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  • Domenica 25 luglio 2021

Quante cospirazioni cominciano a Miami

Da decenni la città della Florida è al centro di molte operazioni di destabilizzazione dei governi latinoamericani: è successo anche con l'uccisione del presidente di Haiti

Una manifestazione della comunità cubana a Miami contro il regime castrista di Cuba (Joe Raedle/Getty Images)
Una manifestazione della comunità cubana a Miami contro il regime castrista di Cuba (Joe Raedle/Getty Images)
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Benché le indagini sull’uccisione del presidente di Haiti Jovenel Moïse lo scorso 7 luglio siano ancora agli inizi e moltissimi elementi siano ancora poco chiari, tutti i protagonisti di questa vicenda hanno un elemento in comune: la città di Miami e lo stato della Florida, negli Stati Uniti.

La compagnia di sicurezza che avrebbe assoldato i venti paramilitari colombiani accusati di aver compiuto l’attacco nell’abitazione di Moïse ha sede a Miami, e sarebbe gestita da un immigrato venezuelano che vive in città. Il mediatore che secondo i procuratori di Haiti avrebbe finanziato l’operazione starebbe a Miramar, un piccolo centro poco fuori Miami, e anche quello che secondo le indagini potrebbe essere il leader dell’operazione, Christian Emmanuel Sanon, è un haitiano che vive e opera ormai da anni proprio a Miami. Sempre in Florida, inoltre, si sarebbero tenuti gli incontri tra i vari personaggi chiave di questa vicenda.

Per gli esperti che si occupano di politica del Centro e Sud America, il fatto che Miami abbia un ruolo così importante nell’assassinio del presidente di Haiti non è una grande sorpresa: da decenni la città è al centro di moltissime operazioni di destabilizzazione di vari governi latinoamericani, tutte più o meno segrete e quasi tutte fallimentari, a partire dalla celebre invasione della Baia dei Porci a Cuba, nel 1961.

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Questa centralità di Miami è data da diversi fattori: la vicinanza geografica (almeno per quanto riguarda Cuba, che dista circa 150 chilometri dalla Florida); la presenza di forti comunità di espatriati ed esiliati da vari paesi latinoamericani, soprattutto Cuba, Haiti e Venezuela, che in alcuni casi da decenni sperano di tornare al potere; l’ampia disponibilità di ex militari con esperienza in America Latina (subito fuori da Miami ha sede il Southern Command, cioè il settore delle Forze armate americane che si occupa di America Centrale, America del Sud e Caraibi); la grande circolazione di denaro illegale, perlopiù proveniente dai traffici di cocaina; e infine una politica locale spesso corrotta e frammentata su base etnica.

L’insieme di questi fattori è piuttosto visibile nella vicenda di Haiti. Dopo l’uccisione del presidente Moïse sono stati arrestati 17 cittadini colombiani, quasi tutti ex militari, alcuni dei quali erano stati addestrati negli Stati Uniti. I colombiani hanno detto immediatamente agli investigatori che erano stati assoldati da CTU Security, una società privata di sicurezza con sede fuori Miami, che li avrebbe assunti con l’inganno: sarebbero stati portati ad Haiti con la promessa di un lavoro ben pagato (circa 3.000 dollari al mese) come guardie di sicurezza, non come assassini.

CTU Security è fondata e diretta da Antonio Enmanuel Intriago Valera, un ex poliziotto e membro della diaspora venezuelana che vive a Miami e che da quando è avvenuto l’omicidio non è più rintracciabile. Le operazioni di assunzione e trasbordo dei militari colombiani, in ogni caso, sarebbero state organizzate tutte a Miami.

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Dopo l’omicidio sono stati arrestati anche due haitiano-americani, fra cui Christian Emmanuel Sanon, un medico e pastore battista che viveva in Florida almeno dai primi anni Duemila e che secondo le indagini delle autorità di Haiti sarebbe l’organizzatore e il personaggio chiave di tutta l’operazione. Nella sua casa di Port-au-Prince, la capitale di Haiti, sono state trovate armi, munizioni e comunicazioni compromettenti.

Sanon ambiva alla leadership di Haiti da tempo: nel 2011 aveva pubblicato un video in cui si proponeva come nuovo presidente, e un professore universitario che aveva parlato con lui di recente ha detto al New York Times che Sanon riteneva di essere stato «mandato in missione da Dio per sostituire Moïse».


Molti di questi elementi sono ancora in discussione e pieni di incertezze. Per esempio, come ha scritto il Miami Herald, è difficile immaginare che CTU Security avesse le risorse e le competenze per organizzare un’operazione così complessa, e ci sono diversi sospetti sul fatto che Sanon possa davvero aver avuto il ruolo centrale che gli attribuiscono gli investigatori di Haiti. Ci sono inoltre molti altri elementi poco chiari, come per esempio il presunto coinvolgimento delle guardie di sicurezza che avrebbero dovuto proteggere la residenza di Moïse, il cui capo è stato arrestato qualche giorno fa.

