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  • Lunedì 1 febbraio 2021

Gli effetti di Brexit, un mese dopo

Sono piuttosto pesanti per varie categorie, tra cui agricoltori, grossisti e cantanti: e difficilmente verranno risolti a breve

Le lunghe file di camion al porto di Dover, in Inghilterra, il 22 gennaio 2021 (Dan Kitwood/Getty Images)
Le lunghe file di camion al porto di Dover, in Inghilterra, il 22 gennaio 2021 (Dan Kitwood/Getty Images)

Il Regno Unito ha completato l’uscita dall’Unione Europea il primo gennaio del 2021, dopo un periodo di transizione durato quasi un anno e una lunga fase di negoziati cominciata a metà del 2017 e conclusa definitivamente solo alla fine del 2020. Durante il periodo di transizione, il Regno Unito era formalmente rimasto dentro l’Unione Europea – quindi dentro al mercato unico e all’unione doganale – ma senza più rappresentanti nelle istituzioni. Da un mese a questa parte anche i legami previsti dal periodo di transizione sono stati rimossi, e diverse cose sono già cambiate.

Alcune sono piccole e dalle conseguenze contenute, come la confisca dei generi alimentari a chi arriva nei Paesi Bassi dal Regno Unito; altre stanno creando scompensi e problemi ad aziende e professionisti in vari settori. Il Financial Times ne ha individuati cinque in cui le conseguenze di Brexit sono più evidenti.

Agricoltura e pesca
I grossisti abituati a vendere alimenti di origine animale e vegetale ad altri paesi europei si sono trovati improvvisamente davanti a una serie di ostacoli burocratici, moduli e permessi che prima del primo gennaio non erano mai stati necessari. Prima le società di logistica che si occupavano del trasporto del pesce dal Regno Unito impiegavano un giorno lavorativo per portare le merci ai clienti europei: ora ce ne mettono due o tre.

Nonostante l’accordo di Brexit non preveda l’imposizione di dazi o limiti nelle quantità di pesce e carne trasportate, sono comunque previsti controlli di sicurezza e ispezioni dei veterinari, come del resto per ogni paese che intende commerciare con l’Unione Europea, cosa che sta causando grossi ritardi. A volte accade che la merce venga respinta perché alcuni documenti sono stati completati in maniera sbagliata o mancano del tutto.

I pescatori dei porti britannici più attivi, come quelli di Scozia e Cornovaglia (la contea che si trova nella punta a sud-ovest dell’Inghilterra), sono quelli più in difficoltà e dicono di sentirsi traditi dall’accordo stipulato dal primo ministro britannico Boris Johnson. Il governo ha annunciato che stanzierà 23 milioni di sterline (circa 26 milioni di euro) per aiutare i pescatori in questa fase.

– Leggi anche: Brexit sta mettendo in crisi i pescatori scozzesi

Le perdite però non riguardano solo i soldi derivanti dalla vendita, ma la merce stessa, considerando che si tratta di prodotti freschi che non possono essere conservati per troppo tempo. Lo stesso vale per gli allevatori, che si sono lamentati del deterioramento della carne, bloccata in molti casi dai funzionari di frontiera per certificati sanitari non più allineati con quelli dell’Unione.

La beffa, se vogliamo, è che queste categorie faticano anche a vendere all’interno del Regno Unito, sempre per colpa di Brexit: il governo britannico ha deciso di non imporre controlli di frontiera approfonditi alle merci che arrivano dall’Unione Europea, almeno fino a luglio, in modo da non lasciare sguarniti i supermercati; in questo modo però vengono importate merci a basso costo che possono essere vendute a prezzi piuttosto concorrenziali.

L’acquisto di beni dall’Unione Europea
Dopo un primo momento in cui le società di logistica si erano fermate anche in altri settori, la possibilità per i britannici di acquistare prodotti dall’Unione Europea è tornata regolare, ma con costi aggiuntivi inaspettati: per esempio sugli acquisti con le carte di credito, che prevederanno commissioni più alte. Questa è una di quelle conseguenze della Brexit per cui è difficile immaginare una soluzione.

