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  • Domenica 6 agosto 2017

Le vacanze-lavoro in Australia non sempre finiscono bene

La madre di una ragazza uccisa un anno fa sta contribuendo a raccogliere prove di abusi e sfruttamenti su un meccanismo di soggiorno per giovani stranieri

(Ian Waldie/Getty Images)
(Ian Waldie/Getty Images)

Nell’agosto del 2016 una ragazza inglese di 21 anni, Mia Ayliffe-Chung, venne uccisa a coltellate insieme al compagno di viaggio Tom Jackson da un uomo di nazionalità francese in un ostello del Queensland. Mia Ayliffe-Chung era in Australia da pochi giorni e ci era arrivata per lavorare in una fattoria con il visto Working Holiday, che permette ai ragazzi con meno di trent’anni di ottenere un permesso di vacanza-lavoro nel paese. La madre di Mia Ayliffe-Chung, Rosie Ayliffe, ha chiesto ora l’apertura di un’indagine governativa sui casi di abuso e di sfruttamento diffusi all’interno di questo sistema che, ha spiegato, mette in pericolo i giovani viaggiatori: «Mi è sembrato di dover usare l’attenzione per le morti di Mia e di Tom per avvertire le persone sul fatto che si possano trovare in pericolo per più di una ragione e che questa situazione sia diffusa in tutta l’Australia».

Il Working Holiday Visa, o visto di vacanza-lavoro, è un progetto internazionale pensato dal governo australiano in accordo con altri paesi, Italia compresa, per permettere ai giovani fino ai trent’anni di vivere, di lavorare e di studiare in Australia per un massimo di due anni. Questo visto viene concesso in modo specifico a chi desidera fare un’esperienza di viaggio e di lavoro, non a chi intenda emigrare o a chi stia cercando un’occupazione definitiva, e permette una permanenza in Australia più estesa di quella concessa da un semplice visto turistico. Il visto, una volta verificati i requisiti, si acquista on line sul sito del Dipartimento di Immigrazione del governo australiano. Il primo permesso ha una durata di 12 mesi e può essere prorogato di altri 12 se si sono nel frattempo accumulati 88 giorni di lavoro specifico in determinati settori e in determinate aree rurali del paese. La proroga prevede tra le altre cose che i datori di lavoro compilino un modulo per il dipartimento immigrazione del governo.

Negli ultimi mesi Rosie Ayliffe ha raccolto importanti prove a sostegno della sua tesi, e cioè che all’interno di questo sistema di soggiorno per turisti-lavoratori, si verifichino abusi e sfruttamenti di diverso tipo. Le prove mettono anche in discussione il ruolo svolto dagli ostelli e dai sistemi di alloggio che spesso rappresentano uno dei canali di contatto tra i giovani turisti-lavoratori e le aziende agricole.

Ayliffe ha lanciato la propria campagna aprendo un sito web e intervistando decine turisti-lavoratori, circa 140: le loro storie descrivono situazioni molto problematiche. Circa il 36 per cento delle persone che ha contattato Ayliffe, una cinquantina, ha dichiarato innanzitutto di non aver ottenuto ciò che era stato promesso dagli ostelli o dalle aziende agricole. Alcuni ragazzi hanno parlato delle false garanzie fornite loro sull’inizio immediato del lavoro, hanno raccontato di attese che si erano prolungate anche diversi mesi e dei debiti che nel frattempo avevano accumulato con gli ostelli che li ospitavano. E della situazione di vincolo che di conseguenza che si era creata. Alcuni ostelli, ha spiegato Ayliffe, pubblicizzano l’offerta di un lavoro immediato anche quando un lavoro non c’era e questo semplicemente per riempire i loro posti letto. I genitori di Tom Jackson, il ragazzo ucciso insieme a Mia Ayliffe-Chung, hanno raccontato che a loro figlio erano stati confiscati documenti e computer dai proprietari dell’alloggio in cui si trovava poiché, in attesa di un lavoro da settimane, aveva accumulato un debito piuttosto sostanzioso.

Rosie Ayliffe ha poi raccolto prove di maltrattamenti, di sistemazioni non dignitose (qualcuno ha testimoniato di alloggi infestati dai topi o senza riscaldamento), di abusi verbali, di minacce di licenziamento, di paghe non adeguate e ben al di sotto del minimo previsto per legge e anche di proposte sessuali da parte dei datori di lavoro in cambio della compilazione dei moduli necessari alla permanenza. Sei delle persone intervistate da Ayliffe hanno usato il termine “schiavitù”.

Il lavoro e la mobilitazione di Ayliffe – che ha anche scritto al primo ministro australiano Malcolm Turnbull – stanno contribuendo ad avviare un dibattito politico e pubblico su questo sistema nel paese. Linda Reynolds, senatrice Liberale, su ABC ha ad esempio definito questo sistema una «schiavitù moderna», perché «queste persone sono sfruttate e non hanno la capacità di uscirne facilmente». Nell’ottobre del 2016 il governo australiano ha istituito uno speciale gruppo di lavoro e di indagine sulla situazione dei lavoratori migranti presieduto da Allan Fels, il quale ha dichiarato che Ayliffe è diventata una fonte molto importante e utile di raccolta prove sul campo. Ayliffe ha a sua volta accolto con favore le dichiarazioni di Fells, ma ha sottolineato come non sia suo il compito di colmare un vuoto di informazioni lasciato dal governo. Il gruppo di Fells dovrà riferire al governo nel 2018 sulle questioni che hanno a che fare con lo sfruttamento dei lavoratori migranti, e ha detto che la questione dei turisti-lavoratori sarà al centro della sua relazione.