• Mondo
  • Mercoledì 7 agosto 2019

Perché l’India ha tolto l’autonomia al Kashmir

Facendo arrabbiare i musulmani locali e il Pakistan: c'entra l'ambizione di trasformare l'India in uno stato indù

Un soldato indiano nel Kashmir (AP Photo/Channi Anand)
Un soldato indiano nel Kashmir (AP Photo/Channi Anand)

Nel giro di un paio di giorni l’India ha rivoluzionato le sue politiche verso il Kashmir, stato indiano a maggioranza musulmana rivendicato dal Pakistan e oggetto di un’antica disputa territoriale. Prima ha revocato lo “status speciale” garantito al Kashmir fin dagli anni Cinquanta, che era contenuto nella Costituzione indiana e che dava molta autonomia al governo locale; poi ha diviso il Kashmir in due stati, uno che continuerà a chiamarsi Jammu e Kashmir (il nome formale del Kashmir) e che avrà un parlamento statale, l’altro chiamato Ladakh, che non avrà un parlamento.

Il governo indiano, guidato dal primo ministro nazionalista indù e conservatore Narendra Modi, ha descritto i due provvedimenti come semplici mosse amministrative e di riorganizzazione territoriale, ha scritto il New York Times; i suoi critici hanno parlato di un «attacco all’identità secolare dell’India» e un duro colpo a un paese che ha sempre descritto sé stesso come una delle più libere e stabili democrazie tra i paesi in via di sviluppo.

Le ultime mosse del governo indiano sul Kashmir, comunque, sono state improvvise ma non del tutto sorprendenti. Dalla sua prima elezione, nel 2014, Modi aveva sempre mostrato di considerare il Kashmir un problema. Nell’unico stato indiano a maggioranza musulmana e non induista, infatti, operavano da decenni gruppi separatisti appoggiati e finanziati dal Pakistan, paese con cui l’India ha combattuto diverse guerre. Negli ultimi mesi il governo indiano aveva iniziato ad adottare un approccio più duro: a febbraio, per esempio, Modi aveva ordinato un attacco aereo contro il Pakistan dopo che un miliziano del Kashmir legato a un gruppo pakistano aveva fatto esplodere un’autobomba contro un convoglio militare indiano, uccidendo almeno quaranta soldati.

Un’azione di polizia più repressiva non è stata però l’unica strada adottata dall’India per risolvere il problema del Kashmir, come hanno dimostrato i provvedimenti degli ultimi due giorni. La decisione di togliere lo “status speciale” al Kashmir era già stata ipotizzata da Modi nei primi anni di governo, ma era diventata più probabile e concreta dopo la netta vittoria del suo partito, il Bharatiya Janata (BJP), alle elezioni dello scorso maggio. In generale negli ultimi cinque anni l’India di Modi si è spostata sempre più su posizioni nazionaliste e i gruppi e le organizzazioni indù di destra hanno acquisito sempre più potere.

Durante il primo mandato di Modi, il governo indiano aveva iniziato a riscrivere i libri di storia, eliminando molte parti che parlavano dei governanti musulmani, e aveva adottato politiche sempre più favorevoli agli indù conservatori. Tra le altre cose, erano aumentate le violenze e i crimini d’odio contro i musulmani. Molti critici di Modi avevano messo in guardia sull’ambizione del primo ministro di cambiare il carattere fondamentale dell’India: da stato laico, voluto dai padri fondatori tra cui il primo capo del governo indiano, Jawaharlal Nehru, a nazione indù. La creazione di uno stato induista – quindi religioso, come il Pakistan musulmano – è ancora oggi tra gli obiettivi di diversi gruppi nazionalisti induisti, come il R.S.S., che hanno festeggiato per le strade delle città indiane dopo la decisione del governo di revocare lo “status speciale” al Kashmir. Molti temono che ora Modi possa adottare nuovi provvedimenti per colpire l’Islam in India, per esempio eliminando alcune particolari leggi relative ai matrimoni e alle eredità nelle famiglie musulmane e costruendo un tempio indù ad Ayodhya, sulle rovine di una moschea.

Intanto la situazione in Kashmir è completamente bloccata. Il governo indiano ha imposto un coprifuoco per evitare manifestazioni, ha interrotto tutte le comunicazioni verso l’esterno, ha arrestato diversi politici locali, anche i più moderati, e ha vietato qualsiasi forma di riunione e protesta. Le misure adottate dal governo indiano hanno inoltre fatto infuriare il Pakistan, che vorrebbe tutto il Kashmir per sé. Il primo ministro pakistano, Imran Khan, ha detto che si batterà contro la revoca dello “status speciale” rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Khan ha detto che l’intenzione dell’India è quella di cambiare la demografia del Kashmir e ha sostenuto che le mosse indiane siano contrarie al diritto internazionale.