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  • Lunedì 27 luglio 2020

Le proteste in Israele, diverse dal solito

Erano anni che non erano così partecipate, soprattutto dai giovani: e non se ne vede la fine

(AP Photo/Oded Balilty, File)
(AP Photo/Oded Balilty, File)

Da circa due settimane sono in corso a Gerusalemme, in Israele, una serie di proteste che per partecipazione e portata non si vedevano da una decina d’anni. Negli ultimi dodici giorni si sono tenute otto manifestazioni, «ciascuna più partecipata della precedente», scrive il quotidiano israeeliano Haaretz. Il ritrovo è sempre lo stesso: Balfour Street, una via laterale non lontana dal Parlamento e che ospita l’abitazione riservata al primo ministro, Benjamin Netanyahu, l’uomo attorno a cui ruotano tutte le ragioni delle proteste e di cui i manifestanti chiedono le dimissioni.

(AP Photo/Ariel Schalit)

Non è una novità che in Israele si tengano partecipate manifestazioni di protesta contro il governo o contro Netanyahu, che nonostante sia in carica da undici anni rimane una delle figure più divisive della politica israeliana.

Ma raramente le proteste sono state così partecipate: soprattutto dai giovani, meno interessati alla politica rispetto ad altre fasce della popolazione e fino a pochi mesi fa fedeli sostenitori della coalizione di destra guidata da Netanyahu (che per moltissimi di loro rimane l’unico primo ministro che abbiano mai conosciuto). Eppure, appena tre mesi fa proteste del genere sembravano impensabili.

Israele era stato uno dei primi paesi a introdurre un esteso lockdown e a bloccare i voli provenienti dall’estero, mentre Netanyahu fu uno dei primi leader politici internazionali a farsi vedere con una mascherina addosso. La sua gestione aveva attirato lodi talmente trasversali che si era persino parlato della possibilità di indire elezioni anticipate – sarebbero state le quarte in un anno e mezzo – per permettergli di capitalizzare l’aumento dei consensi.

Nelle settimane successive, però, il comportamento di Netanyahu è stato descritto come «indeciso e imprevedibile»: le restrizioni sui movimenti sono state rilassate e reintrodotte più volte, il sistema di tracciamento dei contatti non sta funzionando come dovrebbe, i sussidi per i lavoratori sono stati ridimensionati rispetto agli annunci iniziali, mentre un coordinatore interno al governo sull’emergenza coronavirus è stato nominato soltanto alcuni giorni fa.

Il risultato è che nei giorni scorsi è iniziata una temuta seconda ondata di casi: mercoledì 22 luglio sono stati registrati 2.032 casi in sole 24 ore, il dato più alto dall’inizio della pandemia e piuttosto enorme per un paese di appena 9 milioni di abitanti. L’economia non è mai ripartita e il tasso di disoccupazione è salito al 21 per cento.

Non è chiarissimo perché Netanyahu non sia riuscito a tenere sotto controllo la pandemia, dopo l’efficace gestione iniziale. Di certo nelle scorse settimane era scesa di qualche posizione nelle priorità del governo, dopo la nuova udienza del processo per frode e corruzione a Netanyahu – che entrerà nel vivo a partire da gennaio – l’annunciata annessione di una parte della Cisgiordania, poi rinviata a data da destinarsi, e le nuove tensioni etniche innescate dall’omicidio di un ragazzo palestinese disarmato e con gravi problemi mentali, Eyad Hallaq, da parte della polizia israeliana. A fine giugno, inoltre, il Parlamento israeliano aveva approvato una specie di condono fiscale ad personam per Netanyahu che gli aveva attirato nuove estese critiche, anche dai principali alleati di governo (i centristi di Blu e Bianco, che non hanno partecipato al voto in segno di protesta).

Probabilmente Netanyahu ha anche sottovalutato le conseguenze della pandemia sui giovani israeliani. Molti di loro sono lavoratori autonomi, e i sussidi arrivati del governo hanno bilanciato soltanto in minima parte i disagi e la penuria di opportunità di questo periodo. L’assenza di prospettive ha portato in piazza moltissimi giovani che fino a pochi mesi fa non erano affatto ostili a Netanyahu e ai suoi governi.

Fra di loro c’è anche Nimrod Gross, protagonista di una delle foto più circolate in questi giorni. Gross ha 34 anni e lavora come guida turistica e insegnante di scienze al doposcuola. Dopo la pandemia le sue entrate mensili si sono ridotte a circa 400 euro: così ha deciso di scendere in piazza per protestare, portandosi dietro la bandiera israeliana (parlando col quotidiano Yedioth Ahronot, Gross si è definito un centrista).

Ce l’aveva in mano anche sabato scorso, quando la polizia ha cercato di colpirlo con un idrante. «Ho fatto tutto quello che la società mi ha chiesto, e ora improvvisamente non ho più un posto», ha detto a Yedioth Ahronot.

Nimrod Gross colpito da un idrante durante le proteste a Gerusalemme, 18 luglio 2020 (AP Photo/Oded Balilty)

Il fatto che le proteste di questi giorni siano organizzate soprattutto dai giovani ha portato anche alcune novità. I manifestanti non si limitano a gridare slogan e agitare cartelli, come durante le proteste organizzate dalle opposizioni istituzionali, ma si sono inventati alcune trovate assai riprese da giornali e social network.

In certi momenti le manifestazioni assomigliano a una festa. Si balla, si canta, si cerca di fare più rumore possibile suonando strumenti musicali oppure battendo i piedi contro le barriere di metallo piazzate dalla polizia per contenere il corteo. A volte, invece, vengono improvvisate delle silenziose sessioni di meditazione.

Alcune ragazze, ispirandosi probabilmente al gruppo delle Femen, hanno sfilato a torso nudo agitando dei cartelli con scritto «se i cartelli non funzionano, ci penseranno le tette». Un’altra manifestante a torso nudo si è arrampicata sulla statua della Menorah, la lampada a sette braccia fra i più noti simboli dell’ebraismo, situata vicino al Parlamento israeliano. Netanyahu l’ha accusata di «disonorare» i simboli dello stato.

Paradossalmente, però, le proteste di questi giorni potrebbero ottenere l’effetto opposto a quello che cercano, almeno nel breve termine. Un eventuale crollo nei consensi convincerebbe Netanyahu a rinviare il più possibile nuove elezioni, mentre le pressioni politiche e il processo imminente potrebbero renderlo ancora più spregiudicato nelle sue scelte. «Al momento Netanyahu è come un animale ferito», scrive su Haaretz il giornalista politico Chemi Shalev: «è sempre più in un angolo, dove se la prende con tutti quelli che percepisce come nemici. Per quanto lo riguarda, il caos, la riduzione dei contrappesi e le accese divisioni fra israeliani rappresentano una conseguenza inevitabile».