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  • Giovedì 18 marzo 2021

Senza i “backpacker”, in Australia la frutta rimane sugli alberi

I problemi sono iniziati da quando sono state chiuse le frontiere, per via della pandemia: ma forse c'erano già prima

(Bai Xuefei/ Xinhua via ZUMA Press/ ANSA)
(Bai Xuefei/ Xinhua via ZUMA Press/ ANSA)

Una delle conseguenze della chiusura dei confini dell’Australia per la pandemia da coronavirus è stata la carenza di forza lavoro per i cosiddetti lavori occasionali (“casual jobs”), che nella maggior parte dei casi sono svolti da giovani stranieri. Nell’ultimo anno in Australia è rimasto meno di un quarto delle persone che fanno questo tipo di lavori, tra cui le ragazze e i ragazzi alla pari e i raccoglitori di frutta e verdura: a risentirne è stato in particolare il settore agricolo.

Secondo sindacati e ricercatori, questa situazione potrebbe offrire l’occasione per ripensare la gestione del lavoro nelle imprese agricole del paese e sarebbe anche un’opportunità per rivedere le politiche sull’immigrazione, tutelando maggiormente i lavoratori di questo settore.

Grazie al visto Working Holiday, che permette a ragazze e ragazzi con meno di trent’anni di ottenere un permesso di vacanza-lavoro nel paese, ogni anno in Australia arrivano circa 200mila persone. Il programma offre a giovani stranieri la possibilità di estendere la validità del loro visto turistico fino a uno o due anni, ma bisogna lavorare per almeno 88 giorni in determinate aree rurali: nel settore edilizio, in quello minerario oppure in quello agricolo, dove è appunto impiegata la maggior parte dei “backpacker”, il nome con cui sono indicati i ragazzi che viaggiano con lo zaino in spalla, spostandosi di frequente, spesso dormendo negli ostelli e facendo lavori occasionali.

Secondo la Federazione nazionale degli agricoltori, i backpacker sono l’80 per cento della forza lavoro del settore agricolo australiano; secondo i dati del governo, adesso in Australia ce ne sono circa 45mila, meno della metà della metà di quelli che arriverebbero in un anno normale.

Il responsabile della Federazione degli agricoltori, Tony Mahar, ha spiegato che per via della chiusura dei confini in tutti gli stati australiani mancano almeno 26mila lavoratori e che di conseguenza il mercato della frutta e della verdura potrebbe subire perdite per oltre 4 miliardi di euro. La frutta che non viene raccolta cade dagli alberi e viene destinata al macero, oppure è raccolta troppo tardi e ha una qualità più bassa, e quindi viene venduta a prezzi minori oppure utilizzata per la produzione di succhi.

Oltre al problema dei raccolti sprecati, uno degli effetti negativi è anche che i prezzi dei prodotti di buona qualità diventano più alti.

Pompelmi caduti dalle piante in un’azienda agricola di Leeton, nel Nuovo Galles del Sud. (EPA/ Lukas Coch via ANSA)

Il settore agricolo australiano è cresciuto fino a raggiungere un giro di affari pari all’equivalente di circa 45 miliardi di euro all’anno. Come ha spiegato al New York Times Joanna Howe, esperta di migrazioni per lavoro temporaneo all’Università di Adelaide, i lavoratori occasionali stranieri «vengono sfruttati molto facilmente»: per questa ragione negli anni i salari si sono abbassati e le condizioni di lavoro sono peggiorate, col risultato che i giovani australiani hanno abbandonato il settore.

In assenza dei backpacker, il governo è dovuto intervenire per provare a trovare la forza lavoro altrove, ma con molte difficoltà.

Alcuni mesi fa era stato presentato un programma federale rivolto ai disoccupati australiani che prevedeva un bonus di circa 6mila dollari australiani (più o meno 3.900 euro) per chi avesse deciso di trasferirsi per lavorare nelle aree rurali; ma si erano candidati soltanto in 350. Allo stesso tempo, è stata accantonata la proposta di impiegare i carcerati, molto contestata dagli agricoltori. Alla fine, negli ultimi mesi sono arrivati circa 2.400 lavoratori da alcuni stati insulari del Pacifico con cui l’Australia ha accordi di cooperazione e facilitazione del lavoro, ma comunque non sono stati abbastanza per risolvere i problemi del settore agricolo.

