Nel 2020 Amazon non ha pagato tasse nella sua sede europea

Perché in Lussemburgo, dove ha sede l'azienda, ha registrato notevoli perdite, nonostante le vendite eccellenti

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

Nel 2020 Amazon ha fatto registrare 44 miliardi di euro di ricavi in Europa, 12 in più rispetto all’anno precedente, ma come ha rivelato il Guardian nello stesso periodo la società non ha pagato nessuna tassa sui profitti in Lussemburgo, dove ha la sua sede europea, perché ha fatto registrare una perdita di 1,2 miliardi di euro, legata, secondo l’azienda, a un forte aumento degli investimenti. Amazon ha da anni la sua sede europea in Lussemburgo, un paradiso fiscale che permette alla società di Jeff Bezos di pagare ogni anno pochissime tasse o addirittura di ottenere crediti d’imposta, come successo nel 2020.

L’aumento dei ricavi in Europa è in linea con quello generato in tutto il mondo dalla società statunitense – che nel 2020 ha prodotto ricavi pari a 386,1 miliardi di dollari (circa 320 miliardi di euro), quasi 100 in più rispetto al 2019 – e si deve soprattutto alla pandemia da coronavirus, che ha costretto gran parte della popolazione mondiale a stare più tempo in casa, incentivando quindi il mercato dell’e-commerce.

La società europea di Amazon si chiama Amazon EU Sarl, che ha a sua volta succursali in Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Spagna. In questi altri paesi Amazon paga diverse tasse locali, ma non quelle sui profitti societari (corporate tax), che invece vengono trasferiti alla sede legale in Lussemburgo. Il Lussemburgo non è l’unico paese membro dell’Unione Europea ad aver offerto accordi che prevedevano condizioni fiscali particolarmente favorevoli a grandi aziende internazionali: il caso più noto è quello che ha riguardato Apple e l’Irlanda.

Amazon non pubblica la sua dichiarazione fiscale completa ma, come mostra un documento del registro del commercio del Lussemburgo ottenuto per primo dal Guardian, la società è riuscita a non registrare profitti nel 2020 ma perdite, e quindi a non pagare nessuna tassa. Il documento non mostra nei dettagli quanto Amazon abbia guadagnato in ogni singolo paese europeo, ma specifica che, al di là dei 44 miliardi di euro di ricavi, nello stesso periodo Amazon ha fatto registrare perdite per 1,2 miliardi di euro. Queste perdite evitano ad Amazon di versare tasse e, in base al regime fiscale lussemburghese, le consentono inoltre di ottenere 56 milioni di euro di crediti d’imposta, da utilizzare per compensare tasse su eventuali futuri profitti.

Un portavoce della società ha spiegato che «Amazon paga tutte le tasse richieste in ogni paese in cui operiamo» e che la corporate tax si basa sui profitti, non sui ricavi, «e i nostri profitti sono rimasti bassi a causa dei nostri ingenti investimenti e a causa del fatto che la vendita al dettaglio è un’attività altamente competitiva e con un basso margine di profitto». Il portavoce ha aggiunto che Amazon «ha investito ben oltre 78 miliardi di euro in Europa dal 2010 e gran parte di questi investimenti è in infrastrutture che creano molte migliaia di nuovi posti di lavoro, generano entrate fiscali locali significative e sostengono le piccole imprese europee».

La fiscalità vantaggiosa di cui godono Amazon e altre aziende attraverso sedi legali in paesi come il Lussemburgo e l’Irlanda è una questione nota da tempo, e in Europa da anni si discute dell’introduzione di una cosiddetta “web tax”, ovvero una tassa europea sul fatturato delle grande aziende di Internet. Nell’ottobre del 2017 la Commissione Europea aveva ordinato ad Amazon di pagare 250 milioni di euro di tasse al Lussemburgo, sostenendo che la società dovesse restituire al piccolo paese gli aiuti ricevuti sulla base di un accordo fiscale del 2003 ritenuto contrario alle regole comunitarie. Sia Amazon che il Lussemburgo avevano presentato ricorso contro la decisione, e per il 12 maggio è attesa una decisione da parte del Tribunale dell’Unione Europea (l’organo di primo grado della corte di giustizia dell’Unione).

La questione della tassazione agevolata in alcuni paesi è molto discussa anche negli Stati Uniti. Il mese scorso il presidente Joe Biden ha proposto all’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), di cui fanno parte vari paesi compresa l’Italia, l’introduzione di una tassa minima del 21% sui guadagni esteri delle multinazionali (contro il 10,5 per cento chiesto attualmente dal fisco americano), da calcolare paese per paese. Biden prevede anche di rivedere la riforma fiscale approvata nel 2017 dalla precedente amministrazione di Donald Trump, aumentando dal 21 al 28 per cento l’aliquota sui profitti generati dalle società negli Stati Uniti.