Il “binge watching” non si è preso tutto

Quando Netflix cominciò a pubblicare le serie tutte-e-subito qualcuno ipotizzò che sarebbe diventata la norma, ma la tradizionale cadenza settimanale continua a resistere

Il primo febbraio del 2013 Netflix – che al tempo in Italia ancora non c’era – mise online in un colpo solo i tredici episodi della prima stagione di House of Cards. Fu una mossa spiazzante e senza precedenti a quei livelli, che di fatto rese popolare il concetto di binge watching, la visione consecutiva di più episodi della stessa serie. Molti videro in quella novità una forma di consumo audiovisivo che col tempo avrebbe sostituito la tradizionale visione a cadenza settimanale degli episodi delle serie tv, quella con cui milioni di persone avevano visto e amato serie come Mad Men, Friends o I Soprano. Tanto che a maggio 2019, dopo l’ultimo episodio dell’ultima stagione di Game of Thrones, qualcuno ne parlò perfino come dell’ultima serie che riuscimmo a «guardare tutti insieme», in quanto uscita settimanalmente, a più riprese, nell’arco di diversi anni.

Non è stato così. Perché anche dopo la fine di Game of Thrones, e anche durante la pandemia, alcune tra le serie più seguite e discusse sono andate in onda (o più spesso online) alla vecchia maniera: cioè a cadenza settimanale, uno o due episodi per volta. È successo, per esempio, con The Mandalorian o con WandaVision, due serie di Disney+, il servizio meglio attrezzato per insidiare il primato di Netflix nel mondo dello streaming audiovisivo.

Anche fuori da Disney+, comunque, ci sono sempre più segnali del fatto che, almeno per un altro po’ di tempo, continueremo a vedere le serie in due modi: a volte facendone una scorpacciata in un giorno o in un weekend; altre volte aspettando e assaporando uno o due episodi per volta, settimana dopo settimana. Ed è probabile che a decidere se sarà una cosa o l’altra saranno ragioni economiche, più che creative o tecnologiche.

Con piccole differenze da un paese all’altro – in Italia, per esempio, quando possibile si sceglie spesso di far vedere due episodi a settimana, per far sì che la loro durata si avvicini a quella di un film – per decenni la televisione lineare, con un palinsesto giornaliero e settimanale, non ha avuto grandi alternative. E, in genere, non è mai un buon segno quando una serie viene spostata da un giorno all’altro: vuol dire che non è riuscita a ritagliarsi un pubblico consistente in quel giorno lì, e allora la si prova a mettere altrove, così che possa magari intercettare altri spettatori.

Prima dell’arrivo di Netflix, la possibile visione successiva di tanti episodi esisteva, ma era un’eccezione. O una scelta privata, resa possibile da videocassette o DVD. Le cosiddette “maratone televisive” c’erano, ma erano piuttosto rare. E quasi sempre dedicate al recupero di qualche vecchia stagione, o comunque a delle repliche: come successe per esempio nel dicembre 2012, quando in vista dell’ultima stagione della serie MTV organizzò una maratona di più giorni del suo reality show Jersey Shore.

Per ragioni economiche legate alla raccolta pubblicitaria, e perché occupare giornate intere di programmazione con un solo tipo di contenuto può essere spesso una cattiva idea, la programmazione settimanale sembrò a lungo la migliore soluzione possibile. Lo era già ai tempi degli sceneggiati Rai degli anni Sessanta e lo restò anche per il successivo mezzo secolo di televisione. Di base, per decenni la stragrande maggioranza delle serie seguì le regole di quella che è nota come appointment TV, perché prevedeva una specie di appuntamento fisso davanti allo schermo, a un certo giorno e a una certa ora.

Poi arrivò Netflix, che in un attimo mise online, tutta e subito, una costosa e ambiziosa serie come House of Cards. Come disse Ted Sarandos, attuale co-amministratore delegato di Netflix, ai tempi «l’unica cosa che a Hollywood riusciva a mettere tutti d’accordo» era l’opinione che mettere online intere stagioni in una sola volta fosse una follia. Invece l’idea piacque agli spettatori e Netflix la replicò in tutte le successive stagioni della serie, e dopo ancora in tutte le sue altre serie o miniserie, da Orange is the New Black fino a Bridgerton, passando per Stranger Things e La regina degli scacchi.


Il concetto di binge watching prese piede velocemente, e fu in gran parte associato a Netflix. Che tra l’altro nei primi tempi – non gradendo il fatto che la parola “binge” significasse “abbuffata” – provò, evidentemente senza riuscirci, a spingere affinché anziché di binge watching si usasse un più neutro “marathon watching“.

Comunque lo si voglia chiamare, quel tipo di visione delle serie è stato uno dei pilastri alla base del grande successo di Netflix, perché permise al servizio di proporsi come alternativo alla televisione tradizionale. Come qualcosa di più libero e “dalla parte degli spettatori”, capace di rompere certe vecchie e non particolarmente pratiche usanze. Netflix riuscì anche a trovare un pubblico diverso e più giovane di quello televisivo, e ad occupare segmenti e momenti nei confronti dei quali i palinsesti tradizionali erano più sguarniti. «Noi siamo in competizione con il sonno», come disse qualche anno fa il suo cofondatore Reed Hastings.

