• Sport
  • Mercoledì 4 novembre 2020

Il Ferencvaros non è una semplice squadra ungherese

Gli avversari della Juventus in Champions League sono il simbolo delle grandi e contestate ambizioni calcistiche del governo autoritario di Viktor Orban

Ferencvaros Torna Club
Il pubblico alla Groupama Arena di Budapest per Ferencvaros-Dinamo Kiev (AP Photo/ Laszlo Balogh)

La Juventus, a Budapest contro il Ferencvaros nella terza giornata della fase a gironi di UEFA Champions League, ha giocato nella nuova Puskas Arena, impianto da oltre 67.000 posti inaugurato lo scorso novembre e usato di recente dalla UEFA per testare la presenza del pubblico durante la pandemia da coronavirus. La Puskas Arena, tuttavia, non è il vero stadio del Ferencvaros, che normalmente gioca a qualche chilometro di distanza, nel quartiere di Budapest dal quale prende il nome, nell’altrettanto nuova Groupama Arena, uno dei cinque stadi costruiti nella capitale da quando il calcio è entrato nell’agenda del primo ministro Viktor Orban.

Negli ultimi dieci anni l’Ungheria è stato il paese europeo nel quale sono stati costruiti più stadi. Ad oggi se ne contano ventotto tra conclusi e in costruzione, e a differenza di altri paesi, nessuno di questi è stato realizzato sfruttando l’organizzazione di un torneo internazionale come accadde ad esempio in Polonia e Ucraina per gli Europei del 2012. Il calcio ungherese è stato completamente ristrutturato per volere di Orban, autoritario primo ministro del partito nazionalista Fidesz in carica da dieci anni, il cui progetto di rinvigorimento della grande ma trascurata tradizione ungherese nel calcio ha trovato nel Ferencvaros — vecchio club della borghesia di Budapest — la squadra più adatta a rappresentarne le ambizioni in Europa.

Nella prima metà del Novecento l’Ungheria fu l’avanguardia calcistica europea: suoi erano i migliori giocatori in circolazione e suoi erano gli allenatori più apprezzati, molti dei quali ingaggiati dalle squadre italiane. La nazionale allenata da Gusztav Sebes e composta da campioni come Ferenc Puskas, Laszlo Kubala e Nandor Hidegkuti rivoluzionò il modo di giocare, rimase imbattuta per oltre tre anni, vinse un oro olimpico e sfiorò la vittoria ai Mondiali in Svizzera del 1954. Quel formidabile movimento calcistico iniziò però a sgretolarsi con la repressione sovietica successiva alla rivoluzione del 1956 e nei decenni che seguirono perse progressivamente competitività fino a sparire di fatto dai grandi eventi.

Da ex giocatore e appassionato di calcio, Orban ha sostenuto personalmente il rinvigorimento del movimento calcistico ungherese con investimenti pubblici che da un lato hanno migliorato sensibilmente le scadenti strutture sportive ereditate dal passato, ma dall’altro hanno attirato anche critiche per l’impiego di fondi pubblici nella costruzione di strutture non essenziali e per giunta poco frequentate. Nel 2014 il governo ungherese stanziò 68 milioni di euro per la costruzione di stadi e centri sportivi nell’arco di tre anni, somma poi aumentata a 81 milioni nel 2018. Nel tempo sono stati inoltre introdotti incentivi e detrazioni per gli investimenti privati. Secondo l’opposizione, dietro questi aiuti Orban e il suo partito cercano di rafforzare e rinnovare il loro consenso, anche con metodi propagandistici come la mitizzazione della figura di Ferenc Puskas.

Ungheria-Uruguay, partita inaugurale della Puskas Arena di Budapest (Laszlo Balogh/Getty Images)

Tutto questo ha favorito la costruzione di una trentina di nuovi stadi, da quello nazionale con 67.000 posti a sedere ai più piccoli impianti di provincia. Soltanto a Budapest e dintorni ne sono stati costruiti cinque in dieci anni, quattro dei quali per squadre di prima divisione — Ferencvaros, MTK, Vasas e Fehervar — e un sesto è in arrivo. La media spettatori rimane però di poco superiore alle 3.000 presenze a stagione. In alcuni casi, inoltre, la capienza dei nuovi stadi supera il numero di abitanti dei centri nei quali sono stati costruiti, come lo stadio di Felcsut, città natale di Orban, che può ospitare 3.500 spettatori a fronte di appena 1.500 abitanti.

Se il progetto riguardante le infrastrutture è vicino alla sua conclusione, lo stesso non si può dire dell’ambito prettamente sportivo. Il campionato nazionale è ancora economicamente fragile e fra i meno competitivi nell’area danubiana-balcanica. Negli ultimi anni diverse squadre si sono succedute come guida simbolica del movimento alla ricerca di risultati incoraggianti nelle coppe europee. In origine fu il Debrecen, che però è decaduto fino a retrocedere in seconda divisione. Dopo il Debrecen toccò al Videoton, squadra della città di Szekesfehervar per la quale Orban fa il tifo e nella quale giocò da giovane. Nessuno di questi club è riuscito però a mantenere le aspettative: c’era bisogno di una squadra della capitale, con più tradizione e un ampio seguito garantito.

Fu così che nel 2010 l’investitore inglese Kevin McCabe, che due anni prima aveva comprato il Ferencvaros retrocesso e reduce da un fallimento, cedette a sua volta la proprietà del club allo Stato. Gabor Kubatov, parlamentare di Fidesz e amico intimo di Orban (come molti altri proprietari di club e come Sandor Csanyi, uomo più ricco del paese, presidente federale e allo stesso tempo proprietario della banca che sponsorizza il campionato) venne quindi nominato presidente. Con Kubatov il Ferencvaros ricevette una notevole spinta: il vecchio e decadente stadio del club fu sostituito da un impianto da 24.000 posti e l’area sportiva del club venne costantemente migliorata fino all’ingaggio dell’allenatore tedesco ed ex giocatore della Lazio Thomas Doll, il quale nel 2015 riuscì a far vincere nuovamente il campionato al club dopo dodici anni di attesa. Da allora la squadra è diventata sempre più competitiva, soprattutto con l’ingaggio di professionisti stranieri, come l’attuale capocannoniere norvegese Tokmac Nguen e l’allenatore ucraino Sergiy Rebrov, il quale è riuscito a riportarla in Champions League dopo venticinque anni di attesa.