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  • Giovedì 14 gennaio 2021

Brexit sta mettendo in crisi i pescatori scozzesi

I ritardi dovuti alla nuova trafila burocratica e ai controlli previsti sulle esportazioni stanno comportando disagi e grosse perdite

Barche da pesca a Tarbert, nella Scozia occidentale. 13 gennaio 2021. (Jeff J Mitchell/ Getty Images)
Barche da pesca a Tarbert, nella Scozia occidentale. 13 gennaio 2021. (Jeff J Mitchell/ Getty Images)

Una delle principali conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sono i notevoli disagi dovuti ai nuovi ostacoli burocratici per le esportazioni verso l’Europa e gli altri paesi: moduli, permessi, trafile che prima non erano necessarie, visto che il Regno Unito si trovava all’interno del mercato comune europeo.

Da quando l’accordo di Brexit è entrato in vigore, il primo gennaio, uno dei settori che stanno avendo più problemi è quello della pesca, in particolare in Scozia: nelle ultime settimane le esportazioni di pesce e crostacei hanno subito grossi ritardi, dovuti non soltanto ai nuovi documenti doganali richiesti, ma anche ai controlli di sicurezza sulla merce trasportata e ai sistemi informatici introdotti di recente. Alcune società di logistica hanno sospeso le esportazioni di pesce dal Regno Unito all’Europa e questi disagi hanno già provocato perdite cospicue al settore.

Oltre al più noto salmone, lungo le coste della Scozia si pescano abbondanti quantità di scampi, capesante, ostriche, aragoste e cozze con le quali vengono riforniti anche i mercati europei. Sebbene l’accordo di Brexit permetta a Regno Unito e Unione Europea di continuare a scambiare merci senza l’imposizione di dazi né di limiti sulle quantità di beni commerciati, il nuovo iter burocratico necessita comunque di un periodo di tempo per entrare a regime. Ma le difficoltà potrebbero continuare anche nel breve-medio termine.

Le nuove regole stabiliscono infatti che prima di lasciare la Scozia ciascun contenitore di pesce o crostacei debba essere scaricato dal camion che lo trasporta e ispezionato da medici veterinari, che devono rilasciare un certificato sanitario. Per ottenere questo certificato, che è necessario per fare richiesta dei documenti doganali, ci vogliono fino a cinque ore per camion: una cosa che rallenta notevolmente il trasporto e che di conseguenza provoca grandi ritardi nella consegna delle merci.

Di norma prima della Brexit le consegne di pesce in varie zone dell’Europa richiedevano un giorno lavorativo, mentre adesso ce ne vogliono 1 o 2 in più, senza contare che in molti casi le pratiche vengono respinte alle dogane perché i nuovi documenti non sono stati compilati correttamente.

Secondo un sindacato di pescatori francese sentito da Reuters la scorsa settimana numerosi camion che trasportavano pesce e prodotti ittici erano rimasti fermi a Boulogne-sur-Mer – vicino a Calais, sullo stretto della Manica – diverse ore e in certi casi anche una giornata intera, in attesa che si sbrigasse la necessaria trafila burocratica alla dogana. Mentre ai clienti europei è stato chiesto di aspettare qualche giorno prima di inoltrare nuovi ordini, alcune società di logistica che si occupano del trasporto di merci nel settore ittico hanno deciso di sospendere le esportazioni fino a che i problemi non saranno stati risolti.

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Una di queste società, la più grande, è la danese DFDS. Secondo quanto ha fatto sapere DFDS, i disagi sono stati causati dai ritardi accumulati per via del nuovo iter burocratico, ma anche dal nuovo sistema informatico che serve per gestire la documentazione. Come ha spiegato Jimmy Buchan, responsabile della Scottish Seafood Association, questo sistema «non è collaudato né sperimentato» anche perché è stato adottato a partire dallo scorso 28 dicembre, quando molti operatori che si occupano dei controlli alle dogane erano a casa per le festività natalizie.

Per via di questi problemi, lo scorso venerdì DFDS ha sospeso fino a lunedì 18 gennaio il cosiddetto “groupage export service”, ovvero un servizio che consente a più esportatori di raggruppare la merce in un’unica consegna. La società ha spiegato che in questo periodo di tempo cercherà di risolvere i problemi informatici dell’interfaccia che consente alle società di logistica di scambiare i dati con le autorità locali e provvederà a formare più personale per gestire meglio la documentazione doganale.

A ogni modo, l’associazione di settore Seafood Scotland ha denunciato che «l’impatto finanziario per le società ittiche scozzesi è stato totalmente devastante» e che il settore potrebbe collassare.

David Noble, titolare di un’azienda scozzese che compra pesce e lo esporta in Europa, ha detto che il nuovo iter burocratico gli costa dalle 500 alle 600 sterline al giorno (circa 560-675 euro) e che per questo sta perdendo una grossa parte dei profitti. Diverse altre persone che lavorano nel settore hanno raccontato al New York Times che per via di questa situazione stanno perdendo decine e persino centinaia di migliaia di sterline di incassi. Se si considera anche che in diversi paesi i ristoranti sono chiusi per via della pandemia da coronavirus oppure stanno cancellando gli ordini per via dei ritardi nelle consegne, poi, il rischio è quello di dover chiudere del tutto la propria attività.

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La prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon, ha definito la situazione dei pescatori scozzesi una «catastrofe» e ha chiesto che le aziende del settore vengano compensate dal governo del Regno Unito per i disagi che stanno causando le regole dell’accordo di Brexit. Il danno che sta subendo il settore ittico scozzese è inoltre uno degli esempi che Sturgeon sta utilizzando per rafforzare l’idea che la Scozia debba ottenere l’indipendenza dal Regno Unito: sia la Scozia sia l’Irlanda del Nord, un altro paese che sta avendo diversi problemi con le esportazioni, avevano peraltro votato a larga maggioranza per rimanere nell’Unione Europea al referendum del 2016 su Brexit.

Tra le altre cose, i rallentamenti nel trasporto delle merci tra Regno Unito e Unione Europea dovuti alla complessità della burocrazia hanno portato anche altre grosse compagnie logistiche, come DB Schenker e DPD, a sospendere momentaneamente i collegamenti tra Inghilterra e vari paesi europei.

Sebbene secondo le autorità a poco a poco l’emergenza dovrebbe rientrare, un documento inviato dal ministero dell’Agricoltura inglese ai rappresentanti dei vari settori industriali lo scorso martedì avvisava che il rischio di ulteriori disagi sarebbe rimasto alto.

Una delle «misure di emergenza» presentate in questo documento per risolvere almeno in parte la situazione prevede di rendere più agevole il ritorno dei camion per il trasporto degli alimenti che dopo aver consegnato la merce viaggiano dal Regno Unito ai paesi dell’Unione vuoti: secondo quanto stabilito dal documento, questi camion potrebbero essere riempiti con rifornimenti alimentari e, potenzialmente, saltare le code alle dogane. Secondo il Financial Times, infatti, nel Regno Unito sta crescendo la preoccupazione che il rallentamento e le interruzioni dei collegamenti con l’Europa possano portare alla carenza di approvvigionamento di merci nei supermercati.