Le federazioni di agricoltori e l’ente del turismo che si occupa delle iniziative per i viaggiatori-lavoratori (Backpacker & Youth Tourism Advisory Panel) hanno chiesto al governo di permettere nuovamente l’ingresso nel paese ai giovani stranieri, affinché possano tornare a lavorare nelle aziende agricole, come ragazze e ragazzi alla pari oppure nel settore turistico, per provare a rilanciare l’economia. Per ora, però, i confini rimangono chiusi e in generale non si sa quando riapriranno.

– Leggi anche: Le vacanze-lavoro in Australia non sempre finiscono bene

Da tempo i sindacati e i rappresentanti del settore agricolo chiedono che venga introdotto un apposito visto per il lavoro agricolo, che da un lato aiuterebbe gli imprenditori, garantendo la presenza di forza lavoro, e dall’altro tutelerebbe i lavoratori: secondo i sindacati, una maggiore regolamentazione potrebbe infatti contribuire a mantenere sotto controllo gli abusi nei confronti dei backpacker oppure rendere più semplice la richiesta di residenza permanente in Australia, un processo che negli ultimi anni è diventato sempre più complicato.

Il segretario dell’Australian Workers’ Union, Dan Walton, ha detto che il suo sindacato ha visto «casi di abusi sessuali, violenze fisiche, passaporti confiscati contro il volere delle persone», ma anche altri comportamenti che minacciavano le già precarie sicurezze dei lavoratori: per esempio datori di lavoro che non pagavano, decurtavano i salari oppure truffavano i lavoratori, indicando false detrazioni in busta paga.

Per dare l’idea, una ragazza statunitense che raccoglieva fragole in un’azienda agricola dello stato nord-orientale del Queensland, Kiah Fowler, ha raccontato al New York Times che veniva pagata 19 dollari australiani all’ora (circa 12,30 euro): circa 5 dollari in meno rispetto al minimo previsto per i casual jobs, che è più alto rispetto al minimo salariale generale, perché questi tipi di impiego non prevedono le altre tutele garantite dal lavoro fisso. Nel settore agricolo però la paga minima non è obbligatoria, e altri lavoratori occasionali vengono pagati anche molto meno, fino a 3 dollari australiani all’ora, oppure sono pagati in base alla produttività anziché alle ore lavorate.

A questo proposito, Fowler ha detto che il suo datore di lavoro le offriva solo dalle 2 alle 4 ore di lavoro al giorno e allo stesso tempo le chiedeva 210 dollari australiani alla settimana (più o meno 135 euro) per l’alloggio in una casa striminzita, assieme ad altri nove backpacker: sapeva di essere sfruttata, ma ha spiegato che durante la pandemia da coronavirus non avrebbe avuto molta scelta.

(EPA/ Lukas Coch via ANSA)

Howe ha detto che in Australia «l’inosservanza delle regole è diventata la norma», e questo è un altro motivo per cui gli australiani hanno abbandonato il settore agricolo.

In questi mesi la Australian Workers’ Union si sta impegnando affinché anche i lavoratori del settore agricolo ottengano la paga minima di 24,80 dollari australiani all’ora (poco più di 16 euro), sostenendo che in questo modo diminuirebbe il lavoro sottopagato e che anche gli australiani sarebbero incoraggiati a lavorare nell’agricoltura.

Per ora, però, le iniziative dei sindacati hanno incontrato le resistenze degli agricoltori: secondo la Federazione nazionale, il problema si dovrebbe risolvere in altri modi, per esempio cambiando il modo in cui viene percepita l’agricoltura sin dalle scuole e incentivando lo sviluppo di nuove tecnologie per dipendere meno dal lavoro manuale.

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