Cosa dicono i dati degli incidenti sul lavoro

Che c'è stato un calo delle denunce e dei morti negli ultimi anni, ma anche dei controlli per verificare il rispetto delle norme di sicurezza

(Cecilia Fabiano/LaPresse)
(Cecilia Fabiano/LaPresse)
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Lunedì sono stati celebrati i funerali di Luana D’Orazio, una donna di 22 anni morta lo scorso 3 maggio mentre stava lavorando in una fabbrica tessile di Montemurlo, in provincia di Prato. «È una lunghissima litania, quella dei morti sul lavoro. È una litania che si allunga ogni giorno senza arrestarsi. Occorre che le cose cambino», ha detto il vescovo di Pistoia, Fausto Tardelli, nell’omelia.

Nell’ultima settimana ci sono stati altri incidenti mortali. Giovedì 6 maggio un uomo di 46 anni, Maurizio Gritti, è morto mentre stava lavorando in un cantiere a Pagazzano, in provincia di Bergamo. Il giorno seguente, venerdì 7 maggio, un operaio è morto in un’azienda di mangimi a Sorbolo, in provincia di Parma: si chiamava Andrea Recchia e aveva 37 anni. Sempre venerdì 7 maggio a Gubbio, in Umbria, Samuel Cuffaro, 19 anni, ed Elisabetta D’Innocenzo, 52 anni, sono morti in seguito a un’esplosione in un’azienda in cui si produceva cannabis legale. Sabato 8 maggio un altro lavoratore bergamasco, Marco Oldrati, 52 anni, è morto dopo essere caduto da un ponteggio in un cantiere di un centro commerciale a Tradate, in provincia di Varese.

La morte di questi lavoratori ha riportato l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. I giornali hanno parlato di «emergenza morti sul lavoro» e di «strage continua», i sindacati hanno lanciato un nuovo appello per garantire meno incidenti e molti politici sono intervenuti per assicurare nuove misure che contribuiranno a diminuire i rischi.

I dati dicono che negli ultimi anni gli infortuni e i morti sul lavoro sono costantemente calati: per questo può essere fuorviante parlare di “emergenza”, una parola che dovrebbe indicare un’anomalia critica rispetto all’andamento del fenomeno negli ultimi anni e che invece viene utilizzata per sottolineare la naturale emotività seguita a un incidente sul lavoro particolarmente drammatico. I dati pubblicati dall’ISTAT e dall’INAIL, l’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, riportati ampiamente dai giornali, sono una buona base di partenza per capire cosa è cambiato negli ultimi anni, ma vanno osservati con una netta distinzione tra il periodo fino al 2019, su cui ha senso fare analisi, e il 2020, caratterizzato dall’epidemia da coronavirus che rende impossibile il confronto con il passato.

Secondo il rapporto “Il mercato del lavoro 2020”, pubblicato dall’ISTAT, le denunce di infortuni sul lavoro nel 2019 sono state 561.190, in lieve flessione rispetto al 2018, quando erano state 562.940. Rispetto al 2015 c’è stato un incremento minimo dell’1,1 per cento, ma ISTAT spiega che questo andamento è influenzato in parte dall’introduzione, dall’ottobre 2017, delle “comunicazioni obbligatorie di infortunio”, una norma che obbliga i datori di lavoro a comunicare all’INAIL tutti gli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, mentre prima l’obbligo riguardava solo gli infortuni con oltre tre giorni di prognosi.

I dati dell’INAIL e dell’ISTAT, naturalmente, non tengono in considerazione gli infortuni eventualmente non denunciati dei lavoratori pagati in nero dai datori di lavoro, su cui è difficile fare stime complessive. Si tratta però con ogni probabilità di una percentuale ridotta, ed è molto raro che eventuali infortuni gravi o mortali sfuggano ai controlli. Non cambiano quindi le valutazioni sull’andamento del fenomeno.

Un dato importante e spesso sottovalutato riguarda inoltre gli accertamenti svolti dall’INAIL, che ha il compito di verificare l’attendibilità delle denunce: nel 2019 le denunce accertate positivamente, quindi confermate, sono state 369.290, il 65,8 per cento di quelle presentate, che sono il dato su cui ci si basa normalmente parlando di infortuni. Come si può osservare da questa serie temporale realizzata con dati INAIL e ISTAT, le denunce per infortunio si sono quasi dimezzate rispetto ai primi anni Duemila e il calo è ancora più sensibile rispetto ai decenni precedenti.

Dei 561mila infortuni denunciati nel 2019, 458 mila (l’82%) sono avvenuti sul luogo di lavoro, compresi 18.890 “con mezzi di trasporto” come camionisti e tassisti, mentre 103 mila “in itinere”, cioè nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, prevalentemente per incidente stradale. Secondo l’ISTAT, l’incremento delle denunce rispetto al 2015 si spiega proprio con la crescita degli incidenti “in itinere”, aumentati del 10,4 per cento.

Nel 2019 le denunce di infortunio mortale sono state 1.179, più di tre al giorno, 85 in meno rispetto al 2018. I dati degli incidenti mortali sul lavoro sono influenzati da molte variabili, ma soprattutto hanno numeri bassi che possono subire fluttuazioni dovute agli effetti di eventi che coinvolgono molti lavoratori. Per esempio, il confronto tra il 2018 e il 2019 è condizionato da un elevato numero di incidenti che hanno coinvolto due o più lavoratori nello stesso evento, su tutti il crollo del ponte Morandi a Genova, il 14 agosto del 2018, con 15 lavoratori morti.

