Perché le vaccinazioni vanno a rilento

In molte regioni la campagna vaccinale è partita piano per diverse ragioni: operatori sanitari in ferie, difficoltà nel trovare le siringhe giuste, problemi organizzativi

(Max Cavallari/Getty Images)
(Max Cavallari/Getty Images)

Dallo scorso 27 dicembre in Italia è iniziata la somministrazione del vaccino contro il coronavirus al personale sanitario e agli ospiti delle case di cura. Dopo la primissima distribuzione di 9.750 dosi, una quantità definita “simbolica”, il 30 dicembre Pfizer ha consegnato la prima partita da 469.950 dosi prevista per l’Italia dal contratto firmato con l’Unione Europea. Da quel giorno le regioni, che in Italia gestiscono la sanità, hanno avuto a disposizione una quantità di vaccini sufficiente a iniziare la campagna vaccinale negli ospedali e nelle case di cura per proteggere le persone più a rischio contagio.

L’arrivo del vaccino era molto atteso in Italia e nel resto del mondo, perché al momento è considerato il modo più efficace per fermare la pandemia da coronavirus: da mesi era noto che le autorità sanitarie si sarebbero espresse sulla sua autorizzazione alla fine del 2020, e che quindi fosse necessario farsi trovare pronti. Va da sé che più velocemente viene condotta la campagna vaccinale e più rallenterà la diffusione del virus, salvando molte vite e permettendo all’economia di risollevarsi. Avere a disposizione un vaccino in tempi così rapidi non era scontato: nel corso degli ultimi mesi sono stati eseguiti molti test e controlli per garantire la sicurezza, e i dati raccolti sono stati valutati da tutte le autorità che si occupano di sicurezza dei farmaci. Alcune regioni hanno cominciato subito a utilizzare le dosi consegnate da Pfizer, altre hanno aspettato qualche giorno, altre ancora inizieranno la campagna vaccinale tra oggi e il 7 gennaio.

In Italia la prima fase della campagna vaccinale è la più semplice, perché coinvolge soprattutto medici e infermieri, quindi persone che possono essere contattate rapidamente e che frequentano ogni giorno gli ospedali dove vengono somministrati i vaccini. In teoria avrebbe dovuto essere la fase più veloce. Per questi motivi, e per le dichiarazioni del governo nelle scorse settimane, molti si aspettavano che fosse già tutto pronto, che la campagna iniziasse velocemente e che poche dosi dovessero attendere nei freezer prima di essere somministrate. Le regioni hanno provato a dare più spiegazioni di questo inizio stentato, e in alcuni casi nelle ultime ore sono stati modificati i piani organizzativi per anticipare i tempi previsti fino a ieri.

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I dati delle vaccinazioni
Il ministero della Salute ha pubblicato una pagina che mostra i dati delle vaccinazioni in tutte le regioni italiane. Nel momento della pubblicazione di questo articolo, in tutta Italia sono state vaccinate 118.554 persone, di cui poco più di 50mila solo domenica, sulle 469.950 dosi disponibili. Quindi finora è stato utilizzato solo il 25,2 per cento delle dosi disponibili, e domani verranno consegnate altre 469.950 dosi inviate da Pfizer.

La ripartizione delle dosi dipende dal numero degli abitanti. Secondo i numeri diffusi dal ministero, al momento la regione che ha ricevuto più dosi è la Lombardia con 80.595, poi la Sicilia 46.510, il Lazio 45.805, l’Emilia-Romagna 43.875, il Piemonte 40.885, il Veneto 38.900, la Campania 33.870 e la Toscana 27.920. La regione che ha ricevuto più dosi per abitante è la Liguria con 1129 dosi ogni 100mila abitanti.

La Lombardia è anche tra le regioni che fino a domenica 3 gennaio hanno utilizzato meno i vaccini già a disposizione: negli ospedali lombardi, infatti, sono state vaccinate 3.126 persone, appena il 3,9% delle 80.505 dosi disponibili. Altre regioni invece hanno iniziato la campagna a ritmi più sostenuti: la provincia autonoma di Trento ha utilizzato il 54,8% delle dosi a disposizione, il Lazio il 48,7%, il Veneto il 40,6%, la Toscana 37,8%. Oltre alla Lombardia, le regioni che hanno percentuali molto basse sono Molise (1,7%), Sardegna (3%) e Calabria (3,5%).

