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  • Venerdì 12 febbraio 2021

In Iran i vaccini sono diventati una questione di politica internazionale

Il regime si è rifiutato di acquistare i vaccini sviluppati in Occidente e si è rivolto alla Russia, provocando ritardi nel piano vaccinale

Parsa Namaki, il figlio del ministro della Salute dell'Iran, prima persona a essere vaccinata nel paese (AP Photo/Vahid Salemi)
Parsa Namaki, il figlio del ministro della Salute dell'Iran, prima persona a essere vaccinata nel paese (AP Photo/Vahid Salemi)

Con più di un milione e mezzo di contagi ufficiali da coronavirus e quasi 60mila morti su 82 milioni di abitanti, in Iran la pandemia ha provocato una delle crisi sanitarie più serie del Medio Oriente. Nonostante la gravità della situazione, il governo ha ufficialmente autorizzato l’utilizzo di un vaccino, lo Sputnik V di produzione russa, soltanto la scorsa settimana. Attualmente sono arrivate nel paese 10mila dosi del vaccino, e altre 2 milioni dovrebbero arrivare nei prossimi due mesi.

Il fatto che l’Iran sia in ritardo sul suo piano vaccinale è dipeso in parte dalle difficili relazioni con i paesi occidentali, che hanno spinto il regime a non acquistare vaccini prodotti in Occidente: era stato lo stesso Ali Khamenei – Guida suprema dell’Iran, la carica politica e religiosa più importante del paese – a contestare l’affidabilità dei vaccini occidentali. Per questa ragione, il governo iraniano si è rivolto alla Russia, paese con cui ha buoni rapporti da decenni, e con cui ha collaborato anche militarmente durante la guerra in Siria a fianco del presidente siriano Bashar al Assad.

Lo scetticismo di Khamenei per i vaccini occidentali non è stato accolto bene dalla comunità scientifica iraniana, secondo cui la sicurezza sanitaria dei vaccini dovrebbe venire prima di questioni politiche legate ad alleanze e inimicizie internazionali. La scorsa settimana circa 100 membri del Consiglio di Medicina dell’Iran (IRIMC), l’organo che sovrintende tutte le professioni mediche del paese, avevano definito «ingiustificabile e rischiosa» la scelta del vaccino russo da parte del governo, e l’avevano invitato ad acquistare «i migliori vaccini» al mondo.

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Le critiche dei medici iraniani sono arrivate benché a inizio febbraio la rivista scientifica Lancet avesse pubblicato i risultati preliminari della sperimentazione sul vaccino Sputnik V, che era risultato efficace al 91,6 per cento. Dalla sperimentazione, inoltre, non erano stati riscontrati effetti avversi gravi in chi aveva ricevuto il vaccino, che aveva mostrato un’efficacia del 91,8 per cento anche tra gli individui con più di 60 anni.

La prima dose del vaccino russo è stata somministrata in diretta televisiva, per incentivare le persone a vaccinarsi ed eliminare i dubbi sull’efficacia dello Sputnik V. Il primo a vaccinarsi è stato Parsa Namaki, figlio del ministro della Salute Saeed Namaki.

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«Daremo i vaccini alle nostre famiglie in modo che tutti sappiano che consideriamo la salute delle persone al di sopra della nostra», ha detto il ministro della Salute durante la diretta televisiva. Il figlio ha invece commentato la sua vaccinazione dicendo che il padre avrebbe voluto essere il primo a vaccinarsi, ma di aver insistito per farlo prima lui. Il presidente iraniano Hassan Rouhani – che a differenza della Guida suprema è leggermente meno ostile verso l’Occidente – ha detto che lui stesso presto si vaccinerà, per dimostrare che qualsiasi vaccino approvato dal governo è sicuro.

Nonostante lo scetticismo dell’ayatollah Khamenei, infatti, l’Iran si è assicurato anche dosi di altri vaccini oltre quello russo, compresi quelli occidentali, che arriveranno tramite COVAX, il meccanismo che coinvolge l’Organizzazione mondiale della sanità e diverse associazioni e fondazioni, studiato per garantire che i vaccini arrivino anche ai paesi più poveri. All’Iran spetteranno circa 4,2 milioni di dosi del vaccino prodotto da AstraZeneca, che dovrebbero arrivare entro la fine di febbraio.

Nel frattempo il governo iraniano sta trattando l’acquisto di vaccini dall’India e dalla Cina, ma vuole anche accelerare la produzione dei propri laboratori. Come spiega il Financial Times, l’industria farmaceutica iraniana ha una lunga storia nella produzione di vaccini anche se alcuni, come quello per il papilloma virus, per l’influenza, per la meningite e per la febbre gialla, vengono importati.

L’Istituto Pasteur iraniano, uno dei più antichi centri di ricerca sulle questioni sanitarie, nato nel 1920 da un accordo con l’omonimo centro di ricerca di Parigi, ha fatto sapere che sta lavorando in collaborazione con Cuba allo sviluppo del Soberana 2, uno dei due vaccini che i cubani stanno realizzando, e che dovrebbe essere approvato per maggio: nelle prossime settimane saranno effettuati test clinici su 150mila cubani e su più di 40mila iraniani.

«Il COVID-19 – ha detto al Financial Times Alireza Biglari, direttore dell’Istituto Pasteur – ci ha ulteriormente fatto capire che il nostro paese dovrebbe essere in grado di soddisfare le proprie esigenze mediche in patria il più possibile. La crisi dei vaccini in Europa ci dimostra che avevamo ragione a pensare che non potevamo contare su altri paesi. Anche tra paesi vicini non esiste solidarietà reciproca in queste circostanze».

La Barakat Foundation, una fondazione legata direttamente a Khamenei, sta invece lavorando a un vaccino tutto iraniano, il COVIran, che al momento ha appena concluso la prima fase di sperimentazione, mentre un altro istituto di ricerca, il Razi Vaccine and Serum Research Institute, ha iniziato la sperimentazione di un proprio vaccino, il Razi Cov Pars.

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