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  • Lunedì 19 ottobre 2020

Israele sta uscendo dal secondo lockdown

Era stato uno dei primi paesi a imporre di nuovo misure drastiche a livello nazionale: adesso il contagio si è ridotto, ma rimangono tantissime incertezze

Due ebrei ultraortodossi si preparano per la festa dello Yom Kippur, lo scorso 24 settembre. (Amir Levy/Getty Images)
Due ebrei ultraortodossi si preparano per la festa dello Yom Kippur, lo scorso 24 settembre. (Amir Levy/Getty Images)

Domenica il governo di Israele ha cominciato ad allentare il lockdown generale imposto in tutto il paese lo scorso 18 settembre per contenere la diffusione del coronavirus. Israele è stato uno dei primi paesi al mondo a decidere un secondo lockdown dopo quelli avvenuti in primavera, e la gestione della riapertura sarà osservata con attenzione in molte regioni, come per esempio l’Europa, dove i casi sono in forte aumento e i governi devono decidere quali contromisure adottare.

Il secondo lockdown di Israele è stato più lungo del previsto (inizialmente sarebbe dovuto durare tre settimane, fino all’11 ottobre, ne è durato una in più) e molto tormentato. Gli israeliani hanno accolto male l’obbligo per tutti di rimanere in casa per la seconda volta in pochi mesi. Ci sono state proteste e disobbedienze. Il Washington Post qualche giorno fa ha raccolto alcune testimonianze di negozianti che hanno tenuto aperte le loro botteghe di nascosto e cittadini che hanno incontrato parenti e amici fingendo di andare a fare la spesa, ma non ci sono per ora dati precisi sul numero delle violazioni.

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Un altro problema è stato quello delle comunità degli ebrei ultraortodossi, che in parte si sono rifiutate di ubbidire alle norme, anche perché il secondo lockdown israeliano è coinciso con l’inizio di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.

Nonostante questo, i contagi sono passati da oltre 8.000 casi giornalieri (in un paese di 8,8 milioni di persone) a meno di 1.500 sabato scorso (domenica e lunedì sono stati meno di 400, ma i numeri sono meno affidabili perché coincidono con un calo fisiologico dei test nel fine settimana). L’indice Rt è sceso a meno di 0,8, e dunque si sono realizzate le condizioni per avviare la riapertura, secondo il piano del ministero della Salute.

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Da domenica, gli israeliani possono allontanarsi per più di un chilometro dalla loro abitazione (era il limite imposto sotto lockdown). Possono incontrarsi al massimo 10 persone al chiuso e 20 all’aperto. Le scuole rimangono chiuse, ma hanno riaperto gli asili nido e le scuole materne. I ristoranti non possono ospitare i clienti ma possono vendere cibo d’asporto, le attività che non richiedono l’accoglienza di un cliente possono riaprire, si può tornare in spiaggia o a visitare i parchi nazionali. Hanno riaperto anche il Muro del pianto e la Spianata delle moschee, due luoghi sacri, anche se le visite saranno ridotte.

Il ministero della Salute ha previsto un piano di ritorno alla normalità molto graduale, la cui ultima fase, se tutto va come previsto, dovrebbe concludersi a febbraio del 2021. Ciascun passaggio di fase sarà definito da criteri epidemiologici. Per esempio Ronni Gamzu, il commissario nazionale contro il coronavirus nominato dal governo, ha detto che per passare alla fase successiva a quella attuale il numero dei casi giornalieri deve ridursi a meno di 1.000 e l’indice Rt deve rimanere sotto allo 0,8.

«La decisione di imporre un lockdown nazionale era corretta. Sono felice di aver insistito per prenderla. Il lockdown ha funzionato», ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu sabato, annunciando l’allentamento delle misure. Nonostante l’entusiasmo ufficiale, però, molti temono che Israele possa affrettare troppo la riapertura, come già fatto questa primavera: a marzo di quest’anno, Israele fu uno degli stati più solerti nel decidere il lockdown, e Netanyahu ricevette molti elogi per la sua politica decisa. A maggio, tuttavia, una riapertura troppo rapida e raffazzonata aveva provocato un nuovo aumento dei contagi molto rapido, che ha portato Israele a essere uno dei primi paesi al mondo a rientrare in lockdown in autunno.

Una delle criticità principali riguarda ancora le comunità ultraortodosse, che avendo violato frequentemente il lockdown nelle settimane passate rimangono quelle più colpite dal coronavirus: in Israele ci sono alcune “zone rosse” che corrispondono in gran parte alle aree (villaggi o quartieri di grandi città) in cui vivono gli ultraortodossi. Ci sono altri focolai di coronavirus nella zone abitate prevalentemente dalla comunità araba. Il governo, però, ha annunciato che asili e scuole materne riapriranno anche nelle zone rosse, provocando molte polemiche. L’opposizione ha accusato Netanyahu di aver ceduto alla pressione dei partiti ultraortodossi, dai quali il primo ministro dipende politicamente.

Molte comunità ultraortodosse, inoltre, hanno deciso di non rispettare i divieti e di aprire anche le scuole per gli studenti maschi sopra ai sei anni, seguendo gli ordini di alcuni leader religiosi tra cui quello del rabbino 92enne Chaim Kanievsky, secondo cui le scuole degli ortodossi avrebbero dovuto riaprire fin da domenica. Durante il suo discorso di sabato, Netanyahu si è rivolto direttamente agli ultraortodossi dicendo: «Non violate le regole. La Torah santifica la vita, e così la si mette in pericolo». Nonostante questo, hanno scritto i giornali israeliani, domenica molte scuole hanno riaperto nella comunità ultraortodosse, senza particolari interventi delle forze dell’ordine.

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Netanyahu in questi mesi deve anche affrontare un processo per corruzione molto discusso in Israele. Prima del secondo lockdown, decine di migliaia di cittadini avevano cominciato a protestare in strada chiedendo le dimissioni del primo ministro, ma il lockdown aveva interrotto le manifestazioni. Sabato notte, appena prima della parziale riapertura, decine di migliaia di manifestanti si sono ritrovati davanti alla residenza del primo ministro a Gerusalemme per ricominciare le proteste.