Ma nonostante le incertezze, il ruolo centrale di Miami rimane piuttosto chiaro.

Lo stesso vale per un’altra operazione molto nota fallita miseramente l’anno scorso, quando l’ex membro delle forze speciali dell’esercito americano Jordan Goudreau si convinse di poter organizzare una missione sotto copertura in Venezuela, rapire il presidente Nicolás Maduro, portarlo in Florida e ottenere la taglia di 15 milioni di dollari del governo americano.

Dal suo appartamento a Miami – e, almeno inizialmente, con l’aiuto di parte dell’opposizione venezuelana – Goudreau radunò circa 300 miliziani pronti a un’invasione via mare. L’operazione fallì in maniera piuttosto comica, tra le altre cose perché la presunta missione segreta fu rivelata un paio di giorni prima del suo inizio da un dettagliato articolo di Associated Press.

Le conseguenze furono comunque gravi: Goudreau decise di tentare ugualmente l’invasione, ma i suoi furono facilmente intercettati dalle forze venezuelane. Otto persone morirono e più di cento furono arrestate.

Miami e la Florida meridionale sono spesso al centro di questo tipo di operazioni per diverse ragioni. Anzitutto, la presenza di grosse e influenti comunità di espatriati da vari paesi dell’America Latina, soprattutto Cuba, Haiti e Venezuela. Queste comunità sono spesso costituite da persone fuggite nel corso dei decenni dai regimi che governano il loro paese, contro i quali hanno dunque interessi concreti e risentimenti personali. La comunità cubana è la più attiva in questo senso.

L’episodio ovviamente più noto è la fallita invasione della Baia dei Porci, quando un gruppo di esiliati cubani, sostenuti e finanziati dal governo degli Stati Uniti, tentò di conquistare l’isola e rovesciare il regime castrista, fallendo maldestramente e provocando una gravissima crisi diplomatica che poi sarebbe sfociata nella cosiddetta crisi dei missili cubani.

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Ma ancora negli ultimi giorni, dopo l’inizio delle ultime proteste contro il regime di Cuba, diversi esiliati cubani in Florida hanno proposto di organizzare una flotta navale per aiutare i loro connazionali, e le cose si sono fatte così serie che è dovuto intervenire il dipartimento per la Sicurezza interna.

L’attivismo e il risentimento di queste comunità trovano altri due elementi essenziali a Miami: l’abbondante presenza di ex personale militare e di denaro di provenienza illecita.

La presenza non lontano da Miami di Fort Lauderdale, la base dove ha sede il Southern Command delle forze armate americane, fa sì che la Florida sia piena di veterani con esperienza in America Latina, alcuni dei quali sono ex membri delle forze speciali con addestramento in tattiche di guerriglia e anti insurrezione. Come è avvenuto nel caso di Haiti, la presenza di ex militari è spesso integrata da miliziani o ex militari che arrivano dall’estero, e che stanno diventando sempre più economici da assoldare.

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Negli ultimi anni, ha scritto il Guardian, nella Florida meridionale sono state fondate numerose compagnie di sicurezza privata, in parte da ex militari e in parte da membri delle comunità di espatriati, come nel caso di CTU Security. Ufficialmente queste compagnie si occupano di fornire guardie del corpo e altri servizi di sicurezza, spesso a personaggi ricchi e importanti che vivono proprio in paesi come Haiti, dove i servizi delle società di sicurezza privata di Miami sono piuttosto richiesti.

Ma in alcuni casi queste società si avventurano in operazioni più rischiose, come potrebbe essere successo a CTU Security con l’uccisione di Moïse.

A questo contesto si aggiunge l’ampia disponibilità di denaro proveniente soprattutto dal traffico di droga, di cui Miami è un importante centro negli Stati Uniti, e il fatto che la politica della Florida sia in parte determinata dalle comunità di espatriati, cosa che ha reso le comunità stesse potenti, autonome e difficili da controllare. Le comunità cubana e venezuelana, per esempio, hanno avuto un ruolo nel favorire la vittoria di Donald Trump in Florida sia alle elezioni del 2016 sia in quelle del 2020, a tal punto che spesso le priorità degli espatriati sono diventate priorità del governo federale, come è successo con la decisione del 2017 di reimporre l’embargo economico su Cuba.

Negli scorsi giorni a Miami centinaia di emigrati cubani hanno manifestato contro il regime di Cuba e in solidarietà alle manifestazioni che contemporaneamente stavano avvenendo sull’isola. Come ha notato il Wall Street Journal, molti di loro hanno chiesto al governo americano di intervenire militarmente.

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