Dal 2015 al 2019 il calo degli incidenti mortali sul lavoro è stato del 9,4 per cento. Anche il 2015, come sottolinea l’ISTAT, era stato contraddistinto da incidenti che hanno coinvolto più lavoratori.

La diminuzione degli infortuni mortali del 2019 rispetto al 2018 ha riguardato sia i luoghi di lavoro (43 casi in meno, -4,8%) sia quelli classificati “in itinere” (42 in meno, -11,5%). Se si estende il periodo di analisi al 2015, invece, c’è stato un calo del 12,7 per cento degli incidenti mortali sui luoghi di lavoro, mentre gli incidenti mortali “in itinere” sono aumentati, seppur di poco, con due denunce in più.

I dati del 2020 devono essere osservati separatamente ed è fuorviante confrontarli con gli anni precedenti a causa dell’epidemia da coronavirus: molti lavoratori, soprattutto operatori sanitari, sono morti a causa della COVID-19, molte aziende sono rimaste chiuse nel periodo dell’emergenza, il lavoro da casa ha ridotto gli spostamenti.

Nell’ultimo rapporto pubblicato dall’INAIL viene sottolineato che «quasi un quarto del totale delle denunce d’infortunio e circa un terzo di quelle con esito mortale pervenute da inizio anno sono dovute al contagio da COVID-19». Rispetto al 2019 sono invece diminuiti gli infortuni mortali in itinere, passati da 306 a 214 (-30,1%), mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono aumentati del 34,9% (da 783 a 1.056).

L’epidemia ha condizionato anche i primi mesi del 2021. Negli ultimi giorni si è letto che nel primo trimestre ci sono stati 185 decessi, 19 in più rispetto allo stesso periodo del 2020, con una crescita dell’11,4 per cento. Ma anche questo confronto è improprio, perché negli ultimi mesi molte regioni hanno affrontato la cosiddetta terza ondata dell’epidemia, che ha causato molti morti con possibile contagio nel luogo di lavoro e relativa denuncia, mentre lo scorso anno la prima ondata ha avuto conseguenze sulla tenuta sanitaria a partire da marzo.

Anche il confronto con gli altri paesi europei è complesso, perché i criteri per la definizione dell’incidente sul lavoro sono diversi: alcuni paesi considerano l’incidente “in itinere”, altri no. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Eurostat, comunque, l’Italia ha un’incidenza di incidenti mortali molto vicina alla media dell’Unione Europea.

Uno degli aspetti meno considerati dalle analisi pubblicate negli ultimi giorni è che la sicurezza sul lavoro segue i cambiamenti della società e quindi va studiata considerando un arco temporale di decenni, non di pochi anni: coinvolge l’evoluzione del mondo del lavoro, ovviamente, ma anche lo sviluppo tecnologico, gli interventi normativi, la cultura aziendale, l’istruzione e la formazione. È molto complesso quantificare e confrontare questi cambiamenti sociali e culturali, che spesso sono effetto e causa l’uno dell’altro.

Al netto del 2020, i dati sul lungo periodo mostrano in modo piuttosto evidente che gli incidenti sul lavoro, anche quelli mortali, sono diminuiti negli anni. Questo non significa che il problema non esista: un incidente sul lavoro è sempre un fatto grave e concettualmente difficile da accettare. Secondo Franco Bettoni, presidente dell’INAIL, l’andamento in calo dimostra l’importanza di continuare a tenere alta l’attenzione sul tema. «Bisogna indignarsi e continuare a parlare di sicurezza sui luoghi di lavoro», ha detto in un’intervista alla Stampa.

Sono molte le ragioni che spiegano come mai si continua a morire sul lavoro. La prima riguarda la natura delle aziende italiane: le piccole e medie imprese, che hanno pochissimi dipendenti, rappresentano il 92 per cento del totale. Soprattutto le imprese edili, una delle categorie più a rischio, spesso sono formate da un datore di lavoro e da uno o due dipendenti. In queste realtà, spesso familiari, è spesso più difficile garantire investimenti sulla sicurezza rispetto alle grandi aziende, dall’altro esiste di frequente un rapporto diretto tra titolare e dipendenti che rende plausibile un maggior coinvolgimento nella questione della sicurezza.

Un’altra causa delle cosiddette “morti bianche” riguarda l’aggiornamento tecnologico di macchinari e mezzi, un problema rilevante anche in agricoltura, dove vengono spesso utilizzate attrezzature obsolete. A causa della crisi economica, molte aziende hanno rinunciato a investire mantenendo in funzione vecchi impianti e con scarsa manutenzione.

Gli scavi della metro accanto al Colosseo, a Roma (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Tra le cause di incidenti più citate negli ultimi giorni c’è anche la diminuzione dei controlli sulla sicurezza nelle aziende, dovuta principalmente a un numero di ispettori non sufficiente a garantire un monitoraggio approfondito e capillare. I sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato un appello per chiedere di migliorare le ispezioni «in quantità, qualità e frequenza» anche attraverso «l’integrazione delle banche dati disponibili, lo sviluppo di tutti i servizi di prevenzione e per la sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso assunzioni mirate e finanziamenti ad hoc».

I dati dicono che la percentuale di irregolarità riscontrata durante i controlli dell’ispettorato del lavoro è elevata. Nel 2020, sono emerse 8.068 irregolarità sui 10.179 accertamenti eseguiti, il 79,3 per cento dei casi. L’epidemia ha influito anche sull’andamento dei controlli, passati dai 18mila del 2019 ai 10mila del 2020. Al momento, invece, non è possibile sapere quanti siano stati i controlli eseguiti dalle aziende sanitarie, che svolgono la maggioranza degli accertamenti, ma è presumibile che anche questi siano calati a causa dell’emergenza coronavirus.