La finanza sostenibile spesso non lo è davvero

Gli investimenti "green" e socialmente responsabili hanno sempre più successo, ma a causa della mancanza di trasparenza e di criteri condivisi non sempre mantengono le promesse

Un'immagine dal film "Deepwater Horizon", di Peter Berg, 2016
Un'immagine dal film "Deepwater Horizon", di Peter Berg, 2016
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Negli ultimi anni la finanza sostenibile, cioè la pratica di investire in aziende che adottino politiche etiche e rispettose dell’ambiente, ha conosciuto un eccezionale aumento di popolarità, che però è stato accompagnato anche da dure critiche. Secondo numerose analisi, i criteri per definire un investimento come “sostenibile” sono spesso piuttosto laschi, e consentono di includere anche aziende che operano in settori molto inquinanti. L’insieme di questi fenomeni, in finanza come in altri settori, è chiamato greenwashing, e corrisponde a un “ambientalismo di facciata” che spesso è difficile da riconoscere.

In teoria, la popolarità della finanza sostenibile è un ottimo segnale per la causa ambientalista, perché dovrebbe spingere le aziende quotate a diventare sempre più sostenibili se vogliono ricevere investimenti dai fondi che si dichiarano sensibili alle questioni etiche e ambientaliste. Dal 2018 a oggi, i fondi d’investimento che si definiscono sostenibili sono passati dal gestire circa 400 a oltre 2.200 miliardi di dollari, e ogni giorno ne nascono due nuovi in media.

In pratica però, spesso accade che le aziende dipingano di sé un’immagine più virtuosa della realtà. Lo stesso avviene con i fondi d’investimento, che per rispondere a una richiesta molto elevata di investimenti sostenibili spesso si definiscono come tali anche se in realtà sostengono finanziariamente settori produttivi inquinanti. Queste pratiche di greenwashing sono rese possibili dalla mancanza di trasparenza sui dati aziendali e di uniformità nelle regole per definire cosa sia sostenibile e cosa no.

L’Unione Europea ha tentato di risolvere questo problema con regolamenti introdotti di recente, ma secondo alcuni analisti le nuove regole non sarebbero sufficienti ad arginare il fenomeno.

Il successo della finanza sostenibile
Con “investimenti sostenibili” si indicano genericamente tutti quegli investimenti che ambiscono a promuovere pratiche industriali rispettose per l’ambiente o per la società e che al tempo stesso generino un profitto per l’investitore. Questa pratica viene indicata con diversi sinonimi (anche se non tutti davvero equivalenti), tra cui “investimento etico” e “investimento socialmente responsabile” o SRI: Socially Responsible Investing.

I fondi che rientrano in queste definizioni molto generiche usano strategie d’investimento – cioè insiemi di regole per decidere in cosa investire e in cosa no – diverse tra loro, con obiettivi altrettanto variabili, che hanno in alcuni casi connotazioni ambientali e in altri connotazioni sociali: si va dalla lotta al cambiamento climatico (nel qual caso si parla spesso di green investment, o investimento verde) all’assicurazione del rispetto dei diritti umani, dalla sicurezza sul lavoro all’incentivo della diversità nelle aziende. Alcuni fondi si specializzano in uno solo di questi temi, mentre altri tengono conto di più temi contemporaneamente.

Una delle strategie d’investimento più comuni tra i fondi sostenibili consiste nel cambiare i criteri usati per selezionare le aziende su cui investire: abitualmente i criteri riguardano esclusivamente il profitto economico, ma i fondi sostenibili aggiungono ulteriori criteri chiamati ESG, dove l’acronimo sta per Environmental, Social and Governance. Si tratta dunque di criteri che cercano di valutare un’azienda anche in base alla sua sostenibilità ambientale, alle sue pratiche sociali e alla sua gestione interna (la governance).

Fra i criteri ESG, quelli di sostenibilità ambientale comprendono le emissioni di gas serra e altri tipi di inquinamento dell’impresa, l’esaurimento delle risorse del pianeta causato dal suo operare, e in generale tutte le sue attività che accelerino il cambiamento climatico. Quelli di sostenibilità sociale includono invece l’impatto dell’azienda sulla salute e la sicurezza delle persone e le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti, mentre i criteri di governance inglobano nell’analisi di sostenibilità la remunerazione e la diversità dei dirigenti, la gestione del rischio, la trasparenza e la condotta dell’impresa.

– Leggi anche: Che cos’è la finanza etica

La popolarità dei fondi d’investimento sostenibili (e in particolare di quelli che usano criteri ESG, detti anche “fondi ESG”) è cresciuta enormemente, e va di pari passo con un aumento della sensibilità ambientale e sociale che si è verificato soprattutto in Occidente e in Europa.