Le polemiche in Lombardia
Negli ultimi due giorni sono state rivolte molte critiche alla gestione della campagna vaccinale da parte della Lombardia, la regione di gran lunga più colpita dal virus. Molti sindaci lombardi hanno chiesto di accelerare i tempi di somministrazione dei vaccini. Il sindaco di Varese, Davide Galimberti, ha parlato di tempistiche «inaccettabili». «Da sindaco mi sento in dovere di intervenire, non per fare polemica, ma per dire che tale prospettiva non va proprio bene», ha detto. «Forse a livello lombardo serve una figura in grado di gestire la campagna di vaccinazione Covid». Anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, e quello di Lecco Mauro Gattinoni hanno chiesto tempi di vaccinazione più rapidi.

Al centro delle critiche dei sindaci ci sono le parole dell’assessore al Welfare Giulio Gallera, che in un comunicato stampa diffuso sabato 2 gennaio aveva spiegato che l’inizio della campagna vaccinale era stato fissato il 4 gennaio per consentire agli operatori sanitari di fare qualche giorno di ferie. «Dal 30 dicembre, giorno in cui abbiamo ricevuto le nuove dosi si è proceduto in alcune Asst alla somministrazione di vaccini, prevedendo di proseguire, in modo massiccio e puntuale, dal 4 gennaio» ha detto Gallera. «Una scelta ponderata e attenta, motivata anche dal fatto che nei giorni delle festività parte del personale ha goduto di un sacrosanto riposo, visto che dal mese di febbraio, come in nessun’altra regione italiana, è sotto pressione per la violenza con cui il virus ha colpito il nostro territorio».

In un’intervista a La Stampa, Gallera ha aggiunto che in Lombardia saranno vaccinate 6.000 persone al giorno nei 65 hub regionali, con l’obiettivo di arrivare a 15mila al giorno in poco tempo. «I conti facciamoli tra 15 o 20 giorni», ha detto Gallera. Ma anche 15mila vaccinazioni al giorno sarebbero pochine – richiederebbero oltre un anno e mezzo per vaccinare il 70 per cento della popolazione – e nella serata di domenica sera è stata diffusa una nota attribuita a “fonti leghiste” per dissociarsi dalle giustificazioni di Gallera. «Le dichiarazioni dell’assessore Gallera non sono state condivise e non rappresentano il pensiero del governo della Lombardia. Non possono comunque essere strumentalizzate dal governo Conte per accusare la Lombardia di ritardi nella campagna vaccinale», si legge. Il dibattito, quindi, si è spostato su un piano più politico. Da mesi, infatti, si parla di una possibile sostituzione di Gallera, esponente di Forza Italia, nella giunta guidata dal leghista Attilio Fontana.

In seguito a queste polemiche, però, in Lombardia qualcosa si è mosso: domenica in molti ospedali è stato anticipato l’inizio della campagna vaccinale. All’ospedale di Treviglio, in provincia di Bergamo, sono stati vaccinati sessanta operatori. «Dopo un giro di telefonate fatte dai miei direttori, abbiamo arruolato i primi sessanta volontari, tra medici, infermieri, farmacisti, biologi, psicologi, ostetriche, amministrativi, sia ospedalieri sia dell’area territoriale», ha detto Peter Assembergs, direttore generale dell’Asst Bergamo Ovest. Lo stesso è successo agli Spedali Civili di Brescia.

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L’organizzazione in Calabria
Anche in Calabria la campagna vaccinale è iniziata lunedì 4 gennaio, ma la regione sta valutando di cambiare completamente organizzazione. «Inizialmente abbiamo lasciato l’organizzazione della campagna vaccinale alle singole aziende, nel rispetto della loro autonomia, ma stiamo valutando di riprendere in mano la situazione con un centralismo organizzativo», ha detto Antonio Belcastro, responsabile dell’emergenza Covid in Calabria. Anche in Calabria sono stati dati giorni di ferie agli operatori sanitari, ma i problemi sono anche altri. Nei prossimi giorni, infatti, l’arrivo del commissario alla sanità Guido Longo porterà un ricambio completo dei vertici delle aziende ospedaliere. «I commissari in carica si sentono delegittimati per i dubbi sul loro futuro», ha detto Belcastro, giustificando così l’inizio stentato della campagna vaccinale.

