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  • Venerdì 12 marzo 2021

Lo scialpinismo era pronto per la pandemia

Con gli impianti chiusi, lo sport che prevede la risalita dei pendii con gli sci e la discesa sulla neve fresca sta raccogliendo tantissimi nuovi appassionati

di Gabriele Gargantini

(Dynafit)
(Dynafit)

Con gli impianti di risalita chiusi e la gran quantità di neve caduta nelle prime settimane di inverno, quest’anno lo scialpinismo ha raccolto molti nuovi appassionati in Italia, che hanno deciso di dotarsi di un’attrezzatura apposita per risalire i pendii delle montagne con gli sci ai piedi, scendendo poi sulla neve fresca. Un’attività che si pratica da decenni ma diventata particolarmente attraente per gli appassionati di sport invernali nei mesi di pandemia, sia perché di fatto unico modo per sciare, sia in quanto disciplina che prevede maggiori solitudini e un rapporto con la montagna assai più diretto rispetto allo sci di discesa, pur richiedendo maggiore esperienza, prudenza e capacità atletiche.

Lo scialpinismo è di per se un’attività molto libera, senza biglietti da pagare e senza piste o tracciati prestabiliti. Non è facile quindi dare misure e quantità esatte per la sua crescita. Ma la sua rinnovata popolarità è confermata da diversi esperti, appassionati e addetti ai lavori, e lo si vede dai numeri di vendite e noleggi delle tante attrezzature necessarie per praticarlo. Perché se è vero che lo scialpinismo è per molti più intrigante e avventuroso di una più semplice ciaspolata, è altrettanto vero che richiede un certo grado di competenze e, soprattutto, una serie di importanti precauzioni e attenzioni. Dalla sua, però, ha qualità che sembrano incastrarsi bene con i tempi in cui viviamo, e non solo per la pandemia.

Scialpinismo for dummies
Lo scialpinismo è nato prima dello sci alpino, quello che prevede la sola discesa: esiste nelle sue prime forme dalla fine dell’Ottocento, tornò comodo durante la Prima guerra mondiale e si mostrò quale piacevole attività sportiva e ricreativa nei successivi decenni del Novecento. A rendere possibile la salita su neve con gli sci ai piedi sono una serie di materiali e attrezzature, a cominciare dalle indispensabili pelli. Che in origine erano pelli di foca (cosa che denuncia le origini non esattamente alpine dello scialpinismo) e che da ormai molto tempo sono in tessuto o polimeri plastici. Ma continuano a essere chiamate spesso pelli di foca.

Come spiega Davide Marta – editore della nota rivista di settore Skialper – lo scialpinismo moderno iniziò a crescere «tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila». Parte del suo successo è dovuta al fatto che «si è andato a inserire in un contesto di attenzione verso gli sport endurance» che uniscono la ricerca di benessere fisico a un crescente interesse verso l’ambiente, inteso sia come gusto per i paesaggi che come attenzione per i temi dell’ecologia.

Ma a renderlo più diffuso è stato anche un rinnovamento delle attrezzature. Marta spiega infatti che fino ai primi anni Novanta lo scialpinismo era, così come tanti altri sport endurance, «una nicchia di fanatici quasi religiosi». Un’attività a cui era difficile approcciarsi perché «l’attrezzatura tradizionale era pesante e spesso macchinosa». Negli anni Novanta è successo che la crescita dell’attività agonistica abbia innescato «una corsa al miglioramento e all’alleggerimento dei materiali» che ha portato a sua volta a una serie di innovazioni che hanno reso l’attrezzatura scialpinistica «pratica, veloce e performante». Innovazioni che hanno abbassato le barriere di ingresso alla pratica e il cui risultato è stato, secondo Marta, «semplificare il salire e rendere più piacevole lo scendere». Si è passati, per esempio, dai più complessi attacchi “a barra” ai più pratici “attacchini“.


