, che sta proseguendo con la sperimentazione.

Mentre le ricerche e i test clinici procedono, vari osservatori fanno notare come i tempi per avere vaccini antinfluenzali a mRNA saranno probabilmente più lunghi rispetto alla corsa che ha portato alle soluzioni contro il coronavirus. Il senso di emergenza è minore, considerato che i vaccini contro l’influenza esistono già, seppure passibili di grandi miglioramenti. È difficile che le autorità sanitarie decidano di investire grandi risorse, in termini di personale e di denaro, per accelerare il più possibile l’autorizzazione dei vaccini antinfluenzali di nuova generazione. Potrebbero quindi essere necessari alcuni anni prima di averli a disposizione.

In futuro i sistemi a mRNA potrebbero essere utilizzati per sviluppare un vaccino antinfluenzale universale, che offra una protezione per diversi anni, rendendo non più necessaria una somministrazione a ogni stagione influenzale. Le ricerche in questo campo sono ancora agli inizi, ma il settore è in forte fermento grazie alle potenzialità e ai risultati ottenuti contro il coronavirus.