A San Marino si voterà per rendere legale l’aborto
È uno dei pochi paesi europei in cui è reato, punito col carcere sia per la donna che interrompe la gravidanza sia per chi la aiuta
Il prossimo 26 settembre nella Repubblica di San Marino si terrà un referendum per la depenalizzazione dell’aborto. San Marino – che si trova tra l’Emilia-Romagna e le Marche e che è abitato da poco più di 33 mila persone – è infatti uno dei pochissimi stati in Europa dove interrompere una gravidanza è reato. Al referendum si è arrivati grazie alla mobilitazione e al lavoro del gruppo femminista Unione donne sammarinesi (Uds).
Nella Repubblica di San Marino l’aborto è illegale in ogni circostanza, anche in caso di stupro, gravi malformazioni del feto e pericolo di vita per la donna. Gli articoli 153 e 154 del codice penale del paese condannano alla prigione ogni donna che sceglie di interrompere la gravidanza, ma anche ogni persona che la aiuta o che esegue materialmente l’aborto. Le pene possono arrivare fino a sei anni.
Nello specifico, l’articolo punisce con la prigionia di secondo grado (da sei mesi a tre anni) la donna che si procura l’aborto, chi vi concorre o chi procura l’aborto con il suo consenso (in questo caso le pene sono maggiori). L’articolo 154 prevede una fattispecie autonoma di reato, con pene più lievi, per l’aborto «per motivo d’onore», che viene punito “solamente” con la prigionia di primo grado (da tre mesi ad un anno). Si tratta dell’aborto della donna libera dal vincolo matrimoniale, cioè di fatto la legge considera l’aborto meno grave se il figlio è illegittimo. Tali articoli risalgono al 1865, sono stati confermati in epoca fascista e dal codice penale attualmente in vigore, che risale al 1974.
Se, infine, una donna in pericolo di vita viene sottoposta ad un aborto terapeutico, si apre d’ufficio un procedimento penale e tutto dipende dalla decisione del giudice, che può concedere una causa di giustificazione basata sullo “stato di necessità”. Negli anni Ottanta alcuni medici, attraverso una sorta di autorizzazione preventiva di un giudice, erano intervenuti con l‘aborto terapeutico su donne in grave pericolo di vita, invocando quello stesso “stato di necessità”. Da lì in poi non si hanno però notizie di autorizzazioni di questo tipo e, in ogni caso, nella parte del codice penale che regolamenta l’aborto, tali “eccezioni” non sono esplicitate.
San Marino resta dunque uno dei pochi posti in Europa – con Città del Vaticano, Malta, Andorra, Liechtenstein e Polonia che all’inizio dell’anno ha introdotto un divieto di IVG quasi totale – in cui abortire non è consentito o è molto complicato.
Le donne di San Marino che vogliono abortire possono superare i confini della Repubblica ed entrare in Italia. Proprio la vicinanza con l’Italia, così come un certo benessere economico che ha permesso fino ad ora a molte donne di affrontare le spese necessarie, «ha fatto sì che a San Marino il divieto resistesse negli anni senza fare troppo rumore», ha spiegato Claudia Torrisi su Internazionale. Poiché poi è garantito l’anonimato, perseguire una donna che ha abortito fuori dallo stato è molto complicato. Il fatto che per le donne di San Marino trovare una soluzione sia più semplice che in altri contesti non elimina però la questione del diritto negato alla salute sessuale e riproduttiva.
Qualche mese fa, l’Unione donne sammarinesi (Uds, gruppo femminista attivo fin dagli anni Settanta) aveva avviato il lavoro per chiedere un referendum sulla depenalizzazione, raccogliendo le firme che, in un numero ben superiore al necessario, sono state poi depositate. Lo scorso marzo il Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme si è espresso a favore dell’ammissibilità del referendum, con delle motivazioni tra l’altro giudicate molto soddisfacenti dall’Uds.
Il quesito del referendum che si terrà il prossimo 26 settembre è il seguente:
«Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?».
L’Uds spiega che i principi inseriti nel quesito sono due: l’autodeterminazione della
donna, dunque la possibilità di decidere liberamente se interrompere la gravidanza entro il limite temporale preciso della dodicesima settimana di gestazione; e l’aborto terapeutico, ovvero la possibilità di abortire anche successivamente alla dodicesima settimana, solo in caso di pericolo per la vita della donna oppure in presenza di anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna. Le tempistiche e le circostanze sono volutamente identiche alla legge italiana numero 194 del 1978 «per non creare differenze» tra i due ordinamenti.
Il quesito referendario è di tipo propositivo o di indirizzo, intende cioè determinare principi e criteri direttivi a cui il Consiglio Grande e Generale, cioè il parlamento di San Marino, dovrà attenersi nel disciplinare con una legge la materia oggetto del referendum. Il referendum del 26 settembre, dunque, chiede ai cittadini e alle cittadine di pronunciarsi solo sui casi in cui l’aborto dovrà essere depenalizzato e non sui molti altri aspetti che regolamentano l’IVG come i consultori, la prevenzione delle gravidanze indesiderate, l’autorizzazione dei genitori in caso di minorenni, l’obiezione di coscienza e così via. Se il quesito otterrà la maggioranza dei voti validamente espressi, dovrà essere recepito dal Consiglio Grande e Generale in una legislazione più completa e ampia.
L’Uds ha spiegato di aver scelto la strada del referendum dopo diciotto anni di tentativi falliti per depenalizzare l’IVG. Il primo tentativo è del 2003, e attualmente ci sono tre progetti di legge che non hanno portato a nulla. Nel 2016, il Consiglio Grande e Generale aveva approvato anche tre delle cinque Istanze d’Arengo – una forma di democrazia diretta prevista dall’ordinamento della Repubblica – sulla depenalizzazione dell’aborto in alcuni casi particolari. Non erano però state poi trasformate in legge.
In ognuna di queste occasioni, erano state attivate campagne anti-abortiste dalle associazioni cattoliche e dalle diocesi locali, sostenute a loro volta dal partito democratico cristiano, che oggi è il principale di San Marino. Nelle ultime settimane è nato un comitato contrario al referendum che si chiama “Uno di noi” e Uds ha già denunciato la violazione, da parte della diocesi, delle regole previste per la campagna elettorale che dovrebbe cominciare quindici giorni prima del voto.