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  • Mercoledì 22 settembre 2021

Su Netflix c’è sempre più clickbait

I titoli e le immagini di film e serie che promettono contenuti diversi da quelli reali, spesso con toni ammiccanti, ricordano quello che successe a Internet una decina di anni fa

Con La regina degli scacchi e The Crown Netflix ha vinto da poco i suoi primi Emmy per la miglior miniserie e la miglior serie drammatica. Da ormai qualche anno il servizio di streaming arriva vicino all’Oscar per il miglior film, e i suoi contenuti considerati di qualità sono molti e vari. Ma oltre e forse ancor più che sulle fortune di questi film e serie ben recensiti dalla critica, il successo della piattaforma si basa sulla presenza di svariati altri contenuti più dozzinali e “facili”, visti da moltissimi utenti e sempre segnalati nella classifica “Top 10”.

Secondo il giornalista Dan Kois, che ne ha scritto su Slate, questi contenuti si stanno prendendo talmente tanto spazio che si sta attuando quella che definisce la “clickbaitizzazione” di Netflix, con riferimento al fenomeno che a partire da una decina di anni fa ha visto i giornali online produrre sempre più contenuti scadenti caratterizzati da titoli sensazionalistici e ingannevoli, allo scopo di attirare più visualizzazioni.

Il clickbait iniziò a essere descritto con la diffusione e la crescita di Facebook e degli altri social network: si riferisce tecnicamente a un titolo, ma per estensione anche a un modo di presentare un certo contenuto, spudoratamente pensato per fare da esca per chi se lo trova davanti. Convincendo il lettore a cliccare con domande a cui poi non viene data una risposta, per esempio, o con frasi che promettono sensazionali rivelazioni poi inesistenti, o ancora che si interrompono quando non dovrebbero.

Così come chi gestisce i profili social di un sito di notizie o così come uno youtuber che deve decidere quale titolo e immagine di anteprima mettere per farsi notare, anche nel catalogo di Netflix succede da sempre qualcosa di simile. L’obiettivo della piattaforma è infatti avere utenti soddisfatti, che trovano sempre nuove cose da guardare e che le trovano il più in fretta possibile, senza frizioni o perdite di tempo. Non a caso, i servizi delle piattaforme di streaming sono anche noti come click-and-watch: clicca e guarda.

Secondo Kois, nel caso di Netflix la clickbaitizzazione si configura come una esasperata ricerca di titoli e immagini che, nel presentare un film o una serie sul sito di Netflix, insistono spesso su certi elementi: per esempio persone non troppo vestite o sulla presenza di chissà quale mistero. Anche se poi quel contenuto parla magari di tutt’altro.

Come ammette Kois stesso ancor prima che a una presunta clickbaitizzazione, queste premesse sono legate a normali e comprensibili tecniche promozionali, visto che «da quando esistono i film, ci sono state persone che per lavoro si ingegnavano su come convincere le persone a guardarli».

– Leggi anche: Netflix vuole evitare che passiate la serata a scegliere cosa guardare

Tuttavia, per come la vede Kois, da qualche mese c’è qualcosa di diverso nella frequenza e nell’intensità con cui Netflix sceglie questo genere di titoli e immagini ingannevoli. «L’azienda sembra essere diventata più sfacciata nelle sue strategie, più determinata nel modo in cui promette qualcosa che poi non mantiene per niente, spesso con trucchi da social. E il clickbait è questo: attirare qualcuno, guadagnarsi il suo click e poi dargli qualcosa di diverso da quanto promesso nel titolo».

Tra l’altro, grazie ai suoi algoritmi, per Netflix è ben noto quanto certe immagini possano funzionare più di altre su certi spettatori, e ha anche buoni margini di manovra per decidere quali immagini mostrare a quali utenti. Infatti, già dal 2017 personalizza le anteprime con cui presenta i contenuti a seconda degli utenti, in base ai loro interessi. Quando la introdusse, Netflix spiegò così questa possibilità:

«Immaginate di dover personalizzare l’immagine necessaria a presentare Will Hunting – Genio ribelle. […] Un utente che guarda molti film romantici potrebbe volerlo guardare se lo vede presentato con un’immagine di Matt Damon e Minnie Driver. Al contrario, un utente che preferisce le commedie potrebbe essere attratto da un’immagine di Robin Williams».

Se una simile strategia è comprensibile e ovviamente legittima, per Kois ci sono almeno due problemi. Il primo, diciamo personale, è che a suo modo di vedere «questa personalizzazione finisce col trasformarsi in quella che sembra essere una partita a scacchi a quattro dimensioni con l’algoritmo di Netflix». Cioè navigare tra i contenuti diventa una specie di operazione psicologica, in cui un utente un po’ accorto sa che sta fornendo informazioni all’algoritmo, e agisce quindi di conseguenza.

Il secondo è che, a lungo andare, quest’approccio è deleterio. Perché finisce col far sembrare i contenuti diversi da quello che sono. E se quest’approccio può funzionare con brevi articoli online, è ben più improbabile che funzioni per serie lunghe ore. In questo senso, secondo Kois, Netflix dovrebbe puntare a suggerire qualcosa che assomigli davvero a quello che è piaciuto a qualcuno, non qualcosa che sembra somigliargli.

Comunque, Kois ammette che la clickbaitizzazione da lui riscontrata è una conseguenza dell’algoritmo di Netflix («la confluenza di alcuni titoli di successo con un sistema che sta imparando ad avere a che fare con la dabbenaggine umana»), più che «la conseguenza di qualche decisione presa ai piani alti dell’azienda». Potrebbe sistemarsi da sé – per esempio facendo sparire certi contenuti non proprio di alta qualità dalle “Top 10” – se la gente iniziasse a vedere altro, o a non cascare in queste presunte trappole. O anche se Netflix decidesse di concentrarsi (come sembra sia intenzionata a fare sempre di più) su quante persone finiscono e apprezzano un certo contenuto, più che su quante lo iniziano.

Oppure, Netflix potrebbe semplicemente decidere che va bene così, e che chi non vorrà farsi tentare da contenuti di un certo tipo smetterà di vederli e, di conseguenza, di trovarsene proposti altri simili, se non nella “Top 10” (che è uguale per tutti). Tra l’altro, ma è giusto un caso, da qualche settimana c’è su Netflix una serie thriller, non granché apprezzata dalla critica, il cui titolo è proprio Clickbait.