Non tutti gli investimenti sostenibili lo sono davvero
Investire in fondi ESG potrebbe però non avere l’efficacia che molti dei loro investitori si aspettano nel migliorare la sostenibilità del pianeta e della società in cui viviamo.

Prima di tutto, c’è chi fa notare che le società quotate in borsa sono una minima parte del totale delle imprese esistenti, perciò spingere questo ristretto gruppo di aziende a diventare più sostenibile risolverebbe il problema solo in parte: per esempio, l’Economist ha stimato che le società quotate non controllate dai governi sono responsabili di una quota di emissioni di gas serra abbastanza contenuta, compresa tra il 14 e il 32 per cento del totale.

In secondo luogo, ci sono diversi fattori che rendono difficile essere sicuri che le società comprese in un fondo d’investimento definito sostenibile lo siano davvero. Il primo di questi è il fatto che, come accennato, le società quotate hanno un incentivo a praticare il greenwashing: nel timore di rimanere escluse dai fondi sostenibili, sono portate a fornire informazioni fuorvianti sulla sostenibilità dei loro prodotti e processi. Questo problema riguarda in misura maggiore la sostenibilità sociale, i cui criteri si basano su dati difficilmente reperibili o quantificabili.

Il secondo è il fatto che anche i fondi d’investimento sono incentivati a praticare il greenwashing, data la domanda sempre crescente di investimenti sostenibili. Per i fondi, questa pratica è ancora più semplice che per le aziende, visto che non esiste una definizione univoca di quali debbano essere i criteri ESG da prendere in considerazione nella valutazione e selezione delle imprese su cui investire.

Per questo capita piuttosto di frequente che rientrino nei criteri ESG anche aziende che operano in settori molto inquinanti, come le aziende petrolifere. Può succedere, per esempio, quando un’azienda abbia un cattivo punteggio “ambientale” ma un buon punteggio “sociale” o di “governance”: facendo la media, l’azienda risulta sostenibile, anche se magari estrae petrolio.

Secondo l’Economist, ognuno dei 20 più grandi fondi ESG al mondo comprende in media 17 produttori di combustibili fossili. Sei di loro investono in ExxonMobil, la più grande società petrolifera americana, recentemente accusata di non avere ancora un piano credibile per affrontare la transizione energetica da fonti fossili a fonti rinnovabili.

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Un altro fattore è il diffondersi della pratica del rebranding: per evitare di creare nuovi fondi da zero, molti gestori modificano fondi già esistenti e li pubblicizzano come sostenibili. Come però ha fatto notare Tariq Fancy, ex capo degli investimenti nel ramo degli investimenti sostenibili della società di gestione di fondi BlackRock, in molti casi i fondi vengono ribattezzati come “verdi” senza alcun vero cambiamento della loro composizione o delle loro strategie di investimento.

Con l’obiettivo di risolvere questi problemi, di recente l’Unione Europea ha adottato una serie di norme per cercare di definire più precisamente quali attività d’impresa possano essere ritenute sostenibili, nell’ambito del Green Deal europeo.

Tra le altre cose, ha introdotto una nuova “tassonomia”, cioè un sistema unificato di classificazione delle aziende sostenibili, che entrerà in vigore alla fine del 2021, mentre nel marzo di quest’anno ha imposto importanti obblighi di trasparenza per i fondi d’investimento che si definiscono sostenibili. Infine, lo scorso 6 luglio, la Commissione Europea ha adottato un insieme di misure che, tra le altre cose, introducono uno standard europeo sui green bond, le obbligazioni emesse per finanziare progetti che abbiano un impatto positivo per l’ambiente. L’obiettivo anche in questo caso è limitare il fenomeno del greenwashing, che ha colpito anche questo genere di titoli.

Secondo il Financial Times, queste nuove regole avranno conseguenze importanti sul settore dei fondi di investimento non solo in Europa, ma in tutto il mondo, perché impongono degli standard a cui altri paesi potranno fare riferimento. Alcuni commentatori però sono più scettici. In una lettera al Financial Times Alex Wijeratna, dell’organizzazione ecologista Mighty Earth, ha fatto notare che la tassonomia degli investimenti sostenibili dell’Unione trascura indicatori chiave come la deforestazione o la perdita di ecosistemi causate dalle imprese. Altri operatori, come per esempio Banca Etica, hanno notato come i criteri promossi dall’Unione trascurino l’aspetto sociale della sostenibilità.

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