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  • Mercoledì 11 agosto 2021

Tra sei mesi ci sono le Olimpiadi

Quelle invernali di Pechino, una città in cui nevica poco e che ha le sedi già pronte, mentre si prepara a rigidissime misure per evitare i contagi

(AP Photo/Andy Wong, File)
(AP Photo/Andy Wong, File)

Mancano meno di 6 mesi all’inizio delle prossime Olimpiadi, quelle invernali di Pechino, la cui cerimonia di apertura sarà il 4 febbraio 2022 nello stadio noto come “Nido d’uccello”, in cui meno di 15 anni fa erano finite le Olimpiadi estive di Pechino. La capitale cinese diventerà così la prima città ad aver ospitato sia le Olimpiadi estive che quelle invernali.

Per le Olimpiadi invernali di Pechino molte cose sono già pronte e decise: si sa già il calendario di ogni evento, sono già noti i probabili favoriti di molti di essi e sono pressoché pronte tutte le sedi, alcune delle quali sono le stesse del 2008 (le gare di curling si faranno per esempio nel “Cubo d’acqua”, il palazzetto che allora ospitò le gare di nuoto). Ci sono tuttavia grandi incognite e pressanti problemi da risolvere che hanno a che fare con il clima, con la pandemia e con tutti i discorsi sulle possibili forme di boicottaggio per le politiche della Cina in Tibet, a Taiwan, a Hong Kong, nello Xinjiang, e anche per come ha gestito la pandemia.

Il curling nel “Cubo d’acqua”, nell’aprile 2021 (AP Photo/Andy Wong)

Quando, perché, cosa e dove
Le Olimpiadi invernali del 2022 seguono quelle del 2018 di Pyeongchang, in Corea del Sud, e anticipano quelle del 2026 di Milano-Cortina. Inizieranno il 4, pochi giorni dopo il capodanno cinese, e finiranno il 20 febbraio. In mezzo, a rubare loro un po’ di spettatori, negli Stati Uniti ci sarà il SuperBowl. In Italia, invece, ci sarà una breve sovrapposizione con il Festival di Sanremo, che terminerà il 5 febbraio.

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Le Olimpiadi del 2022 – la cui mascotte è il panda Bing Dwen Dwen – sono state assegnate a Pechino nel 2015, dopo che Oslo, la città considerata favorita per ospitarle, aveva scelto di ritirarsi in conseguenza di un voto in cui il parlamento si era detto contrario. Erano quindi restate in corsa Pechino e Almaty: la città più popolosa (nonché l’ex capitale) del Kazakistan, un altro stato autoritario. Già al primo voto utile, comunque, Pechino ottenne i voti necessari per diventare città ospitante.

Per quanto riguarda le spese, si stima che per Pechino le Olimpiadi del 2022 costeranno circa un decimo rispetto a quelle del 2008, per le quali fu stimata una spesa di almeno 40 miliardi di euro. Quelle Olimpiadi furono spesso presentate come il definitivo segnale del ruolo che la Cina voleva avere nel mondo. Quelle del 2022 sono invece presentate come la volontà della Cina guidata da Xi Jinping di riaffermare la sua forza e influenza. «Nel 2008 fu una festa di debutto» ha sintetizzato l’analista politico Steve Tsang parlando con il Wall Street Journal, «le Olimpiadi del 2022 vogliono essere la vetrina di quello che il Partito comunista cinese ritiene essere il suo sistema di governo». Sebbene sia fuor di dubbio che le Olimpiadi invernali non possano essere paragonate a quelle estive, sono infatti pur sempre un grande evento internazionale.

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Per quanto riguarda la parte sportiva, a Pechino 2022 ci saranno 109 eventi da medaglia (circa un terzo rispetto a Tokyo) e sette nuovi eventi: il bob singolo femminile, una nuova specialità del freestyle e, così come successo a Tokyo, alcuni eventi misti.

A Pechino 2022, la città di Pechino ospiterà tutti gli eventi su ghiaccio (e quindi curling, hockey e pattinaggio) e alcuni eventi di snowboard e freestyle. Le restanti gare, comprese tutte le gare di sci alpino e di fondo, saranno invece divise tra Yanqing, a circa 80 chilometri, e Zhangjiakou, che da Pechino dista circa 200 chilometri.

Yanqing nell’ottobre 2016 (Lintao Zhang/Getty Images)

Le tre aree saranno collegate da linee ferroviarie ad alta velocità completate nel 2019.

Zhangjiakou nel luglio 2021 (AP Photo/Andy Wong)

E la neve?
Se ne parla da quando Pechino ancora doveva ottenere l’assegnazione, se lo sono chiesti in molti subito dopo l’assegnazione e se ne è continuato a parlare in questi anni. La risposta breve è che a Pechino, d’inverno, in genere non fa più caldo che a Sochi, la città russa che nel 2014 ospitò le Olimpiadi invernali più calde di sempre. È però di certo una città più calda di Pyeongchang, che per le sue Olimpiadi ebbe problemi per le temperature troppo basse e per il troppo ghiaccio.

