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  • Mercoledì 2 dicembre 2020

La haka degli All Blacks ha messo nei guai il rugby argentino

Il timido tributo della nazionale argentina a Maradona, reso evidente dal gesto dei neozelandesi prima della partita, ha fatto emergere vecchi e irrisolti problemi

Nico Fernández Miranda, assistente allenatore dell'Argentina, con la maglia degli All Blacks per Maradona (Jaimi Joy/Getty Images)
Nico Fernández Miranda, assistente allenatore dell'Argentina, con la maglia degli All Blacks per Maradona (Jaimi Joy/Getty Images)

L’omaggio della Nazionale di rugby neozelandese a Diego Armando Maradona è stato uno dei momenti sportivi più visti e apprezzati dell’anno. Per ricordare il campione argentino, gli All Blacks sono andati contro la loro stessa tradizione: sulla maglia nera infatti non ci sono nomi, perché è di tutti e allo stesso tempo non appartiene a nessuno. I giocatori la ricevono soltanto temporaneamente per riconsegnarla migliore di come l’hanno ricevuta a chi verrà dopo di loro. Per l’Argentina, tuttavia, il valore simbolico della haka per Maradona è stato tale da generare una serie di ripercussioni che definire devastanti non è esagerato: i giornali argentini stanno descrivendo il momento del rugby nazionale come il «peggiore di sempre».

Inizialmente la haka degli All Blacks ha avuto come effetto quello di evidenziare per contrasto il modo sbrigativo con cui la Nazionale argentina ha pensato di rendere omaggio allo sportivo più importante nella storia del loro paese: una sottile striscia nera tenuta al braccio da tutti i membri della squadra, quasi impossibile da notare sopra le maglie dei giocatori. Già il giorno stesso della partita in Argentina si era iniziato a parlare in modo pressoché unanime di «vergogna» e «scandalo» per la scarsa sensibilità mostrata in un momento di lutto nazionale così sentito.

La squadra, di base in Australia da alcune settimane per disputare il torneo Tre Nazioni, è stata raggiunta dalle polemiche domenica, il giorno dopo la partita, e ha subito iniziato a scusarsi. Il capitano, Pablo Matera, e l’allenatore, Mario Ledesma, hanno spiegato di essere stati talmente concentrati sulla partita — decisiva per l’andamento del torneo — da sottostimare le reazioni generate nel paese dalla morte di Maradona. Una settimana prima, infatti, avevano ottenuto la vittoria più importante nella loro storia battendo gli All Blacks a Sydney, e si trovavano quindi con la possibilità di vincere il torneo. Matera e Ledesma hanno inoltre spiegato di essere stati informati in anticipo dell’iniziativa organizzata dai neozelandesi, i quali avrebbero voluto che la maglietta di Maradona fosse stata raccolta da un argentino. L’invito è stato però rifiutato — cosa che di per sé ha attirato altre critiche — e la maglia è stata raccolta da un membro dello staff.

Fra tutte le critiche rivolte alla squadra, alcune hanno tirato in ballo anche una più ampia questione sociale, dato che il rugby argentino conserva più che in altri paesi un carattere elitario ereditato dalle origini benestanti di un gioco nato e formatosi nei college britannici due secoli fa. Il rugby argentino viene giocato quasi esclusivamente dai discendenti di famiglie europee benestanti e ha i suoi maggiori centri nelle più ricche aree rurali del paese. La connotazione del rugby argentino trova conferma nella sua nazionale, composta quasi interamente da giocatori bianchi di origini europee — italiane in particolare — o dai prezzi dei biglietti: in media assistere a una partita dei Jaguares di Buenos Aires costa almeno il doppio di una partita del campionato di calcio, lo sport più popolare nel paese.

In questo contesto, a inizio settimana sono emersi alcuni tweet di carattere fortemente razzista pubblicati su Twitter tra il 2011 e il 2013 dal capitano, Pablo Matera (oggi ventisettenne), e da altri due importanti giocatori della nazionale, Guido Petti (26) e Santiago Socino (28). Nei loro tweet — cancellati soltanto in questi giorni — i tre giocatori facevano riferimento esplicito a violenze e odio contro neri, boliviani, paraguaiani e nei confronti delle loro domestiche straniere. Socino scriveva: «Non sono a favore dell’apartheid, ma credo che dovremmo iniziare a separare gli autobus normali da quelli in cui ci sono dei neri». Matera invece scriveva: «Bella mattina per uscire a investire neri con la macchina».

Matera e Petti hanno cancellato il loro profilo e si sono scusati pubblicamente, dicendo di averli scritti quando erano giovani e incoscienti. Lo stesso ha fatto Socino, il cui profilo Twitter è ancora online. La federazione argentina ha reagito sospendendoli a tempo indeterminato, revocando la fascia di capitano a Matera e aprendo una più profonda indagine interna. Nel comunicato pubblicato martedì si legge: «Nonostante i messaggi siano stati espressi tra il 2011 e il 2013, l’Argentina Rugby Union condanna ogni espressione di odio e ritiene inaccettabile che chi li abbia espressi possa rappresentare il ​​paese». Altri però stanno prendendo le difese dei giocatori sospesi, sostenendo che non possano essere maltrattati pubblicamente per messaggi scritti a diciotto anni. Nel frattempo, la nazionale si trova ancora in Australia, dove sabato, sotto enormi pressioni, giocherà l’ultima partita del Tre Nazioni.