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In tempi più recenti diversi servizi di streaming hanno deciso di “fare come Netflix”. Persino un servizio come RaiPlay, evidentemente legato alla televisione lineare, ha scelto in un paio di occasioni di rendere disponibili certe sue serie e certi suoi programmi tutti e subito, in certi casi anche anticipando la programmazione televisiva.

Ma la tradizionale programmazione settimanale è comunque rimasta prevalente sulla tv americana, per esempio su canali come HBO, Hulu o ShowTime, per serie come The Handmaid’s Tale, Westworld o Watchmen. Per tutte le stagioni di queste serie si poteva aspettare un paio di mesi e vedersele tutte d’un fiato, ma la visione principale prevedeva una cadenza settimanale, così da dare il tempo di pensarci, di analizzarle e di parlarne.


Ma non vale solo per i network tradizionali: anche servizi nuovi e esclusivamente legati allo streaming come Apple TV+, per esempio, a volte fanno “come Netflix” e altre scelgono di far uscire gli episodi delle sue serie un episodio a settimana. E anche su Amazon Prime Video, i cui contenuti sono quasi sempre disponibili tutti-e-subito, ci sono stati casi di serie messe online a cadenza settimanale. È successo, qualche mese fa, con la seconda stagione di The Boys.


A volte, le ragioni di chi sceglie la tradizionale uscita settimanale sono creative, o quantomeno legate al contenuto della serie. C’è l’idea, per esempio, che serie enigmatiche o cervellotiche rendano meglio se chi le guarda ha il tempo di ragionarci sopra e di confrontarcisi insieme ad altri. E quindi che una serie come WandaVision, con i suoi tanti enigmi e le sue molte domande, renda meglio se dilazionata nel tempo. L’idea è che una serie come Lost non sarebbe diventata quello che è diventata se le sue stagioni fossero state viste nell’arco di qualche pomeriggio invece che nell’arco di diversi mesi, con le interminabili e cervellotiche discussioni che riempivano l’attesa tra una puntata e l’altra. In tanti poi ritengono che la programmazione settimanale, e quindi la creazione di episodi tra loro ben distinti l’uno dall’altro, si addica maggiormente alla serie tv di qualità, che punta a essere gustata, più che consumata.

Più spesso, però, sembra che dietro alla scelta della programmazione settimanale ci siano ragioni di tipo economico. Per prima cosa, legate alla necessità di differenziarsi da un tipo di modello ormai molto associato con Netflix. E poi, in termini molto più concreti, con la necessità, da parte di un servizio come Disney+, di conquistare e mantenere nuovi spettatori. In altre parole, la pubblicazione a cadenza settimanale servirebbe a “tenere occupati” gli spettatori più a lungo, e quindi evitare che – magari non trovando altro di loro interesse – disdicano il loro l’abbonamento. «Siamo ancora agli inizi» disse un paio di anni fa Rick Strauss, capo del marketing e dei contenuti di Disney+ «e pensiamo che mettere online tutto e subito renderebbe più difficile costruirci un pubblico».

Sono economiche anche le ragioni legate all’ambizione – da parte di chi sceglie la programmazione settimanale – di presidiare per settimane, anziché per giorni, certi spazi su internet o sui giornali, lasciando il tempo per parlarne e per far crescere l’attesa del finale. Un paio di anni fa Kevin Reilly, uno dei dirigenti di HBO Max, disse che serie come Chernobyl e Succession riuscirono ad avere un certo impatto culturale e a non «svanire rapidamente» anche perché ebbero il tempo di «essere viste con calma e crescere un episodio dopo l’altro».


Il fatto che certe serie stiano uscendo alla vecchia maniera e che quasi di certo continueranno a farlo per anni non vuol dire però che il modello pensato per sfruttare il binge watching non sia efficace. Ci sono infatti serie per cui le “abbuffate” vanno benissimo. Per esempio in una serie come La Casa di Carta, pensata per essere un lungo e immersivo flusso di eventi; oppure in una miniserie da poche ore come La regina degli scacchi; o anche in serie non proprio di grande qualità, eppure a loro modo appassionanti, come Bridgerton. O persino nel caso di una serie come Stranger Things, in cui ogni stagione sembra quasi essere quasi «un unico e lungo episodio».

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Come fa notare il critico televisivo James Poniewozik in un suo recente articolo sul New York Times, è molto probabile che questi due modelli continueranno a convivere ancora a lungo. «È una buona cosa» ha scritto «che servizi diversi stiano provando strade diverse», perché «il fatto di poter mostrare le serie in un certo modo non vuol dire che per forza di cose lo si debba fare». Poniewozik si augura anche che la scelta tra un modello e l’altro in futuro sia sempre più legata al contenuto, più che al marketing. E scrive, per esempio, che secondo lui una serie come Game of Thrones, così piena di storie e di personaggi, avrebbe beneficiato della messa online in un solo momento di tutti gli episodi di ogni sua stagione.

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Il fatto è che spesso è proprio questione di gusti: c’è chi si è lamentato dell’uscita a cadenza settimanale degli episodi di WandaVision o anche chi, più banalmente, si è trovato a fare binge watching, anni dopo la loro uscita, di serie come Mad Men, Friends o I Soprano, evidentemente pensate per essere viste in tutt’altra maniera.

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