Il villaggio olimpico di Zhangjiakou nel luglio 2021 (Lintao Zhang/Getty Images)

Così come a Sochi, quindi, potrebbero esserci problemi dovuti a temperature troppo alte per certi sport invernali: il 21 febbraio 2021, per dire, a Pechino fu registrata una temperatura massima di circa 25 °C. Ancor più rilevante è però il fatto che a Pechino non piove e nemmeno nevica granché. Si trova in pianura, in una delle aree più aride di tutta la Cina. Ci sarà da vedere se invece arriverà neve perlomeno a Yanqing e Zhangjiakou, ma molto probabilmente in buona parte sarà artificiale.

– Leggi anche: Come Pechino si sta inventando la neve

La pandemia
Come ha più volte insegnato l’ultimo anno e mezzo, risulta difficile fare previsioni per i mesi a venire. È comunque certo che per le sue Olimpiadi Pechino stia predisponendo una serie di regole e procedure addirittura più rigide di quelle adottate a Tokyo. Ancora non c’è molto di ufficiale, ma il New York Times ha anticipato (dopo averne parlato con alcuni organizzatori che hanno però scelto di restare anonimi) misure drastiche. C’è da aspettarsi, per esempio, «guardie vestite con tute contro il rischio biologico pronte a bloccare chiunque, atleti che parleranno solo dietro a pareti di plastica, termometri onnipresenti e con trasmettitori in grado di far sapere subito a chi di dovere se qualcuno dovesse avere la febbre». Si sta inoltre pensando a un contesto in cui «gli atleti non avranno praticamente nessun contatto con arbitri, [eventuali] spettatori o giornalisti, e in cui ogni gruppo sarà tenuto separato dall’altro».

Come ha dimostrato Tokyo, è possibile riuscire – se pur con qualche eccezione – a evitare contagi tra atleti. Più difficile è evitare i contagi tra tutte le altre persone che hanno a che fare con l’organizzazione degli eventi e degli spazi relativi. A questo proposito il New York Times ha scritto che a Pechino «una volta finiti i giochi, praticamente chiunque ci avrà avuto a che fare dovrà lasciare subito la Cina o affrontare diverse settimane di totale isolamento in appositi centri per la quarantena gestiti dal governo». E che in centri di quel tipo finiranno anche migliaia di membri cinesi dello staff, i quali «dovranno stare in una bolla per tutte le Olimpiadi e poi fare una lunga quarantena prima di poter “rientrare” in Cina».

A livello sportivo, potrebbero esserci non pochi problemi per le delegazioni, gli allenatori e gli atleti che volessero andare in Cina per visionare o provare piste, tracciati e luoghi di gara. «I britannici vorrebbero mandare alcuni atleti di skeleton a Pechino già a ottobre», ha scritto il New York Times «ma è stato detto loro di prevedere di rimanerci per più di un mese in condizioni di “severo lockdown”». Da un punto di vista puramente sportivo, questo potrebbe implicare qualche rischio per chi arriva da lontano, e un vantaggio per gli atleti cinesi.

I possibili boicottaggi
È una questione semplice nelle premesse e intricatissima in ogni sua possibile applicazione, anche al di fuori delle Olimpiadi. La Cina non è un paese democratico e in molti contesti non rispetta i diritti umani. La posizione del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, è che l’assegnazione delle Olimpiadi a un paese non significa una presa di posizione «sulla struttura politica, le dinamiche sociali o gli standard rispetto ai diritti umani di quel paese».

Da più parti, però, sono arrivati e arriveranno inviti affinché i comitati olimpici di determinati paesi boicottino le Olimpiadi, e c’è anche chi parla di possibili – ma evidentemente meno efficaci – “boicottaggi diplomatici”, che agiscano appunto a livello politico lasciando nel frattempo gli atleti iberi di competere. La storia delle Olimpiadi, anche quella relativamente recente, offre diversi esempi di boicottaggi annunciati o attuati. Anche la Cina stessa, fino a prima del 1984, boicottò le Olimpiadi. Secondo l’editorialista Sally Jenkins, che ne ha scritto sul Washington Post, «fu un errore perdonabile assegnare a Pechino le Olimpiadi del 2008; ora è invece imperdonabile pensare di poterle fare di nuovo lì».

Nei meno di 6 mesi che mancano alle Olimpiadi di Pechino è quindi probabile che di eventuali boicottaggi, anche da parte di aziende con interessi di sponsor legati all’evento, si parlerà sempre più spesso.