Tuttavia, spiega sempre Marta, ancora oggi nello scialpinismo «esistono declinazioni tra loro parecchio differenti» ed è quasi come se ci fossero delle «tribù»: c’è chi dedica grande attenzione alla salita (in gergo vengono chiamate con affettuosa presa in giro le tutine, per l’abbigliamento tecnico) e chi invece la vede più che altro come un mezzo per un fine che è la discesa. Chi si sente più sportivo e lo fa con agonismo e chi guarda soprattutto al «piacere sciistico», o anche chi invece concepisce lo scialpinismo come una sorta di escursionismo invernale e su neve, con «lunghe gite guidate dal piacere di concatenare più vette» e quindi di pellare e ripellare, salire, scendere, salire ancora e poi scendere di nuovo.

Una scialpinista alle prese con una pelle (Philipp Guelland/Getty Images)

Si va per esempio da un “utilizzo light”, con sci la cui larghezza massima è di 88 millimetri e che sono pensati per una salita agevole e una «discesa conservativa, con velocità ridotta e curve strette» fino al cosiddetto “utilizzo tour”, con sci larghi fino a più di 10 centimetri e circa mezzo chilo più pesanti rispetto a quelli light, pensati per un approccio «più esplorativo e sciistico» (“a braghe molli”, secondo una definizione del Nuovo Polverelli Minore, un vocabolario di gergo scialpinismo).

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Sebbene sia ancora relativamente poco nota ai profani e per certi versi lontana da certe tendenze del mondo dello snowboard, esiste anche la declinazione snowboardistica dello scialpinismo, che prevede l’uso dello splitboard: attrezzi che quando si sale sono due sci e quando si scende diventano, unendoli, una tavola da snowboard.


Anche a livello competitivo lo scialpinismo è vario: ci sono per esempio gare “sprint” che privilegiano la salita rapida e guardano alla possibilità di diventare disciplina olimpica, come questa:


Ma anche gare di resistenza, come la famosa Pierra Menta, che quest’anno si svolge venerdì 12 marzo. In termini generali, a livello agonistico l’Italia va molto forte e tra i nomi da segnarsi ci sono quelli di Robert Antonioli, Michele Boscacci e Matteo Eydallin.


Alla fine di tutto e senza girarci intorno, Marta spiega che, nella sua essenza, lo «scialpinismo è libertà, partire per la montagna e andare».

Scialpinismo e pandemia
Benedetto Sironi – direttore editoriale di Sport Press, gruppo che tra le altre pubblica la rivista “trade” Outdoor Magazine – spiega che sia per l’Italia che per l’Europa è difficile avere numeri precisi, ma che di certo da ormai diversi mesi sono in crescita sia gli atleti che i normali praticanti di scialpinismo. «Negli ultimi dieci anni c’è stata una progressiva crescita nell’ordine del 5/10 per cento annuo, ma è negli ultimi mesi che, anche grazie alla chiusura degli impianti, c’è stato un vero boom».

«In questa ultima stagione il numero di scialpinisti sulle Alpi è quasi raddoppiato», dice Benedikt Böhm, general manager tedesco di Dynafit, un’importante azienda del settore, che già da qualche anno si era mossa per proporre soluzioni semplici come sci-attacchi-e-pelli subito pronti per l’uso e a prezzi abbastanza accessibili. Böhm – che ha partecipato a diverse gare, compresa la Pierra Menta, e che durante la settimana cerca sempre di «ritagliarsi il tempo per fare 5 o 10mila metri di dislivello» – dice di aver visto arrivare «una nuova generazione di scialpinisti»: se un tempo c’era soprattutto l’aspetto agonistico (era tutto un «race, race, race», dice), ora «le persone sono più rilassate e si iniziano a vedere anche le famiglie».

Nell’ultimo anno, per dirne una, Dynafit ha venduto più sci per bambini e ragazzi di quanti non ne avesse venduti complessivamente nei dieci anni precedenti.

Benedikt Böhm in uno di quei momenti di tempo che cerca di ritagliarsi dal lavoro

Va da sé che nella quasi totalità dei casi chi si avvicina allo scialpinismo ha già fatto qualche esperienza con degli sci ai piedi. Ma anche da questo punto di vista le cose stanno cambiando. Negli ultimi mesi, infatti, qualcuno ci si è avvicinato arrivando da una passione per l’escursionismo estivo (che nell’estate passata era a sua volta andato molto bene). Molti altri ci arrivano dallo sci alpino, ma senza essere per forza grandi sciatori, a volte soltanto di livello medio o anche medio-basso.

