• Mondo
  • Mercoledì 28 ottobre 2020

L’India ha limitato ulteriormente l’autonomia del Kashmir

Una nuova norma abolisce il diritto esclusivo dei residenti di acquistare terreni nella regione, aumentando di fatto il controllo da parte del governo centrale

Un paramilitare indiano di guardia su un veicolo blindato mentre una coppia di Srinagar, nel Kashmir, guarda dalla finestra di casa, durante gli scontri del 17 settembre 2020 (AP Photo/Mukhtar Khan)
Un paramilitare indiano di guardia su un veicolo blindato mentre una coppia di Srinagar, nel Kashmir, guarda dalla finestra di casa, durante gli scontri del 17 settembre 2020 (AP Photo/Mukhtar Khan)

L’India ha approvato una norma che consente ai cittadini indiani di acquistare terreni nei territori del Jammu e Kashmir, il nome formale del Kashmir, lo stato indiano a maggioranza musulmana rivendicato dal Pakistan e oggetto di un’antica disputa territoriale. Il provvedimento, un emendamento al J&K Development Act, la legge che regola le autonomie della regione, cancella il diritto esclusivo per chi è «residente permanente nello stato» all’acquisto di terreni nello stato stesso.

La decisione ha provocato forti critiche da parte dei politici locali che denunciano una costante riduzione dei diritti del popolo del Kashmir da quando, lo scorso anno, è stato abolito lo statuto speciale, che era garantito dalla costituzione indiana fin dagli anni Cinquanta e che ne faceva una regione autonoma con proprie regole su residenza e proprietà.

Nell’ottobre del 2019 infatti l’India aveva diviso lo stato di Jammu e Kashmir in due diversi territori: uno che continuava ad avere lo stesso nome e un altro, al confine con la Cina, chiamato Ladakh. Da allora sono entrambi Territori dell’Unione ma, diversamente dagli Stati, che hanno governi propri, sono governati direttamente dal governo centrale. La decisione aveva provocato diffuse proteste nella regione. Lo “status speciale” al Kashmir era previsto dall’articolo 370 della Costituzione indiana in cui era anche contenuta la norma che garantiva la possibilità di acquisto solo ai residenti della regione e che ora il nuovo emendamento ha abolito.

– Leggi anche: Come Google Maps mostra i confini dei territori contestati

Il primo ministro indiano Narendra Modi aveva detto che uniformare le regole in vigore nel Kashmir con il resto del paese avrebbe portato maggiore sviluppo nella regione. «Ci saranno nuove autostrade, nuove linee ferroviarie, nuove scuole, nuovi ospedali che porteranno allo sviluppo della popolazione di Jammu e Kashmir a nuovi livelli», aveva detto Modi. Reuters scrive che un alto funzionario del ministero dell’Interno, che ha voluto rimanere anonimo, ha dichiarato che «l’emendamento alle leggi sull’acquisto di terreni è una parte cruciale dei cambiamenti strutturali in corso in Jammu e Kashmir» e che «la regione dovrebbe essere governata come qualsiasi altra parte del paese».

– Leggi anche: La strana storia delle trecce tagliate in Kashmir

Omar Abdullah, ex primo ministro dello stato di Jammu e Kashmir, ha criticato fortemente la decisione. Su Twitter ha scritto che l’emendamento «ha messo in vendita Jammu e Kashmir». Abdullah è una delle 5mila persone che lo scorso anno erano state incarcerate prima della abrogazione dell’autonomia del Kashmir. È stato rilasciato il 24 marzo 2020 dopo più di sei mesi di detenzione.

L’abolizione del diritto esclusivo dei residenti del Kashmir di acquistare terreni nello stato è solo l’ultimo attacco del governo del primo ministro Narendra Modi – induista e conservatore – all’autonomia del Kashmir, e fa parte di un progetto politico più ampio. Dalla sua prima elezione, nel 2014, Modi aveva sempre mostrato di considerare il Kashmir un problema. Nell’unico stato indiano a maggioranza musulmana e non induista, infatti, operavano da decenni gruppi separatisti appoggiati e finanziati dal Pakistan, paese con cui l’India ha combattuto diverse guerre. Nel 2019 il governo indiano aveva iniziato ad adottare un approccio più duro: a febbraio di quell’anno, per esempio, Modi aveva ordinato un attacco aereo contro il Pakistan dopo che un miliziano del Kashmir legato a un gruppo pakistano aveva fatto esplodere un’autobomba contro un convoglio militare indiano, uccidendo almeno quaranta soldati.

Durante il primo mandato di Modi, il governo indiano aveva iniziato a riscrivere i libri di storia, eliminando molte parti che parlavano dei governanti musulmani, e aveva adottato politiche sempre più favorevoli agli induisti conservatori. Tra le altre cose, erano aumentate le violenze e i crimini d’odio contro i musulmani. Molti critici di Modi avevano contestato l’ambizione del primo ministro di cambiare il carattere fondamentale dell’India: da stato laico, voluto dai padri fondatori tra cui il primo capo del governo indiano, Jawaharlal Nehru, a nazione induista. La creazione di uno stato induista – quindi religioso, come il Pakistan musulmano – è ancora oggi tra gli obiettivi di diversi gruppi nazionalisti, come il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un’organizzazione paramilitare di destra, che nel 2019 aveva festeggiato per le strade delle città indiane dopo la decisione del governo di revocare lo “status speciale” al Kashmir.