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  • Venerdì 6 agosto 2021

La storia della maratona olimpica, lunga ma non lunghissima

Fu inventata in epoca moderna, si arrivò alla distanza attuale dopo vari tentativi e nei decenni ha prodotto un sacco di storie

di Gabriele Gargantini

(Henry Guttmann Collection/Hulton Archive/Getty Images)
(Henry Guttmann Collection/Hulton Archive/Getty Images)
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Come è probabilmente noto ai più, la maratona si chiama così per la leggendaria corsa del messaggero Fidippide tra il villaggio di Maratona, luogo di un’omonima battaglia, e la città di Atene per annunciare, subito prima di morire stremato, che gli ateniesi avevano vinto: era il 490 avanti Cristo.

Per quanto ne sappiamo, pare però che per i successivi due millenni nessuno pensò, leggendo di Fidippide, di gareggiare nella corsa su una distanza simile a quella da lui percorsa. Ed è certo che la maratona non era tra gli sport delle Olimpiadi antiche, in cui al massimo ci si sfidava nel dolico, una corsa di qualche decina di “stadi”, quindi giusto qualche chilometro.

La maratona fu inventata solo a fine Ottocento, quando serviva un evento sportivo che nobilitasse le prime Olimpiadi moderne organizzate ad Atene nel 1896. Siccome c’erano ben pochi elementi storici attendibili sulla vicenda di Fidippide (per qualcuno Filippide) o sulla distanza che corse (tra Maratona e Atene c’erano, già allora, più strade possibili) ci si arrangiò un po’ e si decise che il messaggero a suo tempo avesse fatto un percorso perlopiù pianeggiante di circa 40 chilometri.

Nelle successive edizioni la distanza fu, a seconda dei casi, un poco più corta o un poco più lunga. E solo nel 1921 la IAAF – l’associazione internazionale di atletica leggera – decise che la maratona dovesse essere lunga 42 chilometri e 195 metri.

Sembra che a inventare la maratona in quanto gara che si ispirasse alla leggendaria corsa di Fidippide fu il francese Michel Bréal, un filologo e grecista a cui l’amico Pierre de Coubertin, l’ideatore delle Olimpiadi moderne, aveva chiesto consiglio. Fu probabilmente per praticità (oltre che per clemenza verso i futuri maratoneti) che Bréal e de Coubertin optarono per una distanza di 40 chilometri. Perché volendo avrebbero potuto anche ispirarsi al fatto che, sempre stando alla leggenda, pochi giorni prima di correre da Maratona ad Atene il povero emerodromo Fidippide era dovuto andare con una certa fretta anche da Atene fino a Sparta, e poi da Sparta a Maratona. In tutto, più di 500 chilometri.

Fidippide in un dipinto di Luc-Olivier Merson (Wikimedia)

La prima maratona fu corsa il 22 marzo 1896 e non fu quella olimpica. Fu infatti una sorta di prova generale della distanza e del percorso riservata ai soli atleti greci, il primo dei quali pare ci mise un po’ più di tre ore e un quarto. A vincere la maratona olimpica del 10 aprile fu però un altro greco: Spyridon Louis, un acquaiolo (secondo altre versioni un pastore) che per percorrere i circa 40 chilometri che separavano Maratona dallo stadio Panathinaiko di Atene impiegò poco meno di tre ore. Oltre a lui, parteciparono alla gara sedici podisti: avrebbe dovuto esserci anche l’italiano Carlo Airoldi, che era arrivato a piedi da Milano e che fu squalificato perché ritenuto un atleta professionista (cosa allora contro i regolamenti olimpici) per aver vinto un premio dopo aver partecipato alla Milano-Marsiglia-Barcellona, un lungo evento podistico a tappe.

La prima maratona olimpica (Wikimedia)

Anche alle seconde Olimpiadi, organizzate nel 1900 a Parigi, il percorso della maratona era lungo più o meno 40 chilometri, a loro volta equivalenti a circa 25 miglia. Ma non è che sia proprio sicuro perché, come scrisse qualche anno fa il New York Times, chi allora prendeva le misure del percorso «faceva come quando si cucina, più che come quando ci si occupa di ingegneria civile». Andava cioè un po’ «a sensazione».

Quella maratona, a cui non partecipò nessuno degli atleti presenti a quella ateniese, fu vinta dal lussemburghese Michel Théato. Riguardo agli altri, si scrisse che molti si ritirarono per il gran caldo e che siccome il percorso non era proprio ben segnato alcuni furono trovati mentre giravano spaesati per le strade cittadine esterne al percorso di gara. E come spesso succedeva a quei tempi nelle gare podistiche o ciclistiche, è probabile che più d’uno abbia barato, per esempio usando passaggi di vario tipo per evitare di correre alcuni tratti: Arthur Newton, statunitense che arrivò quinto al traguardo, affermò per esempio di essere certo che nessuno, nel corso dell’intera gara, lo avesse mai superato.

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Anche alla maratona delle successive Olimpiadi di St. Louis nel 1904 – il cui percorso probabilmente nemmeno arrivò alla lunghezza effettiva di 40 chilometri – ci fu un notevole trambusto e altri tentativi di vincere non solo grazie alle proprie gambe.

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Arrivò poi la maratona del 1908 di Londra, che come tutte le precedenti aveva la peculiarità di essere considerata un evento di atletica leggera e la cui organizzazione veniva quindi delegata a chi in genere si occupava di gare ben diverse, che avvenivano negli stadi. Dopo una serie di avvicendamenti e ripensamenti, si arrivò infine a un percorso di massima con partenza appena fuori dai cancelli del castello di Windsor, già allora una delle residenze della famiglia reale britannica, e con arrivo al White City Stadium, a nord-ovest rispetto al centro di Londra, nel quartiere Shepherd’s Bush.

A percorso già deciso furono però fatte due modifiche, una alla partenza e una all’arrivo.

La partenza fu di poco spostata così da far iniziare la gara all’interno del giardino del castello: secondo alcuni resoconti perché i reali volevano vederla dalle loro finestre; secondo altri, negli ultimi anni considerati più attendibili, perché le maratone erano sempre più seguite e gli organizzatori volevano evitare una eccessiva folla alla partenza.

Maratoneti davanti al castello di Windsor prima della partenza, nel 1908 (Hulton Archive/Getty Images)

L’arrivo fu modificato cambiando il punto di ingresso nello stadio e di conseguenza anche la parte di pista da percorrere prima dell’arrivo, e il senso in cui gli atleti l’avrebbero affrontata: da antiorario divenne orario. Come racconta il libro Showdown at Shepherd’s Bush (dal nome del quartiere in cui c’era lo stadio, che fu demolito nel 1985), anche in questa caso è possibile che la decisione fu in parte guidata dalla necessità di concedere al palco reale la miglior vista possibile sugli ultimi metri di gara.

A volersi fidare di chi prese e diede le misure (e ci sono buone ragioni per non farlo) dopo questi cambiamenti il percorso fu di 42 chilometri e 195 metri. Una distanza arbitraria e un po’ più lunga rispetto a quelle delle precedenti maratone, ma di certo non un problema di cui curarsi granché, dato che non c’era un vero e proprio standard.

Tra i 55 maratoneti al via alla maratona di Londra, che correvano in rappresentanza di 16 paesi, il primo all’arrivo – sotto al palco riservato al re Edoardo VII e alla regina consorte Alessandra – fu l’italiano Dorando Pietri. Che però non vinse. Fu infatti squalificato poiché dopo averci messo 10 minuti a fare i 500 metri finali, prima del traguardo era esausto e alcuni giudici lo aiutarono a stare in piedi e avanzare, inficiando così il risultato.

Dorando Pietri durante la maratona di Londra del 1908 (Hulton Archive/Getty Images)

Quella maratona, raccontò un cronista del New York Times, fu «senza esagerazione il più avvincente evento atletico dai tempi della maratona dell’antica Grecia, il cui vincitore cadde dopo aver raggiunto il suo obiettivo e morì nel trionfo». Un altro cronista lì presente, un certo Arthur Conan Doyle (che faceva quel lavoro poco volentieri, ma che confessò di aver accettato l’offerta poiché tentato dal posto in tribuna che comprendeva), scrisse che «nessun antico romano seppe conquistare la vittoria meglio di Dorando nell’Olimpiade del 1908».

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Nel 1912 la maratona delle Olimpiadi di Stoccolma (durante la quale morì il portoghese Francisco Lázaro, forse per le conseguenze sul suo corpo della sostanza che aveva usato per proteggersi dal sole) fu vinta in due ore e 36 minuti dal sudafricano Ken McArthur e fu un paio di chilometri più corta rispetto a quella londinese. In quegli stessi giorni, proprio a Stoccolma veniva intanto creata la IAAF, ora nota come World Athletics.

A un suo congresso del 1914 la IAAF stabilì che le maratone dovessero essere lunghe 25 miglia, ovvero poco più di 40 chilometri. Sembra però che il CIO, il comitato olimpico internazionale, avesse frattanto deciso (forse basandosi sul percorso della maratona dei Giochi olimpici intermedi organizzati ad Atene nel 1906) per una distanza di 26 miglia, quindi poco meno di 42 chilometri.

Nel 1916 c’era la guerra e non ci furono le Olimpiadi. Nel 1920, alle Olimpiadi di Anversa, la maratona fu lunga 42 chilometri e 750 metri.

La partenza della maratona di Anversa, nel 1920 (FPG/Archive Photos/Getty Images)

Fu solo nel maggio del 1921 che la IAAF decise che da lì in poi ogni maratona avrebbe dovuto essere lunga quanto quella storica di Londra: 42 chilometri e 195 metri. Cosa che a quanto pare andò bene pure al CIO.

Il primo a correre una maratona olimpica in meno di due ore e mezza fu, alle Olimpiadi di Berlino del 1936, Kitei Son, o meglio Sohn Kee-chung: era coreano ma all’epoca la Corea era occupata dal Giappone e per questo corse come giapponese. Successivamente, per anni il Comitato olimpico coreano chiese al CIO di riattribuire la vittoria alla Corea del Sud.

Nel 1948 le Olimpiadi tornarono a Londra ma la maratona scelse un percorso diverso, con partenza e arrivo allo stadio di Wembley.

Delfo Cabrera all’arrivo della maratona del 1948 (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)

Nel 1952 a Helsinki la maratona olimpica fu vinta dal cecoslovacco Emil Zátopek, soprannominato “la locomotiva umana”, che negli stessi Giochi vinse anche i 5mila e i 10mila metri.

Come scrisse il Guardian, il maratoneta britannico Jim Peters raccontò che a inizio gara Zátopek gli si fece accanto e – sebbene non ce ne fosse bisogno, dato che era un mezzofondista plurimedagliato, nonché la ragione per cui molti mezzofondisti rassegnati avevano deciso di dedicarsi alla maratona – si presentò. Un’ora più tardi, durante la gara, Zátopek affiancò di nuovo Peters e gli disse: «Jim, questo ritmo è troppo veloce?». Lui rispose, scherzando: «no, non abbastanza». Solo che, secondo il racconto di Peters, Zátopek lo prese in parola e si mise a correre più veloce. Arrivò al traguardo prima di tutti, secondo un resoconto del Guardian stanco come qualcuno che aveva fatto una «vivace passeggiata in campagna». Da parte sua Zátopek, che arrivò al traguardo due minuti e mezzo prima del secondo e la cui corsa era tanto efficace quanto sgraziata, ebbe a dire che trovava la maratona «una gara molto noiosa».

Il record olimpico di Zátopek fu battuto nel 1960 a Roma, nella maratona vinta dall’etiope Abebe Bikila, il primo atleta africano a vincere una medaglia olimpica. Che corse scalzo perché le Adidas che gli avevano fatto avere gli stavano scomode, e gli avevano fatto venire le vesciche.

Abebe Bikila a Roma nel 1960 (Central Press/Getty Images)

La prima maratona olimpica femminile fu organizzata nel 1984 a Los Angeles e la vinse la statunitense Joan Benoit. Anche se più che di lei, in molti si ricordano della svizzera Gabriela Andersen-Schiess, che terminò la gara trentasettesima dopo essere entrata esausta nello stadio e averci messo più di cinque minuti per arrivare al traguardo.

Andersen-Schiess nel 1984 (Tony Duffy/Getty Images)

A Seul, ottant’anni dopo la quasi vittoria di Petri, arrivò la prima vittoria italiana in una maratona olimpica, grazie a Gelindo Bordin. Seguita, nel 2004 ad Atene, dalla storica vittoria di Stefano Baldini, nella maratona che per andare da Maratona allo stadio Panathinaiko di Atene coprì effettivamente una distanza di 42 chilometri e 195 metri.

Stefano Baldini nello stadio Panathinaiko nel 2004 (Michael Steele/Getty Images)

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