Se ho avuto la COVID-19 serve vaccinarmi?

Se lo stanno chiedendo in molti: la risposta in breve è sì, ma in molti casi con minore urgenza

(Vincenzo Livieri/ZUMA Wire)
(Vincenzo Livieri/ZUMA Wire)

Con l’arrivo dei primi vaccini contro il coronavirus in Italia, molte persone risultate positive al virus si stanno chiedendo se possano sottoporsi o meno alla vaccinazione come gli altri. Il tema è ancora discusso tra i ricercatori, ma sta prevalendo un approccio precauzionale con il consiglio di vaccinarsi ugualmente, seppure con minore urgenza rispetto a chi non è mai entrato in contatto con il coronavirus.

Ripasso veloce
In linea generale, un vaccino serve a sviluppare una risposta immunitaria contro un particolare virus o batterio (patogeno), in modo che l’organismo impari a riconoscerlo e a contrastarlo nel caso di successive infezioni. Un processo simile avviene nel caso in cui si contragga un patogeno e si guarisca, ma il vaccino lo fa avvenire senza ammalarsi e correre i rischi dovuti alla malattia.

I vaccini contro il coronavirus finora autorizzati nell’Unione Europea, quello di Pfizer-BioNTech e quello di Moderna, ottengono questo risultato con sistemi simili. Sono basati sull’RNA messaggero, la molecola che si occupa di codificare e portare le istruzioni per produrre le proteine. Impiegano forme sintetiche di mRNA – realizzate in laboratorio – che contengono le istruzioni per produrre alcune proteine specifiche del coronavirus. In questo modo il sistema immunitario impara a riconoscerle e a contrastarle, ma senza i rischi che si correrebbero nel caso di un’infezione con il coronavirus vero e proprio. Le conoscenze acquisite nel contrastare queste proteine possono poi essere impiegate dal sistema immunitario per contrastare un’eventuale infezione vera e propria.

Immunità
A oggi non sappiamo per quanto tempo il sistema immunitario conservi l’informazione su ciò che ha imparato grazie al vaccino: non si sa quindi quanto duri l’immunità indotta dalla vaccinazione. Questi vaccini sono del resto in circolazione nella comunità da poche settimane, anche se in precedenza erano stati sottoposti a test clinici su decine di migliaia di persone durati svariati mesi. Ne sapremo di più nel corso dell’anno, in compenso sappiamo che sono efficaci nel proteggere contro i sintomi gravi della COVID-19.

In generale, quando guariamo da alcune malattie virali, come il morbillo o la parotite (gli “orecchioni”), sviluppiamo un’immunità di lungo periodo che dura per tutta la vita e che ci protegge da successive infezioni. Lo stesso risultato può essere ottenuto con le vaccinazioni, senza correre il rischio di ammalarsi e di avere complicazioni (il morbillo ha un’alta letalità tra i bambini). Ci sono però alcune malattie virali, come l’influenza, verso le quali fatichiamo a produrre una risposta immunitaria che si mantenga nel lungo periodo. Ciò dipende sia da come siamo fatti, sia dai virus influenzali che tendono a variare nel corso del tempo. In casi come questi, vaccinarsi aiuta il sistema immunitario ad affrontare meglio eventuali nuovi contatti con particolari varianti, riducendo il rischio di ammalarsi.

Al momento non ci sono evidenze scientifiche sul fatto che ci siano varianti del coronavirus tali da richiedere una vaccinazione per chi ha già subìto un’infezione, come avviene con l’influenza. Il problema è che non sappiamo per quanto tempo duri l’immunità acquisita e quindi quanto duri la protezione per gli individui che sono già entrati in contatto con il coronavirus. Non è nemmeno completamente chiaro se ci siano differenze significative tra chi sia risultato positivo, rimanendo asintomatico, e chi abbia invece poi sviluppato la COVID-19, la malattia vera e propria.

Se la protezione per i guariti dovesse durare solo alcuni mesi, allora la vaccinazione sarebbe ancora più utile per indurre il sistema immunitario a mantenere le difese contro il coronavirus. Gli studi sull’immunità sono ancora in corso, ma ci sono alcuni elementi che inducono a pensare che quella acquisita tramite un’infezione dovuta all’attuale coronavirus non duri molto a lungo. Per questo motivo, diverse istituzioni sanitarie consigliano di vaccinarsi anche a chi ha già avuto un’infezione da coronavirus.

Cosa dicono le istituzioni
In Italia la vaccinazione contro il coronavirus è su base volontaria in ogni caso, ma l’Agenzia Italiana del Farmaco consiglia a chi è stato positivo di vaccinarsi ugualmente, anche se con minore urgenza rispetto agli altri:

La vaccinazione non contrasta con una precedente infezione da COVID-19, anzi potenzia la sua memoria immunitaria, per cui non è utile alcun test prima della vaccinazione. Tuttavia, coloro che hanno avuto una diagnosi di positività a COVID-19 non necessitano di una vaccinazione nella prima fase della campagna vaccinale, mentre potrebbe essere considerata quando si otterranno dati sulla durata della protezione immunitaria. Comunque non è necessario sottoporsi a test diagnostici per Covid-19 prima di accedere alla vaccinazione.

Le domande e risposte del ministero della Salute offrono una risposta più sintetica, ma in linea con le indicazioni AIFA:

Sì, chi ha avuto il COVID-19 può essere vaccinato.

Diverse altre autorità sanitarie concordano su questo approccio, e non solo perché potrebbe effettivamente migliorare la protezione immunitaria negli individui, ma anche per motivi pratici. In un’ampia parte della popolazione, il coronavirus non causa sintomi o ne causa di molto lievi, al punto da non accorgersi di averlo contratto. Ci sono quindi milioni di persone che hanno subìto inconsapevolmente l’infezione e che probabilmente hanno sviluppato alcune difese immunitarie contro il coronavirus.

Vietare o sconsigliare la vaccinazione a chi ha già avuto il virus sarebbe quindi molto difficile, considerato che molti si presenteranno per ricevere il vaccino senza sapere se siano stati o meno contagiati in passato. Prima di sottoporsi alla vaccinazione non è del resto previsto un test sierologico per rilevare un eventuale contagio avvenuto in precedenza. È un approccio che viene seguito anche con i vaccini che utilizziamo da tempo. Per esempio, spesso se non si è certi di avere avuto il morbillo da bambini viene consigliato di procedere direttamente con il vaccino, invece di accertare l’eventuale presenza di anticorpi tramite un esame del sangue: è più pratico, diretto ed economico.

Chi sa di avere avuto il coronavirus in tempi recenti potrebbe comunque decidere di rinviare di qualche mese la vaccinazione, avendo acquisito per un po’ un’immunità naturale, riducendo il carico di lavoro per i centri di somministrazione dei vaccini e facilitando le vaccinazioni per chi è più esposto. Questa scelta potrebbe rivelarsi utile all’avvio delle campagne vaccinali di massa, considerato che ci sono centinaia di migliaia di individui con un’infezione recente da coronavirus potenzialmente meno a rischio degli altri.