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  • Venerdì 16 aprile 2021

Il dominio dei Castro a Cuba sta per finire

Inizia il congresso del Partito comunista e ci si aspetta che Raúl Castro rinunci a tutti i suoi poteri: chi verrà dopo di lui, comunque, non farà la rivoluzione

Raúl Castro (EPA/Ernesto Mastrascusa)
Raúl Castro (EPA/Ernesto Mastrascusa)

Venerdì comincia a Cuba l’ottavo congresso del Partito comunista cubano, durante il quale è previsto che Raúl Castro, che ha dominato la politica dell’isola dalla morte del fratello Fidel nel 2016, rinunci a tutti gli incarichi ufficiali che ancora detiene e ceda definitivamente il potere a una generazione di leader più giovani. Il ritiro di Raúl Castro, che ha 89 anni, è stato annunciato più volte da lui stesso ed è atteso da tutti gli osservatori, ma non è certo che succeda.

Castro, che nel 2018 aveva già lasciato la presidenza al sessantenne Miguel Díaz-Canel, durante il congresso dovrebbe rinunciare alla carica di primo segretario del Partito comunista, la più importante nel paese: a Cuba, che si può definire una dittatura perché non ha partiti di opposizione né elezioni libere, il potere è concentrato nelle mani del capo del Partito comunista piuttosto che in quelle del presidente. Dovrebbe rinunciare anche alla carica di capo delle forze armate.

Il Congresso potrebbe diventare un momento di importante passaggio storico: senza Castro, sarà il primo in cui nel Politburo del Partito comunista (l’organo collegiale che prende le decisioni politiche più importanti) non sarà presente nessun membro di quella che a Cuba è chiamata la «generazione storica», cioè la generazione che partecipò alla rivoluzione del 1959 e che instaurò un regime comunista sull’isola. Tuttavia, anche se il paese ha un fortissimo bisogno di riforme soprattutto economiche, la nuova generazione di leader sembra avere come obiettivo principale quello della continuità politica, e gli analisti nutrono poche speranze che durante il congresso saranno fatti annunci di grande rilievo.

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Il ritiro di Raúl Castro era atteso da tempo ed è stato attuato con una certa gradualità. A causa del peggioramento dello stato di salute del fratello Fidel, che aveva dominato Cuba per 50 anni, Raúl aveva cominciato ad assumere l’incarico di presidente di Cuba nel 2006, divenuto ufficiale nel 2008. Nel 2011 era diventato primo segretario del Partito, e nel 2016, dopo la morte di Fidel, era rimasto l’unico leader del paese. Ma già a partire da quell’anno, a causa della sua età avanzata, Raúl aveva iniziato a programmare la sua rinuncia al potere, annunciando che nel 2021 avrebbe abbandonato ogni incarico.

Così, nel 2018 aveva lasciato la presidenza a Miguel Díaz-Canel, nel 2019 aveva consentito l’approvazione di una nuova Costituzione che, tra le altre cose, ripristinava la carica di primo ministro; infine, quest’anno, dovrebbe rinunciare a tutti gli incarichi che gli sono rimasti. Assieme a Raúl Castro dovrebbe ritirarsi anche il suo vice, il novantenne José Ramón Machado, un altro degli ultimi esponenti della «generazione storica». Il posto di primo segretario del Partito comunista dovrebbe andare a quel punto a Díaz-Canel, secondo gli analisti.

Se dovesse effettivamente concretizzarsi, la fine definitiva del dominio dei Castro a Cuba arriverebbe in un momento di grave difficoltà per l’isola. La crisi provocata dalla pandemia da coronavirus ha danneggiato molto l’economia, che in buona parte dipende dal turismo internazionale: nel 2020 il PIL cubano ha subìto un calo di oltre l’11 per cento. L’inasprimento delle sanzioni economiche voluto dall’ex presidente americano Donald Trump ha contribuito a peggiorare la situazione. Come ha scritto il Financial Times, da mesi a Cuba c’è carenza di diversi generi alimentari come il latte e la carne.

La crisi ha provocato un diffuso malcontento che la leadership politica non è riuscita a placare. Nel corso dell’anno scorso collettivi di artisti cubani hanno promosso diverse proteste, e la diffusione di internet nel paese, resa più capillare dall’introduzione di connessioni via smartphone pochi anni fa, ha reso più difficile individuare e reprimere il dissenso.

Il governo di Díaz-Canel ha cercato negli scorsi anni di mettere in atto alcune timide riforme economiche, la più importante delle quali, a gennaio del 2021, è stata l’eliminazione definitiva del regime di doppia valuta, che aveva provocato il proliferare del mercato nero e l’aumento delle diseguaglianze. Per ora tuttavia il risultato principale della riforma è stato l’aumento dell’inflazione.

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Al congresso di questi giorni, a cui parteciperanno centinaia di delegati, è previsto che si discuta di un «aggiornamento» del modello economico cubano, come ha scritto il giornale di partito Granma, ma è piuttosto difficile che siano annunciate riforme ambiziose. Secondo la maggior parte degli analisti, per rivitalizzare l’economia cubana sarebbe necessario riformare profondamente le industrie di stato, ormai obsolete, e le numerose agenzie pubbliche che danno lavoro alla maggior parte della popolazione.

Anche dal punto di vista della politica estera Cuba si trova in una situazione sfavorevole: negli ultimi anni Donald Trump aveva rifiutato la stabilizzazione dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti voluta dal suo predecessore Barack Obama, ed era arrivato a inserire Cuba nella lista degli stati sostenitori del terrorismo internazionale, decisione considerata da molti osservatori internazionali come ingiustificata.

Molti si aspettano che la nuova amministrazione statunitense di Joe Biden cercherà di riavvicinare i rapporti, ma per ora non ci sono indicazioni precise in merito.