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  • Giovedì 28 gennaio 2021

Il problema tra AstraZeneca e Unione Europea resta

In una nuova riunione l'azienda e la Commissione si sono impegnate a collaborare, ma il taglio alle forniture del vaccino contro il coronavirus sembra inevitabile

(Ian Forsyth/Getty Images)
(Ian Forsyth/Getty Images)

La Commissione Europea e l’azienda farmaceutica britannico-svedese AstraZeneca continuano ad avere pareri divergenti sull’annunciato taglio alle forniture del vaccino contro il coronavirus, ma dopo una riunione organizzata ieri sera a Bruxelles hanno confermato di voler collaborare per trovare una soluzione. La riduzione delle forniture sembra però inevitabile e la Commissione al momento non sembra avere molti margini per ottenere qualcosa in più da AstraZeneca.

Lo scontro tra le istituzioni europee e l’azienda prosegue ormai da venerdì scorso, quando AstraZeneca aveva annunciato alcuni ritardi nei propri siti produttivi nei Paesi Bassi e nel Belgio, che avrebbero comportato una marcata riduzione delle consegne del vaccino nel primo trimestre di quest’anno. L’entità precisa del taglio non è nota, ma secondo fonti interne alla Commissione potrebbe essere tra il 60 e il 75 per cento, sui circa 80 milioni di dosi che AstraZeneca si era impegnata a distribuire tra gli stati membri entro la fine di marzo.

I tagli erano stati duramente contestati dalla Commissione Europea, che aveva chiesto ad AstraZeneca di fornire maggiori dettagli sulle cause dei ritardi e in generale sulla produzione e distribuzione dei vaccini. Il sospetto era che l’azienda stesse privilegiando le consegne in alcuni paesi, come il Regno Unito, senza mantenere gli impegni assunti con la Commissione per le forniture nell’Unione Europea.

Il Regno Unito ha autorizzato da tempo il vaccino AstraZeneca, mentre nell’Unione l’autorizzazione dovrebbe avvenire entro la fine di questa settimana. Come con gli altri produttori con cui aveva stretto accordi l’anno scorso, la Commissione aveva comunque richiesto ad AstraZeneca di anticipare la produzione del vaccino, in modo da averne scorte da impiegare subito dopo la concessione dell’autorizzazione.

L’azienda non ha però prodotto le dosi richieste e secondo la Commissione sarebbe venuta meno ai propri impegni contrattuali. In un’intervista molto discussa, ieri il CEO di AstraZeneca Pascal Soriot aveva sostenuto di non avere obblighi specifici sul numero delle dosi da consegnare, perché il contratto (che non è pubblico) indica che la sua azienda debba limitarsi a “fare del suo meglio” per produrre le dosi, ma senza vincoli.

Questa circostanza era stata smentita giovedì pomeriggio dalla Commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, in una conferenza stampa piuttosto tesa organizzata a Bruxelles. Kyriakides aveva definito inaccettabile il comportamento dell’azienda, ricordando che il contratto firmato la scorsa estate conteneva precisi riferimenti alla produzione anticipata delle dosi: «Abbiamo firmato proprio per assicurarci che l’azienda si dotasse della capacità produttiva necessaria per fare i vaccini per tempo, in modo che un certo numero di dosi potesse essere distribuito il giorno stesso dell’autorizzazione».

Nell’intervista, Soriot aveva inoltre sostenuto che la filiera produttiva del vaccino nel Regno Unito fosse completamente separata da quella nell’Unione Europea in ritardo, e che non si sarebbero quindi potute impiegare le dosi prodotte negli stabilimenti britannici per compensare i ritardi degli impianti nell’Unione. Aveva inoltre spiegato che il Regno Unito aveva stretto un accordo con l’azienda diversi mesi in anticipo rispetto alla Commissione, e che quindi aveva la precedenza. Non aveva invece specificato se fossero state effettuate consegne dagli stabilimenti nell’Unione verso il Regno Unito.

Kyriakides aveva criticato le dichiarazioni di Soriot dicendo di respingere «la logica del chi prima arriva meglio alloggia»: «Può funzionare quando si è in fila dal macellaio di quartiere, ma non nei contratti». I toni erano rimasti piuttosto tesi anche in seguito alla scelta di AstraZeneca di non partecipare a una nuova riunione con rappresentanti della Commissione, con un successivo ripensamento e la conferma della partecipazione.

La riunione, che si è poi tenuta nel tardo pomeriggio di mercoledì, non ha portato a grandi sviluppi. Kyriakides l’ha definita “costruttiva”, ma ha ribadito che gli obblighi contrattuali devono essere rispettati per quanto riguarda la distribuzione dei vaccini. La Commissaria ha poi espresso il proprio rammarico per la mancanza di chiarezza sulle consegne da parte di AstraZeneca.

Se come sembra le cose non cambieranno nei prossimi giorni, l’Unione Europea dovrà confrontarsi con un’ulteriore scarsità di vaccini, dopo i tagli annunciati da Pfizer-BioNTech e il basso numero di dosi che potrà ricevere da Moderna. La Commissione aveva scommesso pesantemente sul vaccino di AstraZeneca, più economico e pratico da gestire, per la campagna vaccinale negli stati membri, e le minori consegne implicheranno inevitabilmente un ritardo nell’avvio delle vaccinazioni di massa.

A causa della forte domanda e della necessità di alcuni lavori di potenziamento nel proprio sito produttivo in Belgio, Prizer-BioNTech non è stata in grado di fornire i 12,5 milioni di dosi di vaccino che aveva promesso alla fine dello scorso anno all’Unione Europea per la sua primissima fase di vaccinazioni. Le consegne dei suoi vaccini proseguono a rilento, con diversi stati membri – compresa l’Italia – che hanno dovuto sospendere le nuove vaccinazioni, proseguendo solamente con la somministrazione della seconda dose per chi ne aveva già ricevuta una.

Il contratto firmato ad agosto con AstraZeneca prevede la consegna di 300 milioni di dosi, più un’opzione per altri 100 milioni di dosi. L’accordo contiene diverse clausole di riservatezza e non è quindi pubblico, anche se nelle ultime ore è stata sollevata la possibilità di renderne pubblici i contenuti da alcune fonti della Commissione, evidentemente per mostrare quelle che le autorità europee ritengono siano mancanze da parte di AstraZeneca. Rivelare il contratto potrebbe però essere controproducente per le capacità di contrattazione della Commissione con altri produttori.