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  • Giovedì 10 settembre 2020

In Israele non riescono a tenere sotto controllo il coronavirus

I casi giornalieri aumentano da settimane, e ieri c’è stato un picco: il governo sta considerando un nuovo lockdown

(AP Photo/Tsafrir Abayov)
(AP Photo/Tsafrir Abayov)

Israele era stato uno dei paesi a gestire meglio la prima fase della pandemia da coronavirus: dopo un primo lockdown imposto a marzo, i casi giornalieri erano scesi a poche decine al giorno, e l’approccio del primo ministro Benjamin Netanyahu era stato lodato in maniera trasversale. Le cose sono molto cambiate. Dalla fine di agosto vengono individuati circa tremila casi al giorno – un numero enorme per un paese di nove milioni di abitanti – e i casi che richiedono un ricovero stanno intasando gli ospedali.

Oggi si terrà un’attesa riunione del governo per adottare nuove misure di contenimento: il quotidiano Haaretz scrive che il ministero della Salute e il capo della task force per il coronavirus dovrebbero chiedere un nuovo lockdown di almeno un mese, sfruttando le diverse festività del calendario ebraico previste fino all’inizio di ottobre: a cominciare da Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, che inizierà fra una settimana.

Si è tornati a parlare di misure drastiche soprattutto dopo i dati emersi nell’ultima settimana. Mercoledì 9 settembre i casi giornalieri sono saliti a 3.903, mentre i pazienti ricoverati in gravi condizioni sono 478: entrambi sono i dati più alti dall’inizio della pandemia. Il ministero della Salute ha fatto sapere che mercoledì 9 settembre sono stati realizzati 43.455 test, con un tasso di esito positivo al 9 per cento: un dato altissimo, che fa pensare che i positivi siano molti di più di quelli individuati. L’OMS ha stimato infatti che un indicatore efficace per stabilire se un certo paese sta effettuando un numero accettabile di test è rimanere sotto al 5 per cento di tamponi positivi per due settimane consecutive.

(Grafico di Haaretz)

L’aumento dei contagi non viene ricondotto a un’unica ragione: secondo alcuni c’entrano la riapertura frettolosa di scuole e aziende già a maggio, le ampie sacche di popolazione che vivono in condizioni di vulnerabilità, come le comunità arabe o di ebrei ultraortodossi, e una gestione assai confusionaria da parte di Netanyahu, già alle prese fra l’altro con i suoi processi per corruzione, complicate manovre di politica estera ed enormi manifestazioni di protesta nei suoi confronti.

Le opzioni che il governo valuterà nell’incontro di oggi vanno dall’isolamento delle città più colpite – già oggi in circa 40 città è attivo un coprifuoco per limitare gli spostamenti serali e notturni – a un lockdown simile a quello adottato all’inizio della pandemia. Il Times of Israel ipotizza che il governo possa imporre agli israeliani di non spostarsi da casa per più di 500 metri, e chiudere la maggior parte di scuole e ristoranti.

Nel frattempo, la gestione della crisi sta progressivamente passando nelle mani dell’esercito, che in Israele è una componente molto rilevante dell’amministrazione pubblica. Un mese fa è stata creata una task force militare per garantire supporto a quella del governo: al momento conta 2.300 soldati, che a breve dovrebbero diventare tremila. Ori Gordin, il suo capo, ha detto ad Associated Press che la task force sta lavorando soprattutto per coordinare la gestione fra governo centrale e autorità locali, aumentare il numero di test disponibili ogni giorno e le operazioni di tracciamento dei contatti dei casi positivi.