L’Irlanda del Nord
Nonostante faccia parte del Regno Unito, l’Irlanda del Nord è un caso a parte. Per evitare nuove tensioni che sarebbero sorte con una barriera fisica con l’Irlanda, che invece fa parte dell’Unione Europea, si è preferito lasciare l’Irlanda del Nord in una condizione ibrida, per certi versi simile a quella di tutti gli altri stati dell’Unione, lasciandola dentro l’unione doganale e il mercato unico europeo.

Questa decisione comporta però che i prodotti che arrivano in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna debbano subire gli stessi controlli che subirebbero se arrivassero in un paese dell’Unione Europea. I ritardi dovuti alla burocrazia che esiste adesso tra Regno Unito e chi fa parte del mercato unico hanno quindi cominciato a causare una mancanza di prodotti nei supermercati nordirlandesi e in queste prime settimane del 2021 sono circolate parecchio le foto dei loro scaffali vuoti.

– Leggi anche: In Irlanda del Nord scarseggiano i prodotti alimentari

Negli ultimi giorni questo problema avrebbe potuto estendersi anche ai vaccini. Venerdì la Commissione Europea aveva deciso di limitare le esportazioni delle dosi prodotte negli stati dell’Unione per il sospetto che la società di biofarmaceutica AstraZeneca avesse privilegiato il Regno Unito nella distribuzione dei vaccini. Poche ore dopo però la Commissione è tornata sui propri passi decidendo di escludere da questa misura l’Irlanda del Nord, alla quale non serviranno autorizzazioni speciali per ricevere i vaccini provenienti dai paesi dell’Unione Europea.

Piccole e medie imprese
Il Regno Unito è diventato anche un paese poco attraente per le aziende straniere che vogliono commerciare in Europa, a causa dell’aumento dei costi di trasporto e dei nuovi protocolli da seguire. Molte hanno quindi deciso di spostare i loro depositi direttamente nei paesi dell’Unione Europea, facendo perdere molti posti di lavoro ai britannici che ci lavoravano. Tra chi invece non si è potuto permettere di trasferire i propri siti di distribuzione, diversi hanno annunciato di aver sospeso le vendite verso l’Unione Europea.

Secondo il Times, inoltre, 6 aziende manifatturiere su 10 dicono di aver subito interruzioni alla frontiera, o di aver sostenuto costi aggiuntivi per risolvere i propri problemi burocratici, e chiedono al governo di semplificare le procedure doganali, per esempio permettendo che vengano completate prima della partenza. In questo modo si eviterebbero anche le lunghe code di camion che si sono viste al porto di Dover, che si affaccia a sud dell’Inghilterra sul canale della Manica e all’Eurotunnel, cioè i due snodi principali per attraversare la Manica e arrivare in Europa.

Cantanti e altri professionisti
Anche i professionisti che sono abituati a spostarsi molto per lavoro ora dovranno ottenere visti e permessi lavorativi, se vogliono continuare a operare nel territorio dell’Unione Europea. Si è parlato molto dei cantanti, che in un tour di concerti possono spostarsi anche in decine di città: oltre 100 di loro, guidati da artisti più in vista come Elton John e Ed Sheeran, hanno pubblicato sul Times del 20 gennaio una lettera in cui scrivono che l’accordo pattuito dal governo britannico con l’Unione Europea sta minacciando il futuro degli scambi culturali con il resto del continente.

– Leggi anche: Per i musicisti britannici sarà complicato fare i tour europei

Un problema che va oltre visti e permessi di lavoro riguarda infine il riconoscimento nei paesi dell’Unione Europea dei titoli professionali di un cittadino proveniente da un “paese terzo”, com’è adesso il Regno Unito, a prescindere da dove il titolo sia stato conseguito. La legislazione europea prevede in questi casi che ci si regoli sulla legislazione dello stato membro in cui un professionista del Regno Unito decida di voler lavorare, stabilmente o occasionalmente. Ai cittadini europei invece vengono generalmente riconosciuti anche i titoli eventualmente ottenuti in un paese terzo.