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A questo proposito, Marta parla di «un grosso aumento di neofiti» che imparano in fretta e si appassionano «come delle spugne» (diventando tra le altre cose lettori e lettrici di Skialper) e spiega anche che c’è un’evidente crescita per quanto riguarda le donne che praticano scialpinismo: «e come dicono gli esperti di marketing sportivo, quando cresce la componente femminile è sempre un segno di vivacità, perché vuol dire che a essere in crescita è l’intero settore».

Secondo una serie di dati citati da Alfredo Tradati – fondatore del sito OutdoorTest.it e coordinatore di una serie di iniziative per aziende legate allo scialpinismo – fino a qualche anno fa molti negozi sceglievano di non noleggiare attrezzature da scialpinismo, sostenendo che «non andavano fuori quasi mai». «Fino all’anno scorso» spiega Tradati «in media c’erano qualcosa come 16 paia di sci da scialpinismo nei negozi di noleggio sci» e «circa il 20 per cento dei noleggi italiani disponeva di una quantomeno decente offerta di scialpinismo, che comprendesse anche i kit di sicurezza». In base a un’indagine fatta un mese fa, invece, «circa il 70 per cento dei negozianti intervistati dichiarava di aver venduto tutto il materiale da scialpinismo che aveva» o quantomeno di avere rimanenze assai scarse.

Anche secondo i suoi dati, comunque, si può dire che circa il 50 per cento delle persone che in questi ultimi mesi sono entrate in un negozio per comprare o noleggiare attrezzature da scialpinismo «erano nuovi soggetti, non esperti di scialpinismo, e in certi casi con competenze sciistiche entry level».

La crescita del settore scialpinistico è dimostrata anche dal fatto che, un po’ come successo per le biciclette, molte aziende hanno finito i loro prodotti di scialpinismo. In certi casi sono aziende quasi unicamente dedicate allo scialpinismo; in altri sono, come spiega Sironi, «alcuni tra i più grandi e importanti marchi dello sci alpino [da discesa] che hanno inserito nella loro gamma prodotti da scialpinismo» e che hanno chiaramente spostato le loro attività di marketing proprio verso questa pratica. Il risultato, dice Sironi con una chiara sintesi, è che nella maggior parte dei casi i prodotti per lo scialpinismo sono stati «stravenduti».

Più in generale, le prove di una rilevante crescita dello scialpinismo sono molte: ne parlano i negozianti e lo dicono le guide alpine, parlando tra l’altro di una stagione che «senza il coronavirus sarebbe stata perfetta» e con riferimento a corsi che fino al 2019 avevano 20 iscritti e che quest’anno ne avevano 60. E meglio di tutti lo raccontano diverse testimonianze di addetti ai lavori raccolte da Outdoor Magazine, secondo cui «lo scialpinismo è senza dubbio la tendenza della stagione invernale 20/21».

E così vorresti fare lo scialpinista
Rispetto alla panificazione e ad altre attività più domestiche cresciute durante la pandemia, lo scialpinismo è senza dubbio più rischiosa, specie se praticato in determinati luoghi e condizioni. Il consiglio, ovviamente, è di avvicinarcisi con i giusti materiali – che nuovi costano come minimo diverse centinaia di euro – ma ancor di più con le necessarie competenze. L’appoggio, la consulenza e la pazienza di amici già esperti è sempre un’ottima cosa, ma meglio ancora è partecipare a corsi o comunque a gite organizzate da guide alpine oppure dal CAI, il Club Alpino Italiano.

È sempre buona cosa farlo in compagnia, lo scialpinismo, e oltre alle attrezzature e all’abbigliamento tecnico è necessario avere con sé una serie di strumenti che possono rivelarsi determinanti nel caso di valanghe. Le fonti migliori per iniziare a informarsi in questo senso sono siti e riviste di riferimento come Outdoor Magazine, OutdoorTest e Skialper, che ha pubblicato una guida gratuita «realizzata con la consulenza della Guida alpina Giuliano Bordoni» su pale, sonde, zaini airbag e ARTVA, l’apparecchio di ricerca dei travolti in valanga.

«Puoi essere multato se ti muovi su terreno innevato d’inverno e non hai l’ARTVA», spiega Filippo Ripamonti, che tra le altre cose fa (soprattutto faceva, prima della pandemia) la guida per viaggi scialpinistici, in Italia ma anche all’estero. Inoltre, aggiunge Ripamonti, è «assolutamente inutile avere tutto il necessario senza saperlo davvero usare», e nemmeno bisogna pensare che possa essere «la panacea per ogni rischio».

Marta – la cui casa editrice ha pubblicato il libro Valanghe, quello che devi sapere – spiega che, di base, bisogna evitare di «cercarsi grane» e ricorda che lo scialpinismo non è di per sé «una disciplina tecnicamente facile ed elementare nella sua esecuzione» e che per di più si svolge in un ambiente che a sua volta «non è facile». Perché «salire è faticoso» e anche scendendo si possono trovare condizioni complicate da gestire, per esempio «la neve crostosa o la neve rotta».

A proposito di neve, Ripamonti spiega che facendo scialpinismo «la neve fresca è quello in cui speri, ma non sempre quello che trovi» e che, per chi magari ha qualche esperienza di semplice discesa fuoripista, «c’è una grande differenza tra la neve fresca e la neve non battuta».

Un altro aspetto centrale è saper leggere e interpretare i bollettini meteo, per evitare di trovarsi in mezzo a una bufera, e soprattutto quelli – disponibili online sui siti regionali dell’Arpa – che segnalano il rischio valanghe, basandosi sulla quantità di neve caduta nei giorni precedenti e sulle temperature, da considerare insieme a una valutazione legata all’esposizione della zona in cui si vuole fare la gita. Cose che possono sembrare più complicate di quanto siano, ma per cui insomma serve un po’ di esperienza, in attesa della quale è bene farsi consigliare da qualche amico o conoscente fidato.

Lo scialpinismo dopo la pandemia
Il successo dello scialpinismo è una storia che si inserisce in una più ampia crisi di un settore che – come tanti altri – ha avuto grandi difficoltà nell’anno della pandemia. Da chi gestisce impianti, rifugi o anche solo tabaccherie in qualche località alpina fino a chi noleggia. Perché, come ricorda Tradati, «quando parliamo di scialpinismo stiamo parlando ancora di una nicchia, i cui numeri assoluti sono piccoli». Se gli affari vanno bene ad aziende primariamente scialpinistiche come Dynafit, così non si può dire per le grandi aziende per le quali «le vendite legate allo scialpinismo sono ancora quasi ininfluenti nel budget totale» e ce ne sono alcune le cui vendite, a impianti chiusi, sono calate «del 70, dell’80 e del 90 per cento». Finire le scorte di ciaspole o pelli da scialpinismo da vendere è una cosa, avere centinaia o migliaia di sci da discesa non noleggiati è un’altra. In termini assoluti, per il noleggio, «è stato un anno orribile».

Si può però guardare il successo dell’alpinismo, in crescita da anni e in impennata nell’ultimo anno, come a qualcosa che possa durare nel tempo e inserirsi in modo nuovo nel grande mondo delle attività invernali di montagna. «La nuova gente che è arrivata nello scialpinismo ha fatto investimenti medio alti» spiega Tradati, e anche Sironi è convinto che «ci sarà di sicuro un’onda lunga anche nelle prossime stagioni». Con possibili conseguenze positive in termini ambientali, visto l’impatto decisamente inferiore rispetto agli impianti di risalita.

Per quanto riguarda i luoghi da dedicare allo scialpinismo, di per sé – e con un adeguato livello di competenze e preparazione – sono tantissimi. E Marta spiega che lo scialpinismo – che all’estero chiamano alle volte sci «human powered», che non usa cioè impianti di risalita – possa diventare un tipo di attività che favorisca la«riqualificazione di località sciistiche in difficoltà».

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Molti esperti auspicano e prevedono poi che nei prossimi anni compariranno in sempre più località percorsi di scialpinismo su tracciati prestabiliti, che per certi versi possono ricordare i circuiti delle piste da fondo. Dei luoghi, che in parte già esistono, in cui sia cioè possibile permettere a chi lo voglia di provare lo scialpinismo in un contesto controllato e tranquillo. Per chi, come dice Marta, «vuole magari farsi solo i suoi 500 metri di dislivello e conquistarsi così la sua polenta». Oppure partire da quel tipo di scialpinismo «per poi evolvere verso altro».