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Il problema delle siringhe in Liguria
In Liguria è stato utilizzato il 16,2% delle dosi a disposizione, 2.582 persone vaccinate su 15.920 dosi disponibili. Il presidente della regione Giovanni Toti ha spiegato che il vero inizio della campagna era previsto per lunedì 4 gennaio e che quindi non ci sono ritardi. Toti ha anche parlato di un problema, poi risolto, legato alla fornitura delle siringhe da parte del commissario Domenico Arcuri: il presidente ha detto che la Liguria ha ricevuto solo siringhe da 5 e da 3 millilitri che servono a diluire il farmaco, ma non a somministrarlo. «Per questa operazione servono le siringhe da 1 millilitro che comunque Regione Liguria aveva in casa, per cui non c’è stata alcuna ripercussione sulla campagna vaccinale, ma ci vorrebbe più attenzione da parte del governo», ha detto Toti.

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Le altre regioni
Anche la regione Molise ha ricevuto siringhe non idonee alla somministrazione, e nei giorni scorsi sono state usate le prime scorte delle aziende sanitarie in attesa dell’arrivo delle nuove siringhe da parte della struttura commissariale. In Sardegna, invece, la campagna vaccinale inizierà il 7 gennaio, come era stato deciso dalla regione, senza anticipare la data, nonostante le polemiche delle ultime ore. Finora in Sardegna è stato somministrato il 3% delle dosi disponibili.

In Abruzzo, dopo i primi giorni con numeri bassi, già da domenica 3 gennaio la percentuale di dosi utilizzate ha iniziato ad aumentare. In Piemonte, dove è già stato utilizzato il 30,8% delle dosi disponibili, questa settimana si inizieranno a vaccinare anche i medici di medicina generale di Torino. Il 6 gennaio, per esempio, verrà somministrato il vaccino a 440 medici su circa 600, che avevano già confermato l’adesione.

L’autonomia sanitaria
Tutte queste differenze dipendono dall’autonomia sanitaria delle regioni, cioè dal fatto che ogni regione gestisce autonomamente tutto quello che riguarda la sanità, compresa l’organizzazione degli ospedali e delle campagne vaccinali. Le regioni hanno fatto scelte diverse anche nella gestione dell’emergenza coronavirus: alcune – è il caso del Veneto – hanno previsto screening estesi per trovare più positivi, altre invece hanno scelto di fare il tampone solo alle persone in gravi condizioni perché non avevano abbastanza test per tutti.

L’autonomia vale anche per la campagna vaccinale e le scelte di questi ultimi giorni lo dimostrano, non solo nella definizione delle tempistiche: in Lombardia, per esempio, il coordinamento è regionale, ma le singole aziende ospedaliere possono gestire da sole tempi e modalità di somministrazione. In Toscana hanno iniziato subito a vaccinare gli ospiti delle case di riposo, mentre in tutte le altre regioni è stata data priorità agli operatori sanitari.

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Al momento non ci sono ancora certezze sull’inizio della campagna di massa, cioè di tutte le persone che non sono nelle categorie a rischio. Prima saranno vaccinate le categorie a rischio – oltre a operatori e sanitari e ospiti nelle case di riposo, anche gli anziani sopra gli ottant’anni, poi le persone tra i 60 e i 79 anni e quelle con almeno una comorbidità cronica – prima si potrà iniziare a vaccinare il resto della popolazione. Per il momento si parla di marzo.

Secondo la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa serve un’accelerazione già da ora, anche ricorrendo a turni serali. «Lo dicono i numeri che c’è da accelerare», ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera. «Valutiamo la possibilità di turni serali, notturni e festivi di somministrazione per consentire a chi esce dal lavoro di utilizzare quelle ore. I medici di famiglia dovranno senz’altro collaborare se saranno disponibili vaccini che possono essere conservati in frigo. Nel frattempo inoculiamo tutte le dosi disponibili».