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  • Martedì 16 novembre 2021

Cosa intendiamo con “lockdown”

L’espressione è divenuta familiare nel giro di quasi due anni, ma viene spesso usata un po’ confusamente

Parigi durante il lockdown nella prima metà del 2020 (Pascal Le Segretain/Getty Images)
Parigi durante il lockdown nella prima metà del 2020 (Pascal Le Segretain/Getty Images)

Dall’inizio di questa settimana in Austria le persone che non si sono vaccinate contro il coronavirus, pur potendolo fare, potranno uscire di casa solo per motivi essenziali, mentre nei Paesi Bassi sono state introdotte nuove limitazioni a causa di un significativo aumento dei contagi. Entrambi i provvedimenti sono stati definiti come “nuovi lockdown” sui giornali (compreso il Post), segno di come il termine abbia assunto un significato più ampio rispetto a come veniva inteso all’inizio della pandemia poco meno di due anni fa.

La parola “lockdown” deriva dall’inglese e letteralmente significa “confinamento”/“blocco”.

Prima della pandemia veniva utilizzato di frequente negli Stati Uniti per definire particolari situazioni di emergenza, nelle quali le persone non possono né uscire né entrare in un edificio o un luogo specifico. Un lockdown viene per esempio deciso tempestivamente da una scuola quando è in corso una sparatoria nei suoi edifici, in modo da proteggere gli studenti chiusi nelle classi, oppure alla Casa Bianca quando ci sono rischi per l’incolumità del presidente.

Dall’inizio della pandemia il termine è stato usato sempre più di frequente, prima nei paesi dove si parla l’inglese e poi nel resto del mondo, per definire le varie politiche introdotte per contenere i contagi da coronavirus.

In Italia nelle prime settimane del 2020 si era parlato spesso di “chiusure” riferite alle limitazioni molto rigide imposte nella città di Wuhan, dove si era verificata la prima epidemia da coronavirus. Nei mesi seguenti la parola lockdown era diventata sempre più ricorrente sulla stampa estera in lingua inglese: era la principale fonte per le notizie sulle attività di contenimento della pandemia in varie aree del mondo. Il termine era diventato infine molto diffuso anche in Italia in concomitanza con l’introduzione delle misure di confinamento tra marzo e inizio maggio 2020.

Da allora ci si è riferiti a quel periodo come al “primo lockdown”, ma il termine è stato via via utilizzato per descrivere l’introduzione di successive limitazioni, meno rigide e modulate come nell’autunno-inverno tra 2020 e 2021. La stessa cosa è avvenuta in molte altre parti del mondo, dove la parola ha assunto significati diversi e sfumati, a seconda delle politiche attuate nei singoli paesi.

Ci sono del resto numerosi altri termini che vengono utilizzati per descrivere le varie tipologie di limitazioni. Le definizioni derivano spesso dall’inglese e comprendono: “stay-at-home order” (“ordine di rimanere in casa”), “safer-at-home order” (“ordine di rimanere di preferenza a casa”), “movement control order” (“controllo dei movimenti”) e “self-isolation” (“autoisolamento”). In alcuni paesi “lockdown” è anche diventato sinonimo di quarantena, che in molti casi dovrebbe riguardare singoli individui, e di coprifuoco, che indica invece particolari limitazioni che entrano in vigore per alcune ore della giornata.

Come avviene per molti termini il cui significato cambia ed evolve rapidamente a causa delle circostanze, soprattutto se eccezionali come quelle di una pandemia, non c’è una definizione univoca e condivisa della parola lockdown. C’è quindi il rischio di generare qualche confusione, se non viene utilizzata insieme ad altre definizioni. Indicare che un lockdown è “parziale” può aiutare a distinguere meglio il tipo di limitazioni in vigore, soprattutto per le persone che associano quella parola a un preciso momento di rigide restrizioni, come quelle imposte a inizio 2020 in Italia.