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  • Sabato 27 febbraio 2021

Morto il Dalai Lama se ne farà un altro?

Quello attuale dice che potrebbe non avere un successore, ma i motivi sono più politici che religiosi, e c'entra la Cina

(Junko Kimura/Getty Images)
(Junko Kimura/Getty Images)

Da anni il Dalai Lama, la massima autorità religiosa e politica del buddismo tibetano, una delle molte correnti di buddismo al mondo, dice che quando compirà 90 anni deciderà cosa succederà dopo la sua morte. La successione dell’attuale Dalai Lama, il cui vero nome è Tenzin Gyatso e che attualmente ha 85 anni, è infatti una questione molto complicata che riguarda tanto la sfera religiosa quanto quella politica. Nella scelta sarà infatti determinante il ruolo della Cina, che governa il Tibet dal 1950 e che considera Tenzin Gyatso come un pericoloso secessionista.

Nel buddismo tibetano il Dalai Lama è considerato la reincarnazione del Avalokiteshvara dell’Infinita Compassione – un essere semi-divino – e contemporaneamente la massima autorità politica del popolo tibetano. Alla morte di ogni Dalai Lama (quello attuale è il quattordicesimo in sei secoli) un consiglio di importanti monaci si riunisce per trovarne il successore, considerato a sua volta una reincarnazione.

Secondo il buddismo tibetano, il successore del Dalai Lama può essere individuato in uno o più bambini in vari modi: in seguito a indicazioni lasciate dal predecessore prima di morire o attraverso riti che individuino segni della presenza di particolari doti spirituali, come la visita al lago Lhamo Latso, considerato sacro e dotato di poteri divinatori.

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Una volta individuato il prescelto, i monaci lo visitano e lo sottopongono a una serie di prove, tra cui il riconoscimento di alcuni oggetti personali appartenuti ai suoi predecessori. Così successe con Tenzin Gyatso, nato da una famiglia di agricoltori in un piccolo villaggio nel nord-est del Tibet, e scelto come Dalai Lama all’età di due anni. Tra i monaci a cui spetta il compito di riconoscere il nuovo Dalai Lama c’è il Panchen Lama, la seconda maggiore carica del buddismo tibetano, considerato la reincarnazione del Buddha Amitabha.

Il Panchen Lama è quindi una figura chiave nella scelta del prossimo Dalai Lama, ma qui entra la questione politica. L’attuale Dalai Lama, come tutti i membri del governo tibetano, è in esilio in India dal 1959, in seguito alla violenta repressione della rivolta di Lhasa da parte dell’esercito cinese, che aveva occupato il Tibet nel 1950: da allora il Tibet è diventato una regione autonoma della Cina a statuto speciale, i cui governatori sono scelti direttamente dal Partito Comunista cinese.

Tenzin Gyatso è da allora a capo del governo tibetano in esilio, nonostante nel 2011 abbia formalmente ceduto il comando a una carica chiamata Kalön Tripa, il cui nome l’anno successivo è stato cambiato in Sikyong. Sempre nel 2011, a proposito della sua successione, Tenzin Gyatso disse che il futuro della figura del Dalai Lama sarebbe stato deciso dal popolo tibetano, e specificò che «se io dovessi morire oggi, credo che i tibetani vorrebbero avere un altro Dalai Lama; in futuro, però, se la figura del Dalai Lama non sarà più utile o rilevante e la nostra condizione dovesse cambiare, allora il Dalai Lama cesserà di esistere».

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Disse inoltre che quando avrebbe compiuto 90 anni si sarebbe consultato «con gli altri Lama [“maestri”] del buddismo tibetano, con il popolo tibetano e con i fedeli del buddismo tibetano» per prendere una decisione. Affidò il compito di cercare il suo successore alla fondazione Gaden Phodrang, istituita in India per preservare i valori del buddismo tibetano. Quando Tenzin Gyatso morirà, i monaci addetti alla ricerca del successore dovrebbero recarsi in Tibet, cosa che però è al momento impossibile. I rapporti tra i membri del governo tibetano in esilio e la Cina sono nulli, e il governo cinese non riconosce la figura del Dalai Lama come capo politico del Tibet.

C’è poi la questione del Panchen Lama, che come si è detto ha un ruolo fondamentale nella scelta del nuovo Dalai Lama.

In seguito alla morte del decimo Panchen Lama, avvenuta nel 1989, il 14 maggio del 1995 il Dalai Lama nominò come successore un bambino tibetano di sei anni di nome Gedhun Choekyi Nyima, individuato dal Lama Chadrel Rinpoche. Tre giorni dopo le autorità cinesi in Tibet arrestarono sia Chadrel Rinpoche che il Panchen Lama, e al suo posto misero un oppositore del Dalai Lama con il compito di creare una commissione che individuasse un nuovo Panchen Lama. L’11 novembre dello stesso anno la commissione assegnò il titolo di Panchen Lama a un bambino di cinque anni di nome Gyaltsen Norbu, noto con il nome di Qoigyijabu.

Una manifestazione per chiedere la liberazione del Panchen Lama Gedhun Choekyi Nyima, a Nuova Delhi, India (AP Photo/Saurabh Das)

Quest’ultimo passò tutta l’infanzia in Cina e ancora oggi vive prevalentemente a Pechino e visita il Tibet solo in alcune occasioni. Di Gedhun Choekyi Nyima, il legittimo Panchen Lama, invece non ci sono mai più state notizie. Alcuni pensano sia stato ucciso, mentre le autorità cinesi ne hanno parlato in una sola occasione, nel 1996, rispondendo a un’inchiesta dell’ONU: in quell’occasione dissero che il bambino si trovava al sicuro in Cina, dove era stato portato per il rischio che venisse rapito dai “secessionisti tibetani”.

Nonostante le pressioni internazionali per liberare il legittimo Panchen Lama, il governo cinese ha ribadito che alla morte di Tenzin Gyatso sarà Qoigyijabu a scegliere il nuovo Dalai Lama, imponendo di fatto in Tibet un nuovo leader politico e spirituale filocinese. Esiste quindi la possibilità che alla morte dell’attuale Dalai Lama il buddismo tibetano si ritrovi con due nuovi Dalai Lama, uno scelto dal governo tibetano in esilio e uno dal governo cinese, a meno che tra cinque anni, al compimento dei 90 anni, Tenzin Gyatso non decida che non ci sarà nessun successore.

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