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  • Lunedì 5 aprile 2021

Contro i migranti, l’Europa usa qualsiasi mezzo

Da tempo i paesi orientali impiegano droni, telecamere termiche e rilevatori di battito cardiaco, forse pagati con fondi europei

(Damir Sagolj/Getty Images)
(Damir Sagolj/Getty Images)

La progressiva chiusura e militarizzazione dei confini dell’Europa orientale, avviata nel 2015 a causa del flusso di circa un milione di richiedenti asilo attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”, è stata resa possibile sia da un maggiore dispiegamento di forze sia da tecnologie sempre più all’avanguardia a disposizione delle guardie di frontiera. Negli ultimi due anni, in particolare, diverse inchieste giornalistiche e rapporti di ong hanno raccontato come gli stati dell’Unione Europea si siano dotati di tecnologie usate soprattutto in ambito militare per compiere operazioni che militari non sono, come la gestione dei richiedenti asilo che arrivano ai confini dell’Unione Europea.

La maggiore disponibilità di forze e tecnologie, oltre alla validazione dai governi nazionali, ha di fatto legittimato le guardie di frontiera a usare ogni mezzo a disposizione per impedire ai richiedenti asilo di entrare nel territorio dell’Unione Europea: anche quelli illegali, come l’uso della forza e i cosiddetti respingimenti di massa.

Osman, un rifugiato siriano che vive in Serbia, ha raccontato di recente al Guardian che quando arrivò in Europa attraverso la “rotta balcanica” nel 2014, le guardie di frontiera «non avevano a disposizione alcun tipo di tecnologia: oggi invece hanno droni, telecamere termiche, e molte altre cose». Quando qualche mese fa Osman ha provato ad entrare in Ungheria dal confine serbo, le guardie di frontiera ungheresi che l’hanno catturato si sono vantate di quanto avessero funzionato bene i dispositivi tecnologici a loro disposizione, «compreso un enorme drone con una videocamera». «Possiamo vederti dappertutto», gli dissero. Molte testimonianze simili a quelle di Osman si trovano in un recentissimo rapporto sulle violenze delle guardie di frontiera europee nei Balcani compilato dalla rete di ong Border Violence Monitoring Network.

L’Ungheria, un paese guidato da un governo semi-autoritario e ostile all’immigrazione, non è l’unico membro dell’Unione Europea ad essersi dotato di tecnologie simili.

La Croazia ha acquistato telecamere termiche e a infrarossi e tecnologie per rilevare il battito cardiaco che utilizza soprattutto sul suo confine, e una partita di droni da 2,3 milioni di euro in grado ciascuno di individuare una persona a chilometri di distanza, anche di notte (simili droni sono spesso usati dall’esercito israeliano prima o durante gli scontri armati con miliziani e attivisti palestinesi). Proprio le guardie di frontiera croate da più di due anni sono sistematicamente responsabili di violenze, torture e furti ai danni dei richiedenti asilo che provano a entrare in territorio croato, ammessi anche dalla presidente del paese.

Anche la Romania ha simili dispositivi: in più, sempre secondo il Guardian, ha comprato alla sua guardia di frontiera 24 veicoli con visuale notturna per circa 13 milioni di euro. In Ungheria la spesa pubblica per la gestione dei migranti non viene comunicata per via di un’apposita legge del governo di Viktor Orbán, ma ci sono pochi dubbi che sia al livello degli altri paesi.

La militarizzazione del confine europeo è avvenuta anche in mare. Qualche mese fa il sito di news Bellingcat aveva calcolato che nel 2020 per sorvegliare il tratto di mare fra la Turchia e le principali isole greche la controversa agenzia europea per la guardia di frontiera, Frontex, aveva utilizzato centinaia di agenti e 22 mezzi fra imbarcazioni militari, elicotteri e aerei.

– Leggi anche: I molti problemi di Frontex

Il sospetto di diversi esperti di immigrazione è che gli stati più coinvolti nella gestione dei confini europei abbiano utilizzati proprio dei fondi comunitari per dotarsi di questi dispositivi tecnologici. Risalire al singolo acquisto di ogni paese è piuttosto complesso – il Guardian per esempio riesce ad attribuire a fondi europei soltanto l’acquisto di telecamere termiche da parte della Croazia – ma rimane significativo il fatto che ormai da anni la voce di bilancio per il controllo delle frontiere e la gestione dei migranti continui ad aumentare a dismisura.

Nel bilancio pluriennale fra il 2007 e il 2013 furono stanziati in tutto 2,4 miliardi di euro. Nel bilancio pluriennale successivo 2014-2020 le spese si gonfiarono soprattutto durante la prima gestione della rotta balcanica, fra 2015 e 2016: stabilire la cifra finale non è facile, ma secondo uno studio richiesto nel 2018 dalla commissione Bilancio del Parlamento Europeo ci si avvicinò a una dozzina di miliardi. Nel bilancio 2021-2027, appena negoziato, la voce “migrazione e controllo delle frontiere” è stata praticamente raddoppiata, arrivando a poco meno di 23 miliardi.

Nei prossimi anni fra l’altro Frontex avrà un ruolo sempre più rilevante: entro il 2027 passerà dagli attuali 1.500 a 10mila effettivi – di cui 7.000 distaccati dalle forze dell’ordine nazionali – e avrà nel bilancio 2021-2027 un budget superiore alla maggior parte delle agenzie dell’Unione Europea, di circa 5,6 miliardi di euro.

La militarizzazione delle frontiere è arrivata dopo anni di pressione delle lobby delle armi e della sicurezza sulle istituzioni europee. Fra il 2017 e il 2019 Frontex ha tenuto 138 incontri con soggetti privati, fra cui 108 con aziende e uno solo con una ong. Fra le aziende, le più ascoltate sono state due giganti nel settore della difesa, Airbus e Leonardo. La permeabilità fra funzionari europei, politici nazionali e lobby delle armi è raccontata da anni da ricercatori che si occupano della proliferazione delle armi e testimoniata da fatti concreti, come la recente nomina dell’ex ministro dell’Interno italiano Marco Minniti a capo di una fondazione di Leonardo.

A causa della militarizzazione dei confini orientali e dell’assenza di vie legali per entrare nell’Unione Europea, gli ingressi via terra sono drasticamente calati – nei primi tre mesi del 2021 sono stati poco meno di mille – mentre si sono ormai stabilizzate le situazioni di stallo al confine fra Bosnia-Erzegovina e Croazia e nelle altre zone di confine fra un paese e l’altro.

– Leggi anche: Lo stallo sulla rotta balcanica, spiegato