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  • Giovedì 29 luglio 2021

Il divieto di negare il genocidio di Srebrenica

Lo ha imposto l'Alto rappresentante che deve garantire il rispetto degli accordi di pace in Bosnia ed Erzegovina, ma è osteggiato dai politici serbo-bosniaci

Un murales dedicato a Ratko Mladić a Belgrado, Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic, File)
Un murales dedicato a Ratko Mladić a Belgrado, Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic, File)

Da circa una settimana vari esponenti politici serbo-bosniaci stanno contestando un provvedimento imposto dall’Alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, Valentin Inzko, che vieta di negare il genocidio di Srebrenica, condotto nel 1995 da membri dell’esercito serbo guidati dal generale Ratko Mladić con l’uccisione di oltre 8mila musulmani bosniaci (bosgnacchi). Il massacro fu un punto di svolta decisivo nella guerra di Bosnia ed Erzegovina, ma rimane ancora oggi un punto di forte attrito e scontro tra parte delle popolazioni dell’ex Jugoslavia.

Proprio per assicurare che le condizioni di pace stabilite dagli accordi di Dayton fossero rispettati da tutte le parti, nel dicembre del 1995 fu istituita la figura dell’Alto rappresentante, nominato dai paesi che parteciparono ai negoziati per mettere fine alla guerra. Inzko, in carica dalla primavera del 2009, ha diversi poteri compreso quello di imporre nuove regole e bocciarne altre decise dai rappresentanti bosgnacchi, serbi e croati. L’Alto rappresentante ha inoltre il potere di rimuovere i funzionari pubblici che violano gli impegni sanciti dagli accordi di Dayton, e che potrebbero quindi costituire un ostacolo al processo di pace.

Inzko per diversi anni aveva chiesto ai rappresentanti delle varie parti di discutere e approvare una legge contro il negazionismo per il genocidio di Srebrenica, l’unico condotto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. In almeno quattro diverse occasioni si era arrivati vicini a una soluzione, ma la legge non era mai stata approvata definitivamente per l’opposizione dei serbo-bosniaci, che non hanno mai riconosciuto la definizione di genocidio da parte del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia presso le Nazioni Unite.

Il mese scorso lo stesso tribunale aveva confermato in appello la condanna di Mladić all’ergastolo per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Nonostante la condanna e i precedenti provvedimenti penali, alcuni politici serbi avevano continuato a definire Mladić un «eroe», mentre erano comparsi manifesti e murales in suo favore in alcune aree della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, l’entità territoriale della Bosnia ed Erzegovina prevalentemente abitata da serbi.

In seguito a questi episodi, e dopo anni di stallo, Inzko aveva deciso di imporre il divieto in modo da rendere il negazionismo un reato. La decisione non era però piaciuta a Milorad Dodik, membro serbo della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina, la principale istituzione della federazione (è formata da tre membri, ciascuno dei quali rappresenta i tre popoli costitutivi: serbi, croati e bosgnacchi).

Dodik ha detto di non accettare la modifica al codice penale per rendere il negazionismo legato a Srebrenica un reato. Inoltre, ha avviato una petizione chiedendo che il massacro del 1995 non sia definito un genocidio. Le nuove regole imposte dall’Alto rappresentante renderebbero però questa posizione un reato, punibile con un massimo di cinque anni di carcere. Dodik sembra essere intenzionato a sfruttare la situazione per fare propaganda tra i serbi, la maggior parte dei quali riconosce il massacro di Srebrenica, ma non ha mai condiviso la definizione di genocidio.

Alcuni esponenti politici serbo-bosniaci hanno minacciato di bloccare le attività del Parlamento. In condizioni normali uno scenario di questo tipo sarebbe bilanciato dalla Presidenza, ma l’istituzione si è sensibilmente indebolita negli ultimi anni a causa della scarsa collaborazione tra i tre suoi rappresentanti. In queste condizioni, hanno via via guadagnato potere le due entità semiautonome della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, abitata per lo più da bosgnacchi e croati bosniaci.

A differenza dei suoi predecessori, Inzko aveva mantenuto un approccio molto cauto cercando di interferire il meno possibile con le istituzioni locali. La decisione è arrivata a meno di un mese dalla fine del suo mandato, ma non è ancora chiaro se porterà a qualche progresso. In una recente intervista, l’Alto rappresentante ha comunque mostrato di essere ottimista: «Forse ci sarà qualche murale in più per qualche tempo. Ma forse a breve se ne vedranno meno e smetteranno di essercene di nuovi. I poster dedicati a Ratko Mladić esposti a Srebrenica questa